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Migliore.

La voglio prendere tra le braccia. Farla sedere sulle mie ginocchia e leggerle Christopher Robin e il dottor Seuss. Spazzolarle i capelli, insegnarle a lavarsi i denti, medicarle le croste sulle ginocchia. Stringerla al tramonto in una stanza piena di peluche, mentre la banda intona Tanti auguri, e vederla crescere e diventare adulta in un mondo libero da ogni male. Voglio scoprire di non poter essere quello che sono sempre stato… e tutto ciò non è affatto un male, perché ho capito una cosa fondamentale.

Non voglio essere il Deviato Dexter. Mai più.

A pensarci, non si tratta tanto di uno shock, ma di un coronamento. Ho vissuto la mia vita muovendomi in una certa direzione e adesso sono qui. Non ho più bisogno di commettere certe cose. Non ho rimpianti, e neanche ne sento la necessità. Ora c’è Lily Anne, che è meglio di qualsiasi danza nell’oscurità. È tempo di andare avanti, di maturare! È tempo di lasciare in soffitta il Vecchio Diabolico Dexter. Quella fase l’ho superata, e ora…

Ora nel coro che celebra la felicità di Dexter si percepisce una nota decisamente stonata. Qualcosa non quadra. Da qualche parte, lì intorno, un riflesso dell’antica vita malvagia oscura il nuovo benessere rosa confetto e un rauco sferragliare altera la nuova melodia.

Qualcuno mi sta osservando.

È il Passeggero Oscuro a sussurrarmi dolcemente il pensiero, soffocando una risatina. Seppur distratto dai miei melodiosi sentimenti, è sempre all’erta. Mi volto con attenta noncuranza, il finto sorriso di un tempo stampato in faccia, ed esamino il corridoio alle mie spalle. Comincio dal lato sinistro, vicino alle macchinette. Un vecchio con la camicia infilata dentro un paio di pantaloni dalla vita troppo alta è appoggiato al distributore delle bibite. Tiene gli occhi chiusi. Un’infermiera gli passa accanto, senza notarlo.

Mi volto a destra, dove il corridoio finisce in una T che da un lato conduce a una fila di stanze e dall’altro agli ascensori. Ed eccolo lì, netto come il bip emesso da un radar, anzi, parte di un bip, dato che il tipo ha appena svoltato l’angolo e ne intravedo solo metà schiena mentre sgattaiola verso l’ascensore. Pantaloni marroncini, camicia scozzese verdastra, un frammento di scarpa da ginnastica — e poi via nel nulla, senza degnarsi di spiegarmi perché mi stava spiando. Ma io so che lo stava facendo, me lo conferma anche il Passeggero Oscuro con quel sorrisetto compiaciuto che mi affiora dentro, ed è come se dicesse: Allora… chi è che ci stavamo per lasciare alle spalle?

Non esiste alcun motivo in questo mondo, né in nessun altro, per cui qualcuno debba interessarsi del vecchio me stesso. Ho la coscienza quanto mai sgombra e cristallina — il che vuol dire, ovviamente, che l’ho sempre pulita con molta cura, e che la sua esistenza poggia su basi concrete quasi quanto quella degli unicorni.

Eppure non si può negare: qualcuno ha cercato di spiarmi e la cosa mi secca non poco, perché non mi viene in mente nessun sano e simpatico motivo per cui questo qualcuno si possa divertire a osservare il Dimesso e Debosciato Dexter. Devo inoltre tener conto che una qualsiasi minaccia per il nostro Dexter può rappresentare un pericolo anche per Lily Anne… e questo non lo posso permettere.

Inutile a dirsi, il Passeggero si sta divertendo come un matto: un attimo fa mi commuovevo dinanzi a questo nuovo virgulto, rinnegando la via della perdizione, mentre ora rieccomi qui, ansioso di uccidere… Stavolta però è diverso. Non penso al divertimento. Penso a proteggere Lily Anne, e anche ora che ho goduto dello sbocciare di questa nuova vita, sono pronto a tagliare allegramente le vene a chiunque osi avvicinarsi a lei.

Confortato da tale pensiero, svolto tranquillamente l’angolo e lancio un’occhiata all’ascensore. Nulla. Il corridoio è vuoto.

