Nessuna risposta. Se ne stavano entrambi con gli occhi bassi, poi Hood tossicchiò. Allora quello con l’occhio gonfio alzò di scatto la testa e guardò il detective, nervoso. Hood indicò Deborah e l’uomo si mise a parlare velocemente in creolo.
Per non so quale inutile idealismo, mia sorella al liceo aveva studiato francese e, per qualche secondo, credette che le fosse d’aiuto per capire quel che le veniva detto. Guardò l’interlocutore tentando di districarsi tra le frasi, infine scosse il capo. — Je nais comprend… Dannazione, non mi ricordo più come si dice. Dexter, cerca qualcuno che possa tradurre.
L’altro uomo, quello claudicante, alzò la testa. — Non ce n’è bisogno — disse. Aveva un accento marcato, ma alla fine si capiva molto meglio di mia sorella che tentava di parlare in francese.
— Bene — fece Deborah. — E il tuo amico? — Indicò l’altro tipo.
Lo Zoppo alzò le spalle. — Parlerò per mio cugino — rispose.
— Okay — disse Debs. — Ti chiediamo di descriverci l’uomo che vi ha venduto quella Porsche… perché si trattava di un uomo, vero?
Alzò di nuovo le spalle. — Di un ragazzo.
— Okay, un ragazzo. E com’era fatto?
— Era un blanc — rispose. — Giovane e…
— Quanto giovane? — l’interruppe Deborah.
— Non saprei. Vecchio abbastanza da portare la barba, perché non se l’era fatta… da tre o quattro giorni.
— Va bene — fece Deborah, perplessa.
— Mi permette di partecipare, sergente? — intervenne Nichole.
Deborah la guardò, poi annuì. — D’accordo — disse. — Fai pure.
Nichole sorrise ai due haitiani. — Complimenti per l’inglese — disse. — Vi farò solo qualche semplice domanda, okay?
Lo Zoppo la scrutò sospettoso, ma visto che lei non smetteva di sorridere, si calmò. — Okay — fece.
Nichole si avventurò in una serie di domande che trovai decisamente vaghe, ma a cui assistetti con interesse; dicevano infatti che era molto brava nel suo mestiere. In principio, pensai l’avessero sopravvalutata, perché chiedeva cose tipo “Che cosa ti ricordi di quell’uomo?”, e quando lo Zoppo rispondeva, si limitava ad annuire e a scribacchiare sul taccuino con un “Ah-ah, okay”. Comunque ottenne un’accurata descrizione dell’individuo che si era presentato al garage con la Porsche di Tyler, di quello che si erano detti e di un mucchio di insulsi particolari. Mi chiedevo come facesse, partendo da lì, a risalire all’identikit di una persona, viva o morta che fosse, ed era chiaro che Debs stava pensando la stessa cosa. In effetti si mise quasi subito a friggere e a schiarirsi la gola, e ogni volta gli haitiani alzavano gli occhi e la guardavano nervosi.
Ma Nichole la ignorò e continuò con quelle sue domande terribilmente generiche, finché, molto lentamente, mi accorsi che stava ricavando una descrizione niente male. Solo a quel punto scese in dettagli più specifici, tipo: — Com’era la forma esterna del viso?
Il prigioniero la scrutò, assente. — Esterna? — ripeté.
— Rispondi — gli ingiunse Hood.
— Non lo so — disse l’uomo.
Nichole guardò il detective, che fece un altro dei suoi sorrisetti e tornò ad appoggiarsi alla parete. — Ti faccio vedere alcune forme — continuò la donna, rivolta all’haitiano. Estrasse un grosso foglio con gli schizzi di diversi ovali. — Ce n’è uno che ti ricorda la forma di quella faccia? — chiese.
Il prigioniero si protese in avanti a esaminarli. Dopo un po’, li guardò anche il cugino dall’occhio gonfio e disse qualcosa a bassa voce. Il primo annuì: — Quello lassù, in cima.
— Questo? — fece Nichole, indicandone uno con la matita.
— Sì. Quello.
Lei annuì e si mise a disegnare, con tratto rapido e sicuro, interrompendosi soltanto per rivolgere altre domande e mostrare altre immagini. Com’era la bocca? E le orecchie? A quali somigliavano? E così via… Finché una vera faccia cominciò a prendere forma sul foglio. Deborah tacque e lasciò che Nichole guidasse i due haitiani nel colloquio. A ogni domanda i cugini si consultavano sottovoce in creolo, infine quello che sapeva l’inglese rispondeva, mentre l’altro annuiva.
Nel complesso lo spettacolo non poté che affascinarmi, tra i due tipi ammanettati che chiacchieravano in creolo e il viso che poco per volta spuntava magicamente dalla pagina, così che mi rammaricai di vederlo finire.
Eppure finì. Nichole alzò l’album per mostrarlo ai due haitiani. Occhio Gonfio, che non parlava inglese, lo fissò con attenzione, poi annuì. — Oui.
— È lui — fece l’altro, sorridendo improvvisamente a Nichole. — Come per magia. — In realtà aveva detto “masgia”, ma si capiva lo stesso.
Deborah, che prima era rimasta seduta a osservare Nichole al lavoro, si alzò e le si avvicinò per vedere il disegno. — Figlio di puttana — disse. Guardò Hood, che era sempre appoggiato alla porta con quel sorrisetto morboso dipinto sulle labbra. — Porta qui quel fascicolo — gli disse. — Quello con le foto.
Hood si diresse all’altro capo del tavolo, dove giaceva una pila traballante di dossier, accanto al telefono. Ne sfogliò cinque o sei mentre Deborah friggeva, impaziente. — Sbrigati, dannazione — lo incitò. Hood annuì, prese un fascicolo e glielo porse.
Debs sparpagliò sul tavolo un mucchio di fotografie, le visionò rapida e ne estrasse una, mostrandola a Nichole. — Niente male — disse, mentre la disegnatrice annuiva e l’avvicinava al suo schizzo.
— Già, davvero niente male — ripeté Nichole, poi guardò mia sorella, radiosa. — Cavoli se sono brava. — Le restituì la foto che Debs mostrò ai due haitiani.
— È questo l’uomo che vi ha venduto la Porsche? — chiese.
Occhio Gonfio stava già facendo sì con la testa. — Oui — rispose. Nell’esaminare la foto, lo Zoppo fece un po’ di scena: si piegò a osservarla attentamente, e infine dichiarò con autorevolezza: — Sì. Non c’è dubbio. È lui.
Deborah li scrutò. — Ne siete convinti? — chiese. — Tutti e due?
Entrambi annuirono energicamente.
— Bon — fece Debs. — Très beaucoup bon. — Gli haitiani sorrisero e Occhio Gonfio disse qualcosa in creolo.
Deborah guardò il cugino per la traduzione.
— Dice se per favore puoi parlare in inglese, così ti può capire — spiegò lo Zoppo con un sorriso ancora più largo.
Vince e Hood ridacchiarono. Ma Deborah era troppo felice per la storia della foto. Niente la poteva turbare. — È Bobby Acosta — disse, e mi guardò. — Quel piccolo bastardo è nostro.
20
Il poliziotto in divisa condusse i due prigionieri in cella di sicurezza. Nichole raccolse i suoi strumenti e se ne andò, mentre Deborah si sedette, fissando la foto di Bobby Acosta. Vince mi guardò, stringendo le spalle come per dire: “E adesso?”.
— Sei ancora qui? — saltò su mia sorella.
— No, me ne sono andato dieci minuti fa — rispose Vince.
— Fottiti — fece Debs.
— Se mi dai una mano.
— Levati dalle palle, coglione.
Vince si congedò con una delle sue terribili risatine artificiali. Deborah lo guardò allontanarsi. La conoscevo bene, e sapevo che cosa sarebbe accaduto, infatti la cosa non mi sorprese.
— Okay — disse, dopo che Vince era sparito da circa trenta secondi. — Andiamo.
— Oh. — Mi mostrai il più possibile colto alla sprovvista. — Vuoi dire che non intendi aspettare il tuo socio, contrariamente al regolamento e all’ordine del capitano Matthews?
— Porta il culo fuori da questa porta — disse Debs.
— E del mio che ci faccio? — chiese Hood.