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Surgenor andò all’oblò più vicino, e vi scorse solo la faccia di un uomo che lo guardava. Scrutò il suo riflesso per un minuto, cercando invano di scorgere qualcosa dall’altra parte, poi chiese ad Aesop di spegnere le luci. Immediatamente il ponte piombò nell’oscurità. Surgenor guardò fuori, e il buio era simile a un nemico in agguato.

— Non c’è niente là fuori — sussurrò Targett che era vicino a un altro oblò.

— È come se fossimo immersi nella pece.

— Posso assicurarvi — disse Aesop inaspettatamente — che lo spazio che ci circonda è più trasparente di quello interstellare. La quantità di materia per metro cubo è esattamente zero. In queste condizioni i miei telescopi potrebbero individuare una galassia distante miliardi di anni-luce… ma non ce ne sono.

— Riaccendi pure la luce, Aesop. — Surgenor resistette all’impulso di scusarsi con il computer per aver dubitato della sua parola. Si sentì sollevato quando le luci tornarono a brillare, chiudendo gli oblò coi loro riflessi.

— Be’, non siamo morti… almeno non credo… ma questa volta è ancora peggio di prima — disse Targett. Alzò le mani osservandosi le dita, accigliato. Gillespie lo guardò incuriosito. — Tremi?

— No. Non ancora. Un vecchio filosofo classico, Kant mi pare, parlò una volta di una situazione vagamente simile a questa. Diceva: immaginiamo che non esista assolutamente niente nell’universo tranne una mano umana; saremmo in grado di riconoscere se si tratta della destra o della sinistra? Secondo lui sì, e questa doveva essere la prova che vi è una direzionalità nello spazio stesso; ma si sbagliava. Speculazioni successive portarono al concetto di rotazione attraverso uno spazio a quattro dimensioni…

Targett si interruppe, e la sua faccia giovanile sembrò raggrinzirsi, dandogli un’aria da vecchio. — Oh, Gesù… che cosa faremo? — Non possiamo fare altro che conservare la calma — disse Surgenor. — Dieci minuti fa credevamo di essere finiti.

— Questa volta è diverso, Dave. Non ci sono più fattori esterni. Questa volta ci siamo solo noi.

— A proposito — disse Gillespie — sarà meglio convocare un’altra riunione, non appena la sbronza sarà passata.

— Ne vale la pena? Non abbiamo fatto altro finora, e forse è meglio che continuino a restare ubriachi.

— È questo il punto. I liquori sono cibo. Contengono molte calorie, e dovranno essere razionati, come tutto il resto.

La riunione venne convocata per mezzanotte, ora di bordo, il che lasciò a Surgenor due ore in cui pensare. Pensare alla morte: morte per fame, morte per solitudine, in un continuum nero e vuoto, morte per ipotermia spirituale. Si aggirò per la nave, invece di ritornare nella sua stanza, ma questo servì solo a moltiplicare il suo senso di disagio. Se si impegnava in qualche lavoretto, per alcuni minuti il pensiero della sua disperata condizione lo abbandonava; poi, quando il lavoro era quasi finito, una voce interiore cominciava a dirgli che era tempo di pensare di nuovo alla situazione generale, e i suoi pensieri tornavano a vorticare.

Una volta incontrò Christine Holmes nel corridoio delle cabine, e cercò di parlarle, ma lei gli passò accanto con lo sguardo impersonale di una straniera, e lui capì che nessuno dei due aveva qualcosa da dare o da ricevere. Continuò a muoversi, a lavorare, a parlare, e accolse con sollievo l’ora fissata, quando gli undici membri sopravvissuti della Sarafand si riunirono al lungo tavolo della mensa. Le “finestre” che si aprivano lungo la parete semicircolare erano nere, come si addiceva all’ora notturna, ma le luci della sala, gialle arancione e bianche, creavano un’atmosfera di calore e sicurezza.

Prima che la riunione si aprisse, Gillespie prese da parte Surgenor. — Dave, cosa ne dici se tanto per cambiare parlo io?

