Выбрать главу

La ragazza non ha subito danni dall’attacco, ma è rimasta sconvolta dalla morte quasi istantanea del fratello e dalla scomparsa della sorellina. Ora singhiozza irrefrenabilmente tenendo fra le sue la mano del fratello morto. Il padre imbottisce le ferite della moglie con neve vergine e poi se la carica sulle spalle insieme coi grossi fardelli. Un paio di grugniti alla figlia, e questa, pur riluttante, finalmente si scuote e procede ad affardellare ciò che resta delle cose della famiglia.

Al cader della notte, i tre membri superstiti della famiglia giungono in vista di alcune caverne al margine della foresta. Quasi sfinito dal peso della moglie e da quello delle povere cose di famiglia, il padre si siede un momento. La figlia gli si accascia accanto, posandogli la testa in grembo. Piange in silenzio, e il padre le asciuga teneramente le lacrime. Dal cielo splende improvvisa sul gruppetto una luce, e, nel giro di un istante, i tre perdono i sensi.

Nella strana luce bianconeve cala una cesta metallica imbrigliata, lunga sui cinque metri e larga circa un paio, che si posa piano a terra accanto ai tre umani. I lati della cesta si abbattono, e ne escono delle cinghie metalliche che vanno ad avvolgersi attorno a ciascuno dei tre. Le cinghie rientrano quindi nella cesta col loro fardello umano, i lati si rialzano, e lo strano oggetto risale nella notte nevosa. Qualche secondo dopo, la luce a faro si spegne e, nella foresta preistorica, la vita riprende il suo corso normale.

Sopra la Terra siede immoto e silenzioso il cilindro gigante, in attesa del ritorno dei propri inviati. Sotto, il pianeta appare quasi privo di nubi, e le grandi chiazze azzurre d’oceano tremolano come gioielli nella luce riflessa del sole. Presso il terminatore vespertino, gli angoli del sole basso mostrano una vasta distesa di ghiaccio che, dal Polo Nord, copre quasi per intero un grande continente. A ovest, oltre un grande oceano e un’isola settentrionale tutta bianca, il sole meridiano illumina un altro grande continente, anch’esso in gran parte ammantato di ghiaccio. Qui il ghiaccio si estende a sud sui due terzi della massa terrestre, e sparisce del tutto solo là dove il continente s’assottiglia e si perde nel mare meridionale.

Le navette cacciatrici inviate dal grande cilindro tornano alla base a scaricare la preda. Padre, madre ferita e figlia adolescente sono a bordo di una piccola navetta insieme con una sessantina di altri umani, chiaramente prelevati da punti diversi del mondo. Nessuno di loro si muove. Non appena la navetta è approdata alla nave-madre, tutti gli umani preistorici vengono portati da un grosso furgone a una stazione di ricevimento. Qui, una volta accolti e catalogati, vengono condotti in un vasto modulo che riproduce l’ambiente terrestre.

Nell’alto del cielo terrestre torna al cilindro gigante l’ultima navetta esploratrice senza pilota. Dopo un momento di attesa, come per la verifica d’una qualche ignota lista di controllo, il veicolo spaziale cilindrico si dilegua.

GIOVEDÌ

1

All’alba, erano sulla spiaggia. Nel corso della notte, sette balene erano venute ad arenarsi a Deer Key, cinque miglia a est di Key West. I giganteschi leviatani degli abissi, lunghi dai tre ai cinque metri, si dimenavano sulla sabbia come creature impotenti. Un’altra mezza dozzina di membri di questo fuorviato branco di false orche nuotava in cerchio, chiaramente smarrita e confusa, nella bassa laguna del litorale.

Entro le sette di quella serena mattina di marzo erano giunti da Key West degli esperti del ramo, che ora cominciavano a coordinare quello che in seguito sarebbe diventato uno sforzo comune di pescatori locali e marinai da diporto. L’obiettivo era quello, prima di respingere gli animali arenati nella laguna, poi di riportare l’intero branco nel Golfo del Messico. C’erano infatti da poche a zero probabilità che i cetacei potessero sopravvivere altrove che in acque aperte.

Carol Dawson fu la prima reporter ad arrivare sul posto. Parcheggiata la nuova giardinetta coreana dalla linea sportiva sul margine della strada, appena al di qua della spiaggia, Carol balzò a terra per un esame della situazione. Spiaggia e laguna di Deer Key formavano un’insenatura foggiata a mezzaluna. Una corda immaginaria che ne avesse unito i corni sull’acqua avrebbe misurato circa mezzo miglio. Al di là della corda si stendeva il Golfo del Messico. Le sette balene erano entrate nel centro dell’insenatura ed erano finite sulla spiaggia nel punto più lontano dal mare aperto. Ora giacevano separate a una decina di metri le une dalle altre, a circa otto dalla battigia. Il resto del branco era intrappolato nell’acqua bassa a non più di trenta metri dalla riva.

Carol passò dietro la giardinetta. Prima di estrarre la grossa custodia porta-apparecchi, si fermò a sistemare i lacci dei pantaloni. (S’era vestita in fretta, quella mattina, quando era stata svegliata nella stanza d’albergo di Key West dalla telefonata da Miami; e la tuta da ginnastica, che non era precisamente il suo normale abito da lavoro, nascondeva le risorse di un corpo ben formato e scattante, più vicino a quello di una ventenne che di una trentenne.) La custodia conteneva una varietà di macchine fotografiche, fisse e da ripresa. Scelte tre macchine, e infilati in bocca un paio di M M da un pacchetto aperto, si avviò, fermandosi ogni tanto a fotografare la scena mentre attraversava la sabbia verso le persone e le balene arenate.

Avvicinò per primo un uomo che portava la divisa del Centro Ricerche Marine della Florida Meridionale e che, rivolto all’oceano, stava parlando con due ufficiali del reparto Pattugliamento Marittimo della Base Aeronavale di Key West. Attorno ai tre orbitava una dozzina circa di volontari locali, che, pur osservando le distanze, ascoltavano attentamente la discussione. Carol si avvicinò decisa all’uomo del centro-ricerche e lo prese per il braccio.

«Ciao, Jeff» disse.

Lui si girò a guardarla. Dopo un istante, gli si dipinse sul viso un vago sorriso di riconoscimento.

«Carol Dawson, Miami Herald» si affrettò ad aggiungere lei. «Ci siamo conosciuti una sera all’IOM. Ero con Dale Michaels.»

«Ah, ma mi ricordo, mi ricordo sì» disse lui. «Come potrei scordare un così bel faccino?» Dopo un momento, continuò: «Ma che ci fai, tu, qui? A quanto mi risulta, di queste balene nessuno al mondo sapeva niente sino a un’ora fa. E Miami è a oltre cento miglia».

Carol rise, mentre i suoi occhi ringraziavano garbatamente Jeff del complimento. Sebbene continuasse a dispiacerle, s’era ormai abituata ad accettare il fatto che, volente o nolente, ciò che gli altri — gli uomini, in particolare — ricordavano di lei era il suo aspetto.

«Ero già a Key West per un altro servizio, e Dale mi ha telefonato stamane non appena ha saputo delle balene. Posso interromperti un secondo per chiederti un commento ufficiale da esperto?»

Nel parlare, abbassò il braccio per prendere una videocamera di modello recentissimo, una SONY 1993 grande all’incirca quanto un taccuino per appunti, e cominciò la sua intervista al «dottor Jeff Marsden, autorità di primo piano sulle balene delle Key della Florida». L’intervista non fu niente di speciale, naturalmente, e Carol avrebbe potuto fornire lei stessa le risposte. Ma, da brava giornalista, conosceva il valore di un esperto in una situazione del genere…

Il dottor Marsden spiegò che i biologi marini seguitavano a non capire le cause degli arenamenti di balene, sebbene la loro sempre maggior frequenza tra la fine degli anni Ottanta e il principio dei Novanta avesse fornito ampie occasioni di studio. A suo parere, la maggioranza degli esperti li imputava a infestazioni di parassiti subite da singole balene capobranco, che finivano così per guidare fuori rotta le compagne.