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— Ti dimenticherai anche di tutto il resto.

— E allora?

— Allora… — Surgenor gli porse il bicchiere e lo osservò trasformarsi in una sfera di sole. — Brindiamo all’amnesia.

— Che possa regnare a lungo.

I due restarono seduti in silenzio, bevendo adagio ma senza interruzioni, assaporando quella fuga dalla realtà. I ricordi più piacevoli che Surgenor aveva della sua carriera nel Servizio erano quelli di lunghe chiacchierate, che a volte duravano tutta la notte, mentre l’astronave era in orbita attorno a una stella, e gli uomini si ritrovavano insieme, uniti da un’acuta consapevolezza della loro comune umanità. Questa volta quella sensazione era ancora più accentuata. Dopo essere stata sbattuta dalle correnti e dalle tempeste dello spazio, la nave si trovava in una zona di bonaccia, in un mare nero e senza limiti. Un infinito fatto di vuoto premeva contro il suo guscio, e tutti coloro che erano a bordo sapevano che l’avventura era finita, perché in un continuum dove non esisteva niente, non poteva accadere niente. Nessuna sorpresa li attendeva, tranne che per quelle inaspettate scoperte che un essere umano può fare su se stesso, e dunque l’unica cosa da fare era concentrarsi sul proprio essere uomini, o non uomini, o più che uomini. Domani sarebbe stato difficile, perché cominciava il conto alla rovescia verso la morte, ma per il momento…

— Albert Gillespie e David Surgenor! — La voce di Aesop fece sobbalzare Surgenor dal suo stato di semi-incoscienza. — Se mi ascoltate, rispondete, prego.

Rispose Gillespie, dal momento che il suo nome era stato chiamato per primo.

— Ascolta queste parole, Aesop. Ti sentiamo. — Guardò Surgenor con occhi spalancati, posando il bicchiere.

— Le circostanze inconsuete nelle quali ci troviamo hanno portato ad alcuni mutamenti nelle mie relazioni con i membri dell’equipaggio — disse Aesop. — Come ha già fatto notare Michael Targett, io sono solo un computer, e le mie competenze sono necessariamente limitate ai miei programmi. Questa intrinseca limitazione è determinata, come abbiamo avuto modo di constatare, dall’incapacità dei programmatori di prevedere tutte le possibili circostanze. Capite quello che voglio dire?

— Certo. — Gillespie si raddrizzò. — Aesop, vorresti dire che hai fatto un errore nella valutazione di quello che è fuori dalla nave?

— Non su quello che è fuori. Ma all’interno si sta verificando un evento che non sono in grado di spiegare, e che sembra andare al di là di tutti i miei schemi di riferimento.

— Aesop, non farci stare sulle spine — intervenne Surgenor. — Che cosa è successo? Perché ci hai chiamato?

— Prima di descrivere il fenomeno, desidero chiarire la mia posizione riguardo ai rapporti con l’equipaggio. In circostanze normali gli annunci importanti li faccio a tutti simultaneamente; ma non sono in grado di stimare gli effetti psicologici di quello che sto per dire, e temo che possano essere dannosi. Voi due avete assunto una posizione di responsabilità; siete disposti ad accettare l’ulteriore responsabilità di trasmettere il mio messaggio nella forma che riterrete più adatta agli altri membri dell’equipaggio?

— L’accettiamo — dissero Surgenor e Gillespie insieme. Surgenor, che sentiva il cuore battergli forte, maledì la tendenza disumana di Aesop alla prolissità.

— Prendo nota che avete accettato — disse Aesop. Seguì una pausa che accrebbe il disagio di Surgenor.

— Aesop, ti dispiacerebbe…

— Albert, alle ore zero zero, zero nove, durante la riunione generale, hai detto queste parole a proposito del defunto William Narvik: «Se vedete il suo fantasma uscire dal ripostiglio, fatemelo sapere». Ricordi di averlo detto?

— Certo che lo ricordo — disse Gillespie — ma era solo una battuta, per l’amor di Dio. Ci hai già sentito altre volte fare battute del genere.

