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Guardai Deborah che scosse il capo, allora aspettai un altro po’. Uno sprazzo di luce aranciata spuntò sull’oceano e all’improvviso si fece giorno. Passarono tre giovani in costume da bagno che parlavano tedesco, diretti alla spiaggia. La visione del sole nascente mi ispirò una certa dose di ottimismo; mi convinsi di avere una possibilità su tre che quello non sarebbe stato il mio ultimo giorno sulla terra.

— Okay — disse infine Deborah. — È ora.

Osservai il locale. Che fosse ora a me non sembrava affatto. Forse poteva essere ora di andare a dormire, ma certamente non di entrare nella tana del mostro, non con tutta quella luce, almeno. Dexter si muove nelle tenebre, nel buio e nel fioco chiarore della luna, e non alla luce del sole. Ma, come al solito, non avevo scelta.

— Potrebbe esserci qualcuno là dentro. Una guardia, o simili — fece Debs. — Fa’ attenzione.

Non trovai la sua raccomandazione degna di risposta, così mi limitai a inspirare e a richiamare in me l’oscurità, per prepararmi.

— Il cellulare ce l’hai, no? — continuava. — Se ci sono problemi, o se la trovi e lei è sorvegliata, chiama il 911 ed esci di lì. Dovrebbe essere semplice.

— Non proprio come restarsene in macchina — replicai. Ero piuttosto scocciato, lo ammetto. Come se non bastasse, Debs non se ne stava a bocca chiusa. Come fa una persona a evocare il suo Passeggero se gli altri intorno continuano a chiacchierare?

— Bene — concluse. — E, mi raccomando, sta’ attento, okay?

Visto che il discorso non accennava a finire, misi una mano sulla portiera e dissi: — Andrà tutto bene, ne sono certo. Che cosa potrebbe mai succedermi di male nell’introdurmi in un covo di vampiri e cannibali che hanno già rapito e ammazzato diversa gente?

— Cristo, Dexter — fece Debs, ma io non ebbi pietà.

— Dopo tutto, ho un cellulare — continuai. — Se mi prendono, li minaccerò con un SMS.

— E va bene, cazzo — sbottò lei.

Spalancai la portiera. — Apri il bagagliaio — dissi.

Sbatté le palpebre. — Come?

— Apri il bagagliaio della macchina — ripetei.

Debs tentò di piazzare altre parole, ma io ero già in piedi, lì davanti. Appena sentii lo scatto, spalancai il bagagliaio, recuperai il grosso cacciavite del kit per smontare gli pneumatici e me lo infilai in tasca, coprendo il manico sporgente con la camicia. Richiusi il tutto e raggiunsi Deborah, che aveva abbassato il finestrino.

— Addio, sorellina — feci. — Di’ alla mamma che sono morto da eroe.

— Cristo santo, Dexter — saltò su lei.

Attraversai la strada e l’abbandonai alle sue concitate imprecazioni.

A essere sincero, sperai davvero che sarebbe stato semplice come sosteneva Deborah. Per uno dotato delle mie modeste abilità, entrare non rappresentava un problema. Durante il mio innocente hobby, mi ero introdotto in posti molto meno accessibili e per di più abitati da mostri veri, non da quei freak conciati come se fosse Halloween, con il mantello nero neanche andassero all’opera e i denti finti. Con la luce del giorno che ora illuminava South Beach, proprio non riuscivo a prendere sul serio le loro festicciole adolescenziali.

Sorprendentemente, non riuscivo neppure a entrare in collegamento con il Passeggero. Avevo un incredibile bisogno dei suoi avvertimenti e dell’invisibile cappa di oscurità che solo lui era in grado di fornirmi, ma, nonostante la sua rapida comparsata poco prima nel club, doveva essere ancora offeso. Mi fermai sul lato opposto della strada e chiusi gli occhi, poggiai la mano su un palo del telefono e pensai: Pronto? Ce qualcuno in casa? Qualcuno c’era, ma sembrava non gradire visite; percepii un lento e leggero frullio d’ali, come se si stesse sgranchendo gli arti in attesa di quel che sarebbe successo. Avanti, pensai. Ancora nulla.

Aprii gli occhi. Un camion percorreva Ocean Drive, con la radio che trasmetteva salsa a tutto volume. Ma fu l’unica musica che sentii. A quanto pareva, avrei dovuto cavarmela da solo.

E va bene, allora: quando il gioco si fa duro eccetera. Mi infilai le mani in tasca e mi misi a passeggiare intorno all’edificio, cazzeggiando senza meta. Caspita, che palme. Nell’Iowa palme così non se ne vedono. Perbacco.

Feci il giro del palazzo, guardandomi intorno sbalordito. A quanto sembrava, il mio Innocente Vagabondare era passato inosservato, ma un po’ di pignoleria non fa mai male, così continuai a fare il turista per altri cinque minuti. L’edificio occupava l’intero isolato. Lo esaminai da tutti i lati. Il punto debole era palese: in un vicolo, dalla parte opposta all’ingresso, c’era un cassonetto. Accanto notai una porta che senza dubbio conduceva alla cucina del club. Era nascosta alla vista, a meno che uno non si trovasse nel bel mezzo del vicolo.

Infilai la mano destra in tasca e “accidentalmente” feci cadere una manciata di monete sul marciapiede. Mi fermai a raccoglierle, guardandomi intorno da ogni parte. Sempre che non ci fosse qualcuno sul tetto con un binocolo, non mi aveva visto nessuno. Abbandonai a terra trentasette centesimi e scivolai rapido nel vicoletto. Lì era molto più buio, ma il Passeggero non si fece vedere comunque, così mi affrettai tutto solo verso il cassonetto. Esaminai l’ingresso posteriore. Era dotato di due scoraggianti chiavistelli senza scatto. Con un po’ più di tempo a disposizione e i miei attrezzi da scasso, avrei potuto aprirli agevolmente, ma avevo con me solo il cacciavite, inutile allo scopo. La porta era fuori questione. Avrei dovuto inventarmi un altro ingresso, seppur meno signorile.

Osservai il palazzo: proprio sopra alla porta c’era una fila di finestre, a un metro e mezzo circa l’una dall’altra, che correva per tutto il lato dell’edificio. La seconda alla mia sinistra era facilmente raggiungibile dalla cima del cassonetto; una persona agile avrebbe potuto issarsi e infilarcisi senza troppa difficoltà. Nessun problema: Dexter è destro, e se fosse riuscito ad aprire la finestra non avrebbe avuto problemi.

Il cassonetto aveva due coperchi affiancati, e uno dei due era spalancato. Poggiai entrambe le mani su quello chiuso… e qualcosa balzò fuori dall’apertura strillando orribilmente e mi passò rapido vicino alle orecchie. Mi bloccai, paralizzato dal terrore, finché non mi accorsi che si trattava di un gatto. Era spelacchiato, sudicio e malridotto, ma atterrò poco più in là, inarcando la schiena e soffiando in perfetta posa da Halloween. Mi guardai alle spalle e per un istante pensai che nel locale avessero rimesso la musica, invece era solo il martellare del mio cuore. Mentre il gatto si allontanava dal vicolo, trassi un profondo sospiro e mi arrampicai sul cassonetto. Il Passeggero fece una blanda comparsa, giusto per rivolgermi una risatina sarcastica.

Ci misi un momento per riprendermi, poi, per sicurezza, guardai all’interno. Sembrava contenere soltanto spazzatura, il che mi fece parecchio piacere. Mi piazzai sul lato chiuso e, dopo aver controllato ancora una volta che non passasse nessuno, mi issai verso la finestra a ghigliottina. La toccai e sbatacchiò leggermente. Buona notizia: voleva dire che non era inchiodata o sigillata da anni di pittura approssimativa.

Dalla mia posizione, non riuscivo a vedere l’infisso superiore, ma a quanto pareva la finestra doveva essere priva di allarmi. Un’altra buona notizia, che comunque non mi sorprese troppo. Molti locali risparmiano un sacco di soldi illudendosi che i tentativi di effrazione possano verificarsi solo al piano terra. Quindi anche i vampiri possono essere tirchi, pensai, e la cosa mi fece sorridere.

Cercai di estrarre dalla tasca il cacciavite, e per poco non mi cadde. Avrebbe colpito il coperchio del cassonetto con un fracasso sufficiente a svegliare l’intero vicinato. Avevo le mani bagnate di sudore. Questa era un’esperienza nuova; prima ero sempre stato freddo e razionale, ma dopo il risentimento del Passeggero e l’agghiacciante apparizione del gatto ero diventato incredibilmente ansioso. Sudare era comprensibile: eravamo a Miami. Ma sudare di paura? Proprio il Diabolico e Depravato Dexter, il Re del Disincanto? Non era affatto un buon segno. Feci un’altra pausa, prima di allungarmi e infilare il cacciavite tra la finestra e l’infisso.