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— Hanno trovato Deke — dichiarò. Dal modo in cui me lo disse mi passò la voglia di sentire il resto, ma lei proseguì lo stesso. — È morto, Dexter — fece. — Ed è stato in parte mangiato.

24

Che i poliziotti siano insensibili è una verità trita e ritrita, uno stereotipo così abusato che viene utilizzato spesso anche dalla TV. Ogni giorno tali individui si imbattono in eventi così macabri, brutali e bizzarri che nessuna persona normale può pensare di averci a che fare quotidianamente e restare sana. Per questo i poliziotti hanno imparato a mantenersi distanti e impassibili dinanzi alle stranezze che gli esseri umani commettono l’uno verso l’altro. Nessuno esterna emozioni, e forse i poliziotti di Miami ci riescono meglio degli altri, perché hanno più occasioni per imparare.

Per questo motivo, quando arrivai sulla scena del crimine, notai con visibile imbarazzo i volti scioccati e tetri degli uomini di sorveglianza; ma il mio sconcerto aumentò quando mi infilai sotto il nastro giallo e sorpresi Vince Masuoka e Angel Batista Nessuna Parentela, i più nerds della Scientifica, che se ne stavano in disparte, zitti e cadaverici. Questa è gente che approfitta di un fegato umano in bella vista per fare una battuta di spirito, ma evidentemente ciò a cui avevano assistito doveva essere stato così orribile da fargli passare l’ispirazione.

Dinanzi alla morte, tutti i poliziotti erigono un muro di freddezza. Ma inspiegabilmente, quando la vittima è un altro poliziotto, il muro di cinismo crolla e le emozioni fluiscono come linfa dagli alberi. Persino se il poliziotto in questione è uno di cui non è mai importato niente a nessuno, come Deke Slater.

Il corpo era stato gettato dietro a un piccolo cinema in Lincoln Road, accanto a un mucchio di vecchi mobili, quadri e a un cassonetto colmo di sacchi della spazzatura. Giaceva sulla schiena, in una posa quasi melodrammatica, a torso nudo, le mani incrociate sul petto aggrappate a una specie di paletto di legno, conficcato all’altezza del cuore.

Aveva il volto contratto in una maschera di agonia, presumibilmente dovuta al paletto che gli attraversava la pelle e le ossa, ma si trattava senza dubbio di Deke, nonostante gli fosse stata strappata via un bel po’ di carne dal viso e dalle braccia e i segni dei denti fossero visibili a un metro di distanza. Persino io, alla vista di ciò che restava dell’irritante e belloccio socio di mia sorella, provai un discreto moto di pietà.

— Abbiamo trovato questo — disse Debs alle mie spalle, porgendomi una busta per i reperti con un foglietto all’interno.

In un angolo era macchiata di sangue secco e marroncino, ma la presi lo stesso e l’esaminai. Sul biglietto era scritto un breve messaggio, con caratteri grandi ed elaborati che potevano provenire da un qualsiasi computer del mondo. Diceva: “È piaciuto a chi non era di suo gusto”.

— Non li facevo così intelligenti questi cannibali — commentai.

Deborah mi fissò: la tensione covata nei giorni precedenti ora veniva lentamente a galla. — Già — saltò su. — È davvero divertente. Specie per uno come te, che ama queste cose.

— Debs — feci, e mi guardai intorno sperando che nessuno avesse sentito. Non scorsi nessuno a portata d’orecchio, ma, a giudicare dalla sua faccia, dubito che gliene sarebbe importato qualcosa.

— Per questo mi servi qui, Dexter — continuò lei. Parlava a voce sempre più alta e la sua furia cresceva. — Perché per colpa di questa fottuta storia ho perso la pazienza e adesso ho perso anche il mio socio… e Samantha Aldovar sta per perdere la vita e in tutta questa merda io ho bisogno di capirci qualcosa… — Si interruppe e inspirò profondamente, poi abbassò leggermente la voce: — E quindi voglio trovare quei bastardi e sbatterli dentro. — Mi piazzò una ditata sul petto e abbassò ancora di più la voce. — Ed ecco che entri in scena tu. Tu — ditata, ditata — entri in trance, o parli con il tuo spirito guida, o prendi la tavoletta Ouija, insomma fa’ quello che ti pare — ogni parola un’ulteriore ditata — ma… fallo… adesso.

