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E la musica cresce e noi lo trasciniamo lontano, dove ha inizio la danza, l’adorabile coreografia della Fine, con i suoi veloci passi e i movimenti così familiari che odorano di nastro isolante e di paura. Stanotte la lama è rapida e affilata e si muove a tempo con il ritmo crescente della luna per sfociare nel ritornello finale, fonte di immenso piacere… perché il mondo è gioia, gioia, gioia.

Ci fermiamo un istante prima della fine. Un orribile dubbio si insinua come una lucertolina nel nostro piacere e striscia sull’aureola della nostra felicità. Lo guardiamo, mentre continua a dimenarsi terrorizzato per quanto gli sta accadendo e per il pensiero che gli accadrà molto di peggio.

Hai quasi finito, sussurra la voce. Non fermarti adesso…

Chiaro che non ci fermeremo. Ma ci interrompiamo un istante. Osserviamo l’essere che si contorce sotto il nostro coltello. È quasi andato, e ora respira piano, ma continua ad accanirsi contro i legacci, come se una bollicina gravida di speranza lottasse contro il dolore e l’agonia. Prima di far scoppiare quella fragile bolla, dobbiamo sapere un’ultima cosa, un piccolo dettaglio necessario a spalancare le porte del nostro piacere.

— Bene, Victor — sibiliamo gelidi — che sapore ha Tyler Spanos? — Gli strappiamo via il nastro isolante dalla bocca. È troppo sofferente per accorgersene, ma trae un sospiro profondo e lentamente cerca il mio sguardo. — Che sapore ha? — ripetiamo, e lui annuisce, in segno d’accettazione del proprio destino.

— È squisita — dice con la voce stentorea di chi sa che non c’è più tempo per le menzogne. — Più buona delle altre. È stato… divertente… — Chiude gli occhi per un istante, e quando li riapre una piccola speranza balena nel suo sguardo: — Mi lascerai andare, adesso? — chiede, incerto come un bambino spaurito, anche se conosce già la risposta.

Un frullio d’ali ci sovrasta e non udiamo neanche la nostra voce che dice: — Sì, puoi andartene. — E un istante dopo così accade.

Abbandonammo la Mustang di Chapin dietro a un centro commerciale Lucky 7 a poco più di un chilometro dall’abitazione, con le chiavi ancora all’interno. A Miami non avrebbe superato la nottata; entro l’indomani sarebbe stata riverniciata e imbarcata per l’America del Sud. Vista la situazione, con Victor ci era toccato sbrigarcela un po’ più in fretta del solito, ma ora ci sentivamo incredibilmente meglio, come accadeva sempre. Quando salii sulla mia fida macchinetta diretto a casa, stavo quasi canticchiando.

Mi lavai con cura, mentre l’eccitazione man mano si placava. Debs si sarebbe sentita un po’ meglio. Anche se non le avrei detto nulla, ovviamente. Ma Chapin si era guadagnato il ruolo di protagonista nel proprio piccolo dramma notturno, e il mondo era diventato leggermente migliore.

Come me, d’altronde, che mi sentivo più calmo, rilassato e pronto a fronteggiare il precipitare degli ultimi eventi. Era vero che avevo cercato di lasciarmi queste cose alle spalle e non c’ero riuscito, ma si era trattato di uno scivolone irrilevante e necessario, che avrei avuto cura di non ripetere. Un piccolo passo indietro, per una volta, non è niente di che. Dopo tutto, nessuno smette di fumare all’istante, no? Ora che ero più calmo e controllato, non sarebbe più accaduto. Fine dell’incidente, e ritorno al mio comportamento da pecorella… stavolta per sempre.

Mentre tentavo di radicare questi pensieri nella mente del mio nuovo, radioso personaggio, mi sentii strattonare dal fiero artiglio del Passeggero che mormorava: Certo… fino alla prossima volta…

La mia brusca reazione ci sorprese entrambi: No!, esclamai dentro di me con uno scatto di rabbia. Non ci sarà nessuna prossima volta. Vattene! Ora lo volevo davvero, così fortemente che il Passeggero ammutolì scioccato per poi ritirarsi dignitosamente e infine sparire. Inspirai ed espirai lentamente. Chapin sarebbe stato l’ultimo, irrilevante ostacolo nella costruzione dello smagliante futuro di Lily Anne. Non sarebbe successo mai più. Stammi lontano!, esclamai a mo’ di conferma.

Non udii risposta, soltanto il remoto sbattere di una porta in una delle alte torri del Maniero Dexter.

Mentre mi lavavo le mani, mi guardai allo specchio del lavandino. Un uomo nuovo rispose al mio sguardo. Stavolta era finita, finita sul serio. In quei luoghi oscuri non avrei mai più fatto ritorno.

Mi asciugai, gettai i miei indumenti nella roba da lavare ed entrai in punta di piedi in camera da letto. Quando scivolai sotto le coperte, l’orologio del comodino segnava le 2.59.

I sogni arrivarono puntuali, non appena mi addormentai.

Sono di nuovo addosso a Chapin, e impugno il coltello per farlo a fette… Ma quello sul tavolo non è più lui; è Brian, immobilizzato dal nastro isolante. Il suo sorriso è così largo e finto che spunta persino dal nastro con cui gli ho chiuso la bocca. Alzo il coltello più in alto, ed ecco che Cody e Astor compaiono alle mie spalle. Brandiscono i joystick della Wii e me li puntano addosso, cliccando con furia: mi sto muovendo al loro comando. Abbasso il coltello, l’allontano da Brian e lo rivolgo verso me stesso, finché non sto per affondarmelo in gola. Un urlo terribile arriva dal tavolo alle mie spalle. Mi volto. Al posto di Brian, stretta dal nastro isolante, vedo Lily Anne, che agita i suoi ditini perfetti nella mia direzione…

… e Rita che mi tira una gomitata. — Avanti Dexter, svegliati, per piacere — e io obbedisco. L’orologio segna le 3.28 e Lily Anne piange.

— Tocca a te — borbottò Rita alle mie spalle, poi si rigirò sotto le coperte e si coprì la testa con il cuscino. Mi alzai, le gambe pesanti come il piombo, e barcollai verso la culla. Lily Anne agitava in aria manine e piedini e per un istante non riuscii a distinguere il sogno dalla realtà e mi bloccai, titubante e perplesso. Poi il faccino di Lily Anne cambiò espressione e mi accorsi che stava per strillare a tutto volume, allora scossi il capo per scacciare le nebbie del sonno. Stupido sogno. Come lo sono tutti, d’altronde.

Presi in braccio Lily Anne e la stesi dolcemente sul fasciatoio, mormorandole rassicuranti sciocchezze; dubitavo che potessero calmarla, pronunciate dalla mia voce gracchiante per il sonno. Eppure funzionò. Le cambiai il pannolino, mi sedetti sulla sedia a dondolo vicino al fasciatoio e, dopo poco, lei si calmò.

Il senso di angoscia provocato dal mio stupido sogno si acquietò; continuai a cullarla, canticchiando, ancora per qualche minuto, e quando fui certo che Lily Anne si fosse addormentata, mi alzai e la misi a letto, ripiegandole intorno le coperte come a formare un piccolo nido.

Mi ero appena sdraiato nel mio di nido, quando squillò il telefono. Lily Anne scoppiò a piangere all’istante, mentre Rita esclamava: — Oh, Cristo — che detto da lei mi fece un certo effetto.

Non c’era il minimo dubbio su chi fosse a quell’ora. Doveva essere Deborah, che chiamava per comunicarmi nuove, terrificanti emergenze e farmi sentire in colpa se non balzavo istantaneamente dal letto per correre al suo fianco. In principio, pensai di non rispondere: dopo tutto era una donna adulta, ed era ora che cominciasse a camminare sulle sue gambe. Poi subentrarono l’abitudine e il senso del dovere, e una gomitata da parte di Rita. — Mio Dio, Dexter, rispondi — sbottò, e alla fine cedetti.

— Sì? — feci, lasciando trapelare la mia irritazione.

— Mi servi qui, Dex — disse Deborah. Aveva la voce seriamente affaticata, e non solo. Sembrava addolorata anche, come le capitava di recente, ma il ritornello era sempre lo stesso e stavo cominciando a stufarmi. — Sto venendo a prenderti.

— Mi dispiace, Deborah — protestai con decisione. — L’orario di lavoro è finito e devo stare con la mia famiglia.