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— Sì — rispose Deborah, grave.

— È lei l’agente che ha proceduto all’arresto? — fece, come se le stesse chiedendo se aveva stuprato un minorenne.

— Sì — confermò Debs. — E lei chi è?

— Sono DeWanda Hoople, avvocato d’ufficio del sospettato — dichiarò, quasi che tutti dovessero conoscere il suo nome. — Penso che il signor Chapin debba essere lasciato andare.

Mia sorella scosse il capo. — Non credo proprio — disse.

La signorina Hoople mostrò una dentatura di prima classe che definire sorriso sarebbe stato troppo. — Quello che lei crede non mi interessa, sergente Morgan — replicò. — Detto in termini chiari e semplici, le sue accuse non hanno fondamento.

— Quel piccolo bastardo è un cannibale — ringhiò Deborah — e sa che fine ha fatto la ragazza che cerchiamo.

— Mamma mia! — fece la signorina Hoople. — Immagino che abbia delle prove per asserire una cosa simile.

— È corso da me — disse Debs, leggermente seccata — e mi ha detto di non averne mangiata neanche un po’.

Hoople inarcò il sopracciglio. — Ha spiegato di che cosa? — domandò, con la calma di chi si sente dalla parte della ragione.

— Il contesto era chiaro.

— Spiacente — fece Hoople. — Ma in materia di contesti sono una profana.

Conoscendo mia sorella, sapevo che era sul punto di esplodere e, al posto della signorina Hoople, mi sarei preoccupato di indietreggiare, tendendo in avanti le mani. Deborah trasse un profondo respiro e disse tra i denti: — Signorina Hoople, il suo cliente sa dove si trova Samantha Aldovar. Salvarle la vita è la cosa più importante.

L’avvocato non smise di sorridere: — Non più importante della Dichiarazione dei diritti dell’uomo — ribatté. — Deve rilasciarlo.

Deborah la guardò. Nel tentativo di controllarsi, quasi tremava. Se c’era una situazione che richiedeva un forte pugno sul naso, era questa, e non era affatto normale che mia sorella ignorasse tale impulso. Ma combatté e la spuntò. — Signorina Hoople — disse infine.

— Sì, sergente?

— Quando dovremo comunicare ai genitori di Samantha Aldovar che la loro figlia è morta e che lei ha lasciato andare la persona che avrebbe potuto salvarla — fece Deborah — le chiederò di essere presente.

— Non è mestiere mio — replicò l’avvocato.

— Non dovrebbe essere neppure il mio — rispose Deborah. — Ma lei sta facendo in modo che lo diventi. — La signorina Hoople non riuscì a replicare. Allora Deborah si voltò e se ne andò.

22

Guidavo verso casa in mezzo al traffico dell’ora di punta, al solito passo da lumaca, e intanto riflettevo. Erano capitate tante cose strane e sconcertanti, tutte insieme: Samantha Aldovar e i cannibali a Miami, il singolare tracollo emotivo di Deborah e l’inquietante ricomparsa di mio fratello Brian. Ma la più strana di tutte era il Nuovo Dexter che si trovava a fronteggiare queste sfide. Lo Scaltro Signore di Deviate Delizie si era incredibilmente trasformato nel Superpapà Dexter, difensore dei bambini e della vita familiare.

… Eppure, continuavo a passare il mio tempo lontano dalla famiglia, alla sterile caccia di gente malvagia e di una ragazza che neanche conoscevo. Va bene il lavoro, ma come potevo giustificare di aver trascurato mia figlia appena nata, dedicando tutte quel!le ore di straordinario per star dietro a mia sorella, intenta alla freudiana ricerca di una famiglia? Non vi pare un controsenso?

Mentre riflettevo su tali argomenti, mi accadde una cosa ancor più bizzarra e preoccupante: cominciai a sentirmi male. Io, il Diabolico e Distante Dexter, non solo sentivo finalmente qualcosa, ma mi sentivo male! Inorridii al solo pensiero. Mi ero appena congratulato con me stesso per la mia incredibile trasformazione, e poi da Allegro Mattatore mi tramutavo in Parente Assente, passando semplicemente a un altro tipo di violenza. A parte il fatto che ultimamente non avevo più ammazzato nessuno, di quale orgoglio potevo fregiarmi?

Un forte senso di colpa e di vergogna mi invase. Ecco che cosa voleva dire per gli umani essere un vero genitore: io avevo tre splendidi figli e loro avevano me soltanto. Meritavano molto di più. Avevano bisogno di un padre che li guidasse e insegnasse loro a vivere, non di uno che sembrava più interessato a trovare la figlia altrui che a giocare con loro. Tutto ciò era orribile, disumano. Non mi ero affatto riabilitato, ma soltanto trasformato in un altro tipo di mostro.

Senza contare che i ragazzi più grandi, Cody e Astor, continuavano a provare uno spiccato impulso verso l’oscurità. Si affidavano a me perché li guidassi nel mondo dell’ombra. Non soltanto non li avevo aiutati, ma non avevo fatto nulla per distoglierli da tale proposito. Colpa si accumulava a colpa: sapevo benissimo che avrei dovuto passare un po’ più di tempo con loro, riavvicinarli alla luce e mostrargli che la vita custodisce gioie più profonde di quelle che l’omicidio può dare. Per fare questo, avrei dovuto restargli vicino, invece avevo fallito.

Ma forse non era ancora tutto perduto. Forse sarei ancora riuscito a istruirli. D’altronde, per cambiare completamente non basta volerlo. Non era facile emergere dal mio bozzolo perverso e trasformarmi in un padre fatto e finito. Per diventare un essere umano ci voleva tempo, figuriamoci per fare il genitore; per me tutto era nuovo. Dovevo fidarmi un po’ più di me stesso. Avevo molto da imparare, ma ci stavo provando. Inoltre i bambini sono indulgenti. Potevo ripartire da adesso e presentarmi a loro facendo qualcosa di raro e speciale, per dimostrargli che le cose erano cambiate e che era arrivato il loro Vero Padre: di sicuro avrebbero reagito con gioia e rispetto.

Quel proposito mi fece sentire istantaneamente meglio: papà Dex era tornato. Come riprova che ora le cose stavano funzionando secondo le leggi di un universo saggio e compassionevole, scorsi un grande negozio di giocattoli in un centro commerciale alla mia sinistra e, senza esitazioni, accostai la macchina ed entrai.

Mi guardai intorno e ciò che vidi non fu affatto incoraggiante. Erano esposte file e file di giocattoli violenti, neanche mi stessi aggirando in un negozio creato apposta per i figli del vecchio Dexter. C’erano spade, pugnali, sciabole leggere, mitragliatrici, bombe, pistole, fucili che sparavano proiettili di plastica, paintball e sparadardi, missili per far saltare in aria i tuoi amici e volendo anche la loro città, corsie e corsie colme di apparecchi per addestrarsi al massacro ricreativo. Non c’era da stupirsi che il nostro mondo fosse così crudele e violento, né che esistessero persone simili a quello che ero stato prima. Se insegniamo ai ragazzi che ammazzare è divertente, non dobbiamo sorprenderci che qualcuno sia così bravo da imparare a farlo.

Vagai per quella fabbrica di devastazione finché non finii in un angolino del negozio con scritto GIOCHI EDUCATIVI. Ospitava diversi scaffali con oggetti d’artigianato, alcuni kit scientifici e giochi da tavolo. Li esaminai con cura, alla ricerca di qualcosa di appropriato. Doveva essere educativo, d’accordo, ma non noioso o pedante, né da fare da soli, come i modellini da ricostruire. Cercavo qualcosa di esaltante e che si potesse fare in compagnia.

Scelsi infine un gioco a quiz intitolato Capoclasse. Una persona poneva le domande e gli altri, a turno, dovevano rispondere. Ottimo. Avrebbe cementato l’unità familiare e tutti avremmo imparato un sacco di cose, senza rinunciare al divertimento. Cody avrebbe persino dovuto sforzarsi di formulare frasi intere. Perfetto.

Mentre mi dirigevo alla cassa, passai davanti a uno scaffale di libri parlanti, quelli con i bottoni da schiacciare per ottenere effetti sonori. Ce n’erano parecchi di fiabe, e pensai subito a Lily Anne. Che bel pretesto per farla appassionare alla lettura. Potevo leggerle le storie, mentre lei, su mio suggerimento, premeva il pulsante giusto e nel frattempo imparava le fiabe classiche. L’occasione era irrinunciabile, così scelsi tre libri, i più promettenti.