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Entrò altra gente, un medico diede un’occhiata al corpo di May e lo coprì con un lenzuolo; Jimmy Rex se ne andò scortato da una cameriera, e io non potevo far altro che guardare quel sangue, per terra, addosso a me, sulla finestra. Mi volsi e vidi che Betsy mi teneva gli occhi addosso, stavolta con un’espressione che sul suo volto mi apparve indecifrabile. Se non l’avessi conosciuta bene avrei detto che c’era della pietà in quello sguardo.

Poi sospirò e scosse il capo. — Vecchio — disse, sgarbata, — vattene dalla mia isola e porta con te le tue folli illusioni. — Fece un cenno ai suoi uomini. Venti minuti più tardi la grande mole galleggiante spariva alle mie spalle mentre il battello su cui avrei dovuto fuggire libero con May portava via me solo, verso… neppure sapