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Percorremmo l’intero tragitto verso la stanza di Rita senza nominare la pizza o il diabete, il che mi fece gridare al miracolo e, nel mio nuovo e umano ottimismo, mi convinsi che avremmo varcato la soglia e ci saremmo trovati al cospetto di Lily Anne.

Invece Astor si bloccò proprio davanti alla porta, e Cody la imitò. — E se non ci piace? — chiese lei.

La fissai sorpreso; e questa roba come gli era venuta in mente? — Come può non piacerti? — feci. — È una bimbetta stupenda. È tua sorella.

— Mezza sorella — sussurrò Cody.

— Jenny Baumgarten ha una sorella minore e litigano sempre — opinò Astor.

— Con Lily Anne non litigherai — dissi. Il solo pensiero mi fece inorridire. — È un bebé.

— Non mi piacciono i bebé — replicò Astor, testarda.

— Questo ti piacerà — dichiarai, stupito dal mio tono fermo e imperioso.

Astor mi fissò esitante, poi guardò il fratello.

Io approfittai dell’esitazione e colsi l’attimo. — Forza — dissi.

— Dentro. — Li spinsi entrambi con la mano.

Il quadretto non era cambiato: c’erano sempre la Madonna e il Bambino, con Lily Anne in braccio alla madre, che la stringeva al petto. Rita aprì gli occhi assonnati e sorrise, mentre la bambina si agitò lievemente per poi riprendere a dormire.

— Venite a vedere vostra sorella — fece Rita.

— Sapete dire solo quello — commentò Astor. Non si mosse, stizzita, finché Cody non le passò davanti e si avvicinò al letto. La sua testa arrivava esattamente all’altezza di quella di Lily Anne, così la studiò per un lungo istante, con apparente interesse. Finalmente Astor lo raggiunse; sembrava più interessata alla reazione di Cody che alla neonata.

Il bambino tese un dito verso la sorellina e, con molta prudenza, le toccò il pugnetto. — Morbido — disse, e le diede un leggero colpo sulla mano.

Lily Anne aprì il pugno e Cody lasciò che gli prendesse il dito. La bimba richiuse la mano e glielo strinse.

Dinanzi allo stupore di tutti, Cody sorrise. — Mi stringe — disse.

— Fammi provare — fece Astor, e gli passò davanti per toccare la piccola.

— Aspetta il tuo turno — la riprese Cody.

Lei fece un passetto indietro, tremando dall’impazienza, finché il fratello non tolse il dito dal pugno di Lily Anne e la lasciò passare. Allora Astor fece la stessa cosa e anche lei gioì nel vedere che la neonata le stringeva la mano. Il nuovo gioco proseguì per tutto il successivo quarto d’ora.

E per una mezz’ora intera nessuno nominò la parola “pizza”.

6

Era molto divertente osservare i tre bambini, i miei tre bambini!, fare amicizia tra loro. Ma, ovviamente, ogni bambino sa che quando il divertimento avviene sotto gli occhi di un adulto, prima o poi è destinato a finire. E Rita, che era l’unica vera adulta presente nella stanza, non si sconfessò. Dopo poco guardò l’orologio e disse: — Bene. — Unito alla temibile frase: — Domani si va a scuola.

Cody e Astor si scambiarono un’altra delle loro eloquenti occhiate, in cui non si proferiva parola, ma si diceva tutto. — Mami — fece Astor — stiamo giocando con la nostra nuova sorellina. — Lo disse come se stesse citando le nostre parole, perché Rita non potesse contraddirla.

Ma Rita, che era abituata, scosse la testa. — Ci giocherete domani, ancora di più — rispose. — Adesso Dex… papà vi deve portare a casa e mettere a nanna.

Mi guardarono come se fossi un traditore. Alzai le spalle. — Almeno avrete la pizza — dissi.

I ragazzi erano tanto restii ad andarsene dall’ospedale quasi quanto lo erano stati a entrarci, comunque riuscii infine a spingerli fuori e poi in macchina. Lungi dal ripetere i disastri del viaggio precedente e l’acquolina causata dalle esalazioni della pizza, permisi ad Astor di ordinare con il mio cellulare la cena, che ci venne recapitata neanche dieci minuti dopo il nostro arrivo a casa.

Cody e Astor si gettarono sulla pizza come se non mangiassero da un mese e io mi ritenni fortunato per essere riuscito ad afferrarne due fettine senza perdere un braccio.

Dopo guardammo un po’ di TV fino all’ora di andare a letto, quindi venne il momento dei consueti rituali: lavarsi i denti, infilarsi il pigiama e mettersi sotto le coperte. Officiare tale cerimonia mi fece persino un po’ effetto; vi avevo presenziato molto spesso, ma l’Alta Sacerdotessa della Buonanotte era Rita e, stupidamente, mi sentii pure un po’ ansioso di sbagliare qualcosa. Poi pensai a quel che lei aveva detto in ospedale, quando aveva incespicato sulle parole “papà” e “Dex”. Ora ero diventato davvero papà Dex, e tutto ciò sarebbe stato di normale amministrazione. Presto avrei officiato gli stessi rituali con Lily Anne, guidando lei e i fratelli attraverso le oscure insidie della notte per condurli al sicuro nel loro letto. Il pensiero mi fu stranamente di conforto e mi sostenne fino al momento in cui riuscii finalmente a infilare Cody e Astor sotto le coperte e ad avvicinare il dito all’interruttore della luce.

— Ehi — fece Astor. — Hai dimenticato le preghiere.

Sbattei gli occhi, imbarazzato. — Non ne so neanche una.

— Non c’è bisogno che le dici — spiegò. — Basta che le stai a sentire.

Suppongo che un qualsiasi individuo dotato di un briciolo di autocoscienza, davanti ai bambini, si sarebbe sentito un totale ipocrita. Quello era il mio turno. Sedetti comunque con aria solenne e ascoltai la cantilena senza senso che recitavano tutte le sere. Ero ragionevolmente certo che non ci credessero per nulla, proprio come me, ma era parte del rituale, dunque andava fatto. E quando finì tutti quanti ci sentimmo meglio.

— Bene. — Mi alzai a spegnere la luce. — Buona notte.

— Buona notte, Dexter — disse Astor.

— Notte — mormorò Cody.

Nel normale corso delle cose, mi sarei seduto sul divano con Rita a guardare un’altra ora di televisione, giusto per mantenere il travestimento. Stanotte, però, non c’era bisogno di fingermi divertito o interessato dai programmi, così non tornai in soggiorno. Attraversai il corridoio, diretto verso la stanza che Rita aveva battezzato come mio studio. La usavo soprattutto per effettuare ricerche connesse con il mio hobby. Ospitava un computer che mi permetteva di rintracciare le persone speciali meritevoli della mia attenzione, e un armadietto per riporre pochi, innocui attrezzi come il nastro isolante e il filo da pesca in nylon.

C’era anche un piccolo casellario chiuso a chiave, che conteneva alcuni fascicoli con appunti su potenziali compagni di gioco. Mi sedetti alla scrivania e lo aprii. Non c’era molto materiale, al momento. Avevo due alternative, ma, preso dal susseguirsi degli eventi, non ero riuscito a occuparmi di nessuna delle due. Ora mi chiesi se l’avrei mai fatto. Aprii un fascicolo e guardai all’interno. Si trattava di un pedofilo omicida, rilasciato un paio di volte grazie a un comodo alibi. Ero abbastanza certo di riuscire a smontarlo e a dimostrare la sua colpevolezza… non in senso legale, ovviamente, ma comunque in modo consono ai rigidi principi che Harry, il mio patrigno poliziotto, mi aveva instillato. C’era inoltre un locale notturno a South Beach che figurava come l’ultimo posto in cui parecchie persone erano state viste prima di scomparire. Si chiamava ZANNE, un nome a dir poco stupido per un club. Oltre a essere citato nei resoconti sulle persone scomparse, il locale risultava anche in alcuni documenti dell’INS, l’ufficio immigrazione. A quanto pareva, il personale addetto alle cucine era soggetto a un allarmante turnover e qualcuno all’interno dell’INS sospettava che non tutti i lavapiatti fossero tornati in Messico perché l’acqua di Miami era cattiva.

Gli immigrati clandestini rappresentano un facile bersaglio per i predatori. Nessuno ne reclama la scomparsa: parenti, amici e colleghi non osano rivolgersi alla polizia. Così continuano a sparire, in quanti è difficile dirlo, ma i dati sarebbero senza dubbio elevati e sbalorditivi, persino per Miami. Qualcuno, in quel club, stava certamente approfittando della situazione. Forse, pensai, si trattava del gestore, che avrebbe dovuto essere consapevole del turnover. Sfogliai la documentazione: si chiamava George Kukarov. Viveva a Dilido Island, una zona amena non lontana dal suo locale. Una distanza comoda per conciliare il lavoro con lo svago: controlli i conti, ingaggi un DJ, ammazzi il lavapiatti e poi a casa per cena. Mi sembrava di vederla, la sua splendida attività, così pulita e redditizia che quasi gliela invidiavo.