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Lo stavo scoprendo nel modo più traumatico, continuando a sbattere ogni volta il naso, e ora desideravo soltanto prendere qualcuno per la gola e stringere…

Attraverso il corridoio mi arrivò il monotono vociare di Rita e dei ragazzi che recitavano le preghiere. Non le avevo mai imparate a memoria, il che mi ricordò ulteriormente che non ero ancora papà Dex e forse non lo sarei mai diventato. Credevo di essere l’unico leopardo della storia a cambiare manto, invece ero un gatto randagio qualunque costretto a nutrirsi di spazzatura.

Mi alzai. Avevo bisogno di muovermi, calmarmi, raccogliere le idee e contenere l’affiorare di questi sentimenti bizzarri e brutali, prima che mi trascinassero via in una marea di stupidità. Entrai in cucina, accompagnato dal ronzio della lavastoviglie. Sentii scattare il congelatore. In casa, tutto era lindo e funzionale: tutti i dispositivi preposti alla felicità domestica erano al proprio posto e facevano il loro dovere, eccetto me. Non ero stato fatto per essere incassato dentro la cucina di questa o di un’altra casa. Ero fatto per il baluginare della lama affilata al chiaro di luna, per il rassicurante scatto del nastro isolante sul suo rullo e per le urla soffocate dei malvagi, giunti al cospetto del loro sterminatore…

Eppure vi avevo rinunciato, abdicando alla mia vera natura, cercando di adattarmi a un modello che neanche esisteva, come un demone sbattuto sulla copertina del “Saturday Evening Post”, con l’unico esito di trasformarmi in un perfetto idiota. Non c’era da stupirsi che Brian fosse stato capace di portarmi via i bambini così facilmente. Non sarei mai riuscito a trascinarli lontano dal lato oscuro, senza proporgli in cambio un convincente modello di bontà.

Inoltre, con tutta la cattiveria esistente al giorno d’oggi, come avrei potuto appendere il coltello al chiodo? C’era così tanto lavoro da fare, e tanti aspiranti compagni di gioco che avevano bisogno di imparare le nuove regole, le regole di Dexter. C’erano persino dei cannibali in giro per Miami! Potevo forse sedermi in poltrona a sferruzzare, mentre loro infierivano sulla Samantha Aldovar di turno? Dopo tutto, anche lei era una figlia, e c’era qualcuno che provava per lei lo stesso affetto che sentivo per Lily Anne.

A questo pensiero, una rabbia bruciante mi affiorò dentro, e persi il controllo. Avrebbero potuto prendere anche Lily Anne. Prima o poi sarebbe potuto accadere, e io non stavo facendo nulla per proteggerla. Ero uno stupido illuso. Mi stavano attaccando su tutti i fronti e io li stavo semplicemente lasciando fare. Stavo permettendo ai predatori di appostarsi e uccidere, e se un giorno o l’altro fosse stato il turno di Lily Anne, o di Cody e Astor, la colpa sarebbe stata mia. Ero perfettamente in grado di proteggere la mia famiglia dai mali del mondo, ma mi ero illuso che i pensieri gentili bastassero a tenere lontani i mostri, mentre i mostri erano in agguato dietro la mia stessa porta.

Guardai fuori dalla finestra sul retro, nel nero del cortile. Le nubi avevano offuscato la luna, e il buio era pressoché totale. Questo era realmente il mondo: solo oscurità, che celava zone di erba secca e sporcizia. Niente andava per il verso giusto. E sarebbe sempre stato così. In qualsiasi luogo. Per chiunque. Ci sono solo oscurità, decadenza e lerciume, e se cerchi di convincerti che esiste anche qualcos’altro, in cambio otterrai soltanto sofferenza. Non ci potevo fare nulla. Proprio nulla.

… Poi le nubi si aprirono e un debole raggio di luna illuminò le tenebre, e la vocina sibilante tornò ancora una volta a stuzzicarmi. C’è una cosa sola…

E quel semplice pensiero era il più sensato al mondo.

— Torno subito — dicemmo a Rita, che sedeva sul divano con la bambina in braccio. — Ho del lavoro da finire.

— In che senso torni? — cinguettò lei, confusa. — Non mi dire che stai andando… ma è notte!

— Sì, lo so — rispondemmo, e il nostro sorriso luccicò al solo pensiero del buio vellutato che ci attendeva fuori.

— Be’, ma non puoi… non puoi aspettare fino a domani mattina?

— No — replicammo. Dal nostro tono trapelava l’allegra follia di tale gesto. — Non posso. È una faccenda da sbrigare stanotte. — La verità si leggeva chiaramente sul nostro viso.

Rita aggrottò la fronte, ma disse soltanto: — Be’, spero che tu… oh! Ho svuotato il cestino dei pannolini, ed è davvero… puoi prendere il sacchetto e… — Balzò in piedi e si diresse in corridoio.

L’interruzione mi innervosì non poco, ma per fortuna fu di ritorno dopo qualche secondo, stringendo un sacco della spazzatura.

Me lo porse, dicendo: — Mentre esci, ti dispiace… ma devi proprio andarci? Cioè, non è che ci metti tanto? Perché, cioè, guida piano, ma…

— Non ci metto tanto — la rassicurammo, impazienti. Poi uscimmo, accolti dalla notte e dai suoi raggi di luna che stillavano dalle nubi, promettendo l’unica cosa che avrebbe lavato via la sorda sofferenza per aver tentato di tradire, invano, la mia natura. Posammo frettolosamente l’immondizia sul pavimento del sedile posteriore, insieme ai nostri giocattoli, e salimmo in macchina.

Guidammo a nord nel poco traffico, in direzione del lavoro, proprio come avevamo detto, ma non ci riferivamo a quello diurno, caotico e disordinato. Ci apprestavamo a un compito ben più divertente, lontano dalla noia e verso la delizia, sempre verso nord ma oltre l’aeroporto, sulla rampa che conduce a Miami Beach. Infine rallentammo, avanzando attentamente lungo la strada, in cerca di una certa casa color giallo pastello in un quartiere modesto.

“Il locale non apre fino alle undici” aveva detto Deborah. Vi passammo davanti con cautela e notammo le luci accese, all’interno e all’esterno, e un’auto nel vialetto che prima non c’era. Doveva essere quella della madre, ovvio, il che aveva perfettamente senso, visto che probabilmente la usava durante il giorno per andare al lavoro. Molto vicino alla casa, per metà in ombra, era parcheggiata la Mustang. Lui era lì. Non erano ancora le dieci e South Beach non era lontano. Doveva essere dentro, a godere della libertà ingiustamente ottenuta, e a pensare che ancora una volta nel suo piccolo mondo tutto era filato liscio: era proprio così che lo volevamo.

Avevamo molto tempo davanti e pensammo freddamente che la cosa non ci dispiaceva affatto.

Facemmo il giro dell’isolato per assicurarci che non vi fosse nulla di sospetto, e non notammo nulla. Era tutto calmo e tranquillo; le case erano linde, illuminate e ben protette dagli artigli affilati della notte.

Proseguimmo. Quattro isolati più avanti scorgemmo una casa con un container che giaceva nel prato incolto, senza dubbio contenente i beni pignorati dei vecchi abitanti: proprio quel che faceva al caso nostro. Gli edifici intorno erano bui, si scorgeva soltanto una luce due porte più avanti, ma tutto era silenzioso e la casa con il container era perfetta. Pignorata, vuota, in attesa che vi arrivasse gente con un nuovo sogno, cosa che presto sarebbe successa, anche se per qualcuno si sarebbe trattato di un incubo. Parcheggiammo sotto a un lampione rotto, un isolato più lontano, accanto a una siepe. Uscimmo lentamente, pregustando l’attesa e l’allegro rito della preparazione, predisponendo tutto per l’evento che avrebbe avuto luogo un’altra volta e, oh!, così presto.

L’ingresso posteriore della casa, che si trovava al riparo da qualsiasi sguardo indiscreto, si aprì rapidamente e in silenzio. All’interno, l’abitazione era vuota e immersa nel buio, a eccezione della cucina, dal cui lucernario penetravano raggi di luna che illuminavano un bancone da macellaio. A quella vista, esplodemmo in un coro di gioia. Ecco la conferma di quanto sarebbe successo quella notte, che sembrava fatta apposta per noi; quella stanza era il posto adatto al nostro scopo e, quasi a incentivo della nostra malvagità, trovammo anche mezzo scatolone di sacchi per l’immondizia.