— Deborah — protestai. — Non è così semplice. Sul serio. — Mia sorella era l’unica persona ancora vivente a cui avessi parlato del mio Passeggero Oscuro; credo però che avesse deliberatamente frainteso la mia maldestra descrizione della vocina che mi sussurra dai sotterranei anche quando sono cosciente. È vero che in passato mi era stata d’aiuto con alcune ottime intuizioni, ma agli occhi di Deborah sembrava una specie di oscuro Sherlock Holmes che potevo evocare a mio piacimento.

— Semplificala tu, allora — replicò, poi si voltò, diretta verso il nastro giallo.

Non troppo tempo fa mi ero ritenuto fortunato ad avere una famiglia. Ora, in un’unica nottata, ero stato ignorato da mia moglie e dai miei bambini, sostituito da mio fratello e gravato di impossibili aspettative da parte di mia sorella. La mia adorabile famiglia… L’avrei barattata volentieri in cambio di una decente ciambella coi canditi.

In ogni caso, mi avevano messo alle strette e dovevo provare. Inspirai profondamente, tentando di scacciar via le mie nuove emozioni. Poggiai a terra il mio kit e mi chinai accanto al cadavere smembrato di Deke Slater. Esaminai con attenzione le ferite sul viso e sulle braccia, quasi certamente infette da denti umani, su cui si evidenziavano tracce di sangue secco, segno che erano state fatte mentre il cuore era ancora in funzione. Era stato mangiato vivo.

Altre tracce di sangue si scorgevano nel punto in cui il paletto era conficcato nel petto e rigavano l’intero torace: dunque, quando gliel’avevano affondato dentro Deke era ancora in vita, seppure per poco. Il sangue doveva avergli bagnato la camicia. Forse gli era stata tolta per questo motivo, o perché a qualcuno piacevano i suoi addominali. Ecco come mai ne mancavano parecchi bocconi.

Sullo stomaco, intorno ai segni dei denti notai una debole macchia marroncina: non sembrava sangue. Dopo un momento mi tornò in mente quella sostanza rinvenuta nelle Everglades. La bevanda preparata per il party, a base di ecstasy e salvia. Estrassi dal mio kit alcuni strumenti per rilevare i campioni e infilai i tamponi in una busta per i reperti.

Esaminai più in alto, sopra le ferite al petto e alle mani, strette intorno al paletto, senza notare nulla di significativo. Si trattava di un pezzo di legno qualsiasi. Sotto le unghie scorsi qualcosa di scuro, forse dovuto alla lotta; tentai di analizzarlo a prima vista, proprio come un oscuro Sherlock, il che era soltanto una perdita di tempo. I colleghi della Scientifica si sarebbero precipitati in picchiata e l’avrebbero fatto molto meglio di me, che volevo provarci a occhio nudo. Quello di cui avevo bisogno e che Deborah pretendeva da me era una delle mie intuizioni speciali sulle menti deviate e perverse che avevano deciso di far fuori Deke in quel modo. Nel passato riuscivo sempre a vedere le cose più chiaramente degli altri colleghi, perché io stesso ero deviato e perverso.

Ma adesso? Adesso che ero cambiato ed ero diventato papà Dex, ignorato e snobbato dal Passeggero, ci sarei ancora riuscito?

Non lo sapevo e non mi interessava neanche scoprirlo, ma sembrava che mia sorella non mi avesse lasciato scelta. Come in tutte le situazioni in cui c’era in ballo la famiglia, le mie opzioni variavano tra l’impossibile e lo sgradevole.

Chiusi dunque gli occhi, in attesa di qualche scaltro suggerimento.

Nulla. Non un fruscio d’ali, né un cenno di irritato risentimento, neanche una stizzita manifestazione di rifiuto. Sembrava che il Passeggero non esistesse.

Oh, avanti, lo invocai in silenzio nel luogo in cui viveva. Piantala di fare l’offeso.

Udii un verso di distaccato disprezzo, come se non meritassi risposta.

Per favore…?

Subito non udii risposta, poi percepii chiaramente un rettiliano hmmf, uno sbattere d’ali, e infine udii crudelmente riecheggiare la mia voce che diceva: Stammi lontano!, seguita dal silenzio, come se avesse tolto la comunicazione.