Dopo pochi secondi di disarmante silenzio, il mio cellulare comincia a vibrare. Lo estraggo dalla custodia e controllo il numero: è il sergente Deborah, sangue del mio sangue adottivo, mia sorella poliziotto. Senza dubbio mi chiama per congratularsi amorevolmente della nascita di Lily Anne e farmi gli auguri. Rispondo.

— Ciao.

— Dexter. Siamo nella merda. Ho bisogno di te. Vieni subito qui.

— Ora non sono in servizio — le dico. — Sono in congedo per paternità. — Non faccio in tempo a spiegarle che Lily Anne è deliziosa e bellissima e che Rita dorme della grossa in fondo al corridoio, che Deborah mi comunica un indirizzo e interrompe la comunicazione.

Torno a salutare Lily Anne, che agita le manine piuttosto carinamente, ma non replica nulla.

2

L’indirizzo che mi aveva dato Deborah corrispondeva a una vecchia zona di Coconut Grave, priva quindi di palazzi molto alti o di guardiole all’ingresso. Gli edifici erano bassi ed eccentrici e piante e cespugli crescevano un po’ dappertutto, in un’orgia di verde che ricopriva ogni cosa, a parte la strada, comunque stretta e oscurata dalle chiome protese dei banani. Non fu facile farsi largo in mezzo alla dozzina o più di auto d’ordinanza che, arrivate prima di me, si erano accaparrate un parcheggio. Riuscii infine a trovare una fessura accanto a un tentacolare gruppo di bambù, a un isolato di distanza. Vi infilai la macchina e mi incamminai, rassegnato, stringendo il mio kit per l’analisi delle macchie di sangue. La marcia di avvicinamento mi costò più fatica del solito, ma doveva essere la lontananza da Lily Anne a togliermi le forze.

La casa era modesta e quasi interamente coperta dalla vegetazione. Aveva un tetto piatto e inclinato, di quelli che quarant’anni fa si sarebbero definiti “moderni”; sul davanti si ergeva un bizzarro blocco di metallo ritorto, forse una specie di scultura immersa in un laghetto con una fontana che sgorgava lì accanto. Tutto l’insieme era il ritratto preciso della vecchia Coconut Grave.

Molte delle auto di servizio parcheggiate fuori mi erano parse dei federali. Infatti, non appena entrai nell’abitazione, notai un paio di completi grigi in mezzo alle divise blu e alle guayaberas color pastello della nostra squadra. Si aggiravano a gruppetti, come in una sospensione colloidale… alcuni interrogavano i presenti, altri effettuavano rilevamenti, altri ancora si limitavano a guardarsi intorno in cerca di un indizio sufficientemente importante da giustificare la loro presenza sulla scena del crimine.

Deborah faceva parte di un gruppo che si potrebbe definire “provocatore”, il che non suonava poi così strano per chi la conosceva e le voleva bene. Stava infatti questionando con due tipi in completo grigio, tra cui l’agente speciale dell’FBI Brenda Recht, che conoscevo. La mia nemesi, il sergente Doakes, me l’aveva sguinzagliata contro in seguito a un tentato rapimento ai danni dei miei due figli adottivi, Cody e Astor. Nonostante il buon sergente l’avesse infarcita delle sue paranoie, l’agente non era riuscita in alcun modo a provare la mia colpevolezza, ma si era mostrata incredibilmente sospettosa, e non avevo alcuna intenzione di rinverdire la nostra amicizia.

Al suo fianco c’era un altro individuo che potrei definire un federale qualunque, in abito grigio, camicia bianca e scarpe nere lustre. Entrambi fissavano mia sorella, e un altro tipo che non conoscevo. Era biondo, sul metro e ottanta, muscoloso e spaventosamente macho, come se Dio avesse preso Brad Pitt e avesse deciso di renderlo seriamente attraente. Era intento a scrutare una lampada a piantana, mentre Deborah ringhiava non so che cosa all’agente speciale Recht.

Quando mi avvicinai, mia sorella intercettò il mio sguardo, poi tornò a rivolgersi all’agente e aggiunse: — E adesso giù le zampe dalla mia scena del crimine, dannazione! Devo lavorare sul serio, io. — Poi si voltò, mi prese per il braccio e fece: — Laggiù. Andiamo a darci un’occhiata. — Mi trascinò sul retro, borbottando: — Federali del cazzo.