— Per me va bene. — Surgenor gli sorrise, apprezzando d’improvviso il fatto che l’ex-commesso dell’Idaho avesse acquisito una nuova statura. — Ti sosterrò io, questa volta.

Gillespie si mise a capotavola, e restò lì in piedi finché gli altri non si furono seduti. — Credo sia inutile dire che siamo in un grosso guaio. Così grosso che nessuno di noi riesce a vedere una via di uscita. Neppure il Capitano Aesop. Comunque, così come abbiamo fatto quando credevamo di poter raggiungere un pianeta, dobbiamo stabilire delle regole. E le seguiremo finché sarà possibile.

— Tutti sull’attenti: petto in fuori e pancia in dentro — mormorò Burt Schilling. Aveva preso due pasticche di Antox, ma nei suoi occhi c’era una fissità cupa, che indicava come fosse ancora ubriaco. — La maggior parte delle regole riguarderà naturalmente l’uso delle riserve di cibo — continuò imperturbabile Gillespie, dando un’occhiata ai suoi appunti. — Penso che tutti vogliamo prolungare la nostra vita… ma non oltre un periodo ragionevole, non in condizioni tali da renderla priva di significato. Per questa ragione propongo razioni giornaliere di mille calorie, in cibo solido e bevande non alcooliche, a persona. Aesop mi ha fornito un inventario, e con mille calorie al giorno abbiamo abbastanza cibo per ottantaquattro giorni.

«Prima di allora saremo vecchi» pensò Surgenor. «Non è molto tempo, ma quando sarà passato, saremo ridotti a niente».

— Naturalmente perderemo un bel po’ di peso, ma Aesop dice che il giusto equilibrio di proteine, grassi e carboidrati ci terrà in buona salute. — Gillespie fece una pausa, guardando gli uomini seduti attorno al tavolo. — Poi c’è il problema dei liquori, che non è così facile da risolvere. Prendendo lo stesso periodo di ottantaquattro giorni, avremmo ciascuno trecento calorie al giorno in birra e vino, e duecentoquaranta in liquori. Dobbiamo decidere se vogliamo dividere anche queste in razioni giornaliere, o se preferiamo lasciarle per…?

— Sono stufo di stare a sentire tutte queste scemenze — annunciò Schilling dando un pugno sul tavolo. — Non abbiamo bisogno di regole sul bere. Gillespie restò calmo. — Cibi e bevande devono essere equamente distribuiti.

— La cosa non mi riguarda — disse Schilling. — Non ho nessuna intenzione di starmene qui a far la fame per altri tre mesi. Non voglio cibo: prendo la mia razione in liquori. Tutta in liquori.

— Non puoi farlo.

— E perché no? — Schilling cercò di assumere un tono ragionevole. — Significherebbe una maggiore quantità di cibo solido per quelli che ne hanno voglia.

Gillespie appoggiò il blocco con gli appunti sul tavolo e si chinò verso di lui.

— Perché in un paio di settimane potresti ingoiare facilmente tutta la tua razione; poi, tornato lucido, decideresti di non essere ancora pronto a morire di fame, e gli altri dovrebbero nutrirti. Ecco perché.

Schilling sbuffò. — Va bene, va bene. Mi metterò d’accordo coi miei amici: il mio cibo per i loro liquori.

— Non potremo permettere neppure questo — disse Gillespie. — Porterebbe al medesimo risultato.

Ascoltando la discussione, Surgenor, pur essendo in linea di massima d’accordo con Gillespie, non poté fare a meno di pensare che fosse necessaria una certa flessibilità. Stava pensando a come esprimere la sua opinione senza aver l’aria di andare contro Gillespie, quando Wilbur Desanto, il nuovo compagno di Gillespie sul Modulo Due, alzò la mano.

— Scusa, Al — disse con aria triste. — Tutti questi calcoli si basano su undici persone, per l’intero periodo. E se qualcuno volesse finirla subito?

— Vorresti dire se volesse suicidarsi? — Gillespie considerò l’idea per un momento, poi scosse la testa. — Nessuno vorrà farlo.