— Sono a conoscenza di tutti i vari tropi connessi all’umorismo. Sono anche a conoscenza di vari scritti di argomento religioso, metafisico e superstizioso, che descrivono un fantasma come un’emanazione bianca e nebbiosa, luminescente.

«Vi informo che un oggetto dai tipici attributi di un fantasma sta emergendo dal corpo di William Narvik.

— Balle — disse Surgenor, e ripeté fra sé la parola più volte, mentre insieme a Gillespie raggiungeva il piano inferiore, attraversava la mensa, e scendeva la scaletta che conduceva all’hangar. Lo stava ancora ripetendo, quando la porta del ripostiglio si aprì all’ordine di Aesop e vide avvolta attorno al petto di Billy Narvik, una nuvola di luce bianca e fredda, a forma di lente.

19

Dopo un primo, indicibile momento di allarme, Surgenor si accorse con sorpresa di non provare paura.

Entrò con Gillespie nello stanzino e si accorse che quello che gli era sembrato un semplice emisfero di luce possedeva in realtà tracce di una complessa topografia interna. La sua superficie non era ben definita, il che disorientava ancora di più, e le zone interne di luminosità diversa si sovrapponevano e splendevano l’una attraverso l’altra in modo che rendeva difficile mettere a fuoco i singoli particolari.

L’oggetto era un emisfero di luce glaciale, del diametro di circa un metro, che nascondeva quasi tutto il corpo di Narvik. Esaminandolo da vicino, Surgenor si convinse che quello che vedeva era solo la metà di una sfera, il resto della quale si allargava sotto il pavimento. Obbedendo a un impulso istintivo, allungò una mano e la infilò nella massa scintillante. Non provò nessuna sensazione.

— Si sta allargando — disse Gillespie. Fece un passo indietro, indicando l’orlo più vicino, che strisciava silenziosamente sul pavimento di metallo. In pochi secondi la testa di Narvik venne nascosta dall’intangibile conchiglia di luce. I due uomini si strinsero la mano come bambini e arretrarono verso la porta, con gli occhi bianchi per il riflesso e l’animo pieno di meraviglia, mentre al centro della stanza l’enigmatico emisfero continuava a ingrandire, a velocità visibilmente crescente.

— Che cos’è? — sussurrò Gillespie. — Sembra un cervello, ma…

Surgenor sentì che la gola gli diventava secca, mentre in lui prendeva corpo quella paura che avrebbe dovuto provare prima. Lo sgomento che stava provando non nasceva dalla terribile estraneità dell’oggetto misterioso, ma, incredibilmente, dal fatto che cominciava a intuire che cosa fosse. Fece uno sforzo per mettere a fuoco una singola parte della nuvola, invece di guardarla come un tutto, e gli parve di scorgere dei minutissimi corpuscoli. Man mano che l’oggetto ingrandiva, la sua struttura mostrava segni di discontinuità, e appariva come composta da milioni di particene luminose.

— Ascolta queste parole, Aesop — disse, facendo uno sforzo per parlare. — Puoi puntare un microscopio su questa cosa?

— Non ancora. Il raggio d’azione dei miei microscopi diagnostici è limitato alla zona dell’hangar. Ma se continuerà a questa velocità, l’oggetto penetrerà nelle pareti del ripostiglio fra circa due minuti, e a questo punto sarò in grado di sottoporlo ad esame microscopico.

— Penetrare? — Surgenor si ricordò dell’impressione che aveva avuto prima, di vedere solo la metà di una sfera. — Aesop, riesci a inquadrare la sala motori sotto di noi? C’è qualcosa di insolito?

— Non sono in grado di vedere direttamente nella colonna spinale, ma si scorge una fonte di luce. Ritengo che l’oggetto si estenda anche in basso, attraverso il pavimento.

— Ma cosa sta succedendo? — disse Gillespie, scrutando la faccia di Surgenor. — Sai cos’è quella cosa?

— Non hai ancora capito? — Surgenor incurvò le labbra in un sorriso pallido e incerto, guardando la nuvola luminosa che si allargava. — È l’universo, Al. Stai guardando la totalità della creazione.