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Andai alla cassa e pagai. Il gioco costava quasi venti dollari, tasse comprese, ma pensai che ne valesse davvero la pena e li spesi senza rimorsi.

Arrivai a casa che era già buio. Tre quarti di una luna solitaria brillavano fiocamente all’orizzonte e mi incitavano bramosi, suggerendo con insistenza quel che Dexter avrebbe potuto fare con un coltello in una nottata simile. Chapin sappiamo dove sta, bisbigliava. Potremmo inciderlo fino ai canini e farci raccontare un po’ di cose interessanti, e faremmo contenti tutti…

Per un istante mi lasciai cullare da quell’impulso seducente; una marea oscura e velenosa mi avviluppò, tentando di inghiottirmi. Poi il peso dei giochi e dei libri che avevo acquistato mi strappò dalle nefaste insidie del chiaro di luna, riportandomi al sicuro nella terra del Nuovo Dexter. Basta; non avrei più dato retta al Passeggero, mai più. Con poche, aspre parole respinsi il mio compagno al suo posto, segregandolo nel profondo. Vattene, gli ordinai, e lui strisciò via come un rettile, tra i singhiozzi. Doveva capire che non ero più quel tipo di persona. Ero diventato papà Dex, che torna a casa impaziente di rivedere Lily Anne e di godere di tutti i nitidi comfort della vita domestica. Ero il sostegno della famiglia, l’educatore dei miei figli, lo scudo contro ogni dolore. Ero papà Dex, la roccia su cui Lily Anne avrebbe costruito il suo futuro, e Capoclasse l’avrebbe dimostrato.

Poi rallentai sotto casa e, non appena scorsi la macchinetta rossa di mio fratello parcheggiata lì davanti, mi tramutai all’istante nel Disorientato Dex. Non avevo idea di che cosa Brian ci facesse di nuovo a casa mia, ma di qualunque cosa si trattasse, non mi piaceva affatto. Lui rappresentava tutto ciò che ero stato e che ora non volevo più essere, dunque non mi andava di vederlo vicino a Lily Anne.

Scesi dall’auto e feci lentamente il giro intorno a quella di mio fratello, scrutandola come se il vero pericolo fosse lei. Era una stupidaggine, ovviamente. Le autobombe non erano nello stile di Brian, che preferiva fare a pezzi la gente con il coltello, proprio come il vecchio me stesso. Non ero più fatto così, anche se la voglia di affettare qualcuno stava tornando anche a me, man mano che mi avvicinavo alla porta, e sentivo quei gridolini di gioia infantile provenire dall’interno. Di tutta la montagna di assurdità, questa era la peggiore: provavo risentimento, sospetto, persino una rabbia squisitamente umana nel sentire che i bambini si stavano divertendo in mia assenza.

Fu così un confuso papà Dex quello che aprì la porta e si ritrovò davanti l’intera famigliola più fratello riunita di fronte al televisore. Rita sedeva a un capo del divano tenendo in braccio Lily Anne, Brian al capo opposto, con Astor in mezzo e tutti avevano un grande sorriso dipinto sul volto. Cody stava in piedi, tra loro e la TV, brandendo un apparecchio di plastica grigiastra verso lo schermo e saltando su e giù, tra i sorrisi dei presenti.

Al mio ingresso, tutti, escluso Cody, mi puntarono gli occhi addosso, poi tornarono a fissare il televisore, senza dare l’impressione di riconoscermi. Brian, invece, non smetteva di osservarmi, con quel suo sorriso finto che si faceva sempre più largo alla vista di me che cercavo di capire, senza successo, che cosa stesse capitando in salotto, nel mio territorio personale.

Poi un sonoro scoppio di risa esplose tra il pubblico, terminando in un “Oooooohhhh…” prolungato, mentre Cody si allontanava torvo dallo schermo.

— Gran partita, Cody — fece Brian, senza staccarmi gli occhi di dosso. — Da paura.

— Ho fatto tanti punti — disse Cody, formulando una frase incredibilmente lunga per lui.

— Già — commentò Brian. — Ora vediamo se tua sorella riesce a batterti.

— Sicuro! — urlò Astor, armeggiando nel vuoto con un altro di quegli apparecchi di plastica. — Sei fritto, Cody!

— Qualcuno mi può dire che cosa diavolo sta succedendo? — chiesi, e intanto mi facevo pena da solo.

— Oh, Dexter — fece Rita, guardandomi come se fossi un oggetto qualsiasi che vedeva per la prima volta nel suo salotto. — E che Brian… tuo fratello ha regalato ai ragazzi una Wii, ed è davvero… ma non doveva — continuò, voltandosi a guardare il televisore. — Cioè, è troppo costosa, e… glielo dici tu? Perché… Oh! Bel colpo, Astor! — Si mise a saltellare dall’eccitazione, agitando leggermente la testa di Lily Anne.

Era chiaro che se mi fossi spogliato e dato fuoco nessuno se ne sarebbe accorto, a parte Brian.

— È davvero ottima per loro — mi disse lui, con il suo sorriso da Stregatto. — Li aiuta a fare esercizio e sviluppa le loro capacità motorie. Senza contare — aggiunse — che è terribilmente divertente. Devi provarla, fratello.

Restituii a Brian il suo finto sorriso, mentre la luna in strada invocava il mio nome, promettendomi nitide e gioiose soddisfazioni. Mi voltai e vidi Rita e i ragazzi, felicemente presi dalla loro nuova, splendida esperienza, e all’improvviso la scatola che tenevo sotto il braccio, con dentro Capoclasse, quasi venti dollari tasse comprese, mi parve pesante e inutile come un vecchio barile di petrolio colmo di teste di pesce. Mi cadde a terra, e intanto mi vedevo davanti il cartone animato di Dexter che correva piangente nella sua stanza e affondava la testa nel cuscino, singhiozzando con il cuore spezzato.

Fortunatamente, a confronto con la classica idea di paternità, l’immagine mi parve così ridicola che mi limitai a trarre un profondo sospiro, a esclamare: — Ops! — e a chinarmi per raccogliere il pacco.

Per me sul divano non c’era spazio, perciò passai davanti al gruppetto, che spostava la testa per non perdersi neanche un singolo, emozionante secondo dell’epico scontro televisivo di Astor. Posai il gioco sul pavimento e sedetti, a disagio, su una poltrona. Mi sentivo gli occhi di Brian addosso, ma non lo guardai; mi sforzai soltanto di mantenere una facciata di educato entusiasmo e, dopo qualche secondo, lui tornò a fissare il televisore. Per tutti gli occupanti della stanza ero di nuovo scomparso, come se non fossi mai esistito.

Osservai Cody e Astor mentre si alternavano al costosissimo apparecchio. Nonostante la loro eccitazione, non riuscivo proprio a entusiasmarmi. Erano passati a un gioco diverso, in cui bisognava ammazzare la gente con una spada anziché con la pistola, ma neppure la vista di una lama suscitò in me il minimo interesse. Naturalmente, erano tutti così felici che soltanto uno scorbutico avrebbe avuto da obiettare… il che voleva dire che avrei dovuto aggiungere la parola “scorbutico” al mio curriculum. Dexter Morgan, Analista di macchie di sangue, Massacratore Redento, attualmente impiegato come Guastafeste. Desiderai quasi che Debs fosse stata presente. Intanto perché Brian sarebbe stato costretto ad andarsene, ma soprattutto perché avrei potuto dirle: “Guarda che cosa rimpiangi: dei bambini, una famiglia… ah-ha!”. E con una risata amara ne avrei sottolineato la fragilità.

— Oooooohhh — esclamò Astor con una vocina alta e stridula, e Cody si precipitò a giocare.

Era chiaro che avrei potuto fare qualunque cosa, ma loro non mi avrebbero mai apprezzato davvero né avrebbero mai fatto tesoro di quel che avevo da offrirgli. Non erano solo sleali, erano anche indifferenti come gattini, piccoli predatori distratti dal primo pezzo di cordino o da un qualsiasi gingillo luccicante che rotola sul pavimento, e non avrei potuto in alcun modo far breccia nella loro ostinata inconsapevolezza.

Poi sarebbero cresciuti… diventando che cosa? Degli assassini simulatori come me e Brian, pronti a pugnalarsi senza esitazione alle spalle, in senso proprio o figurato. Qual era il punto? Che avrebbero vissuto un’infanzia all’insegna del caos e della confusione e, raggiunta l’età giusta per capire il mio messaggio, sarebbero stati troppo vecchi per riuscire a cambiare. Era sufficiente per farmi abdicare alla mia nuova umanità e scivolare fuori, nell’avvolgente chiaro di luna, in cerca di qualcuno da fare a pezzi. Stavolta niente selezioni accurate né raffinatezze, solo pura e liberatoria violenza gratuita, proprio come faceva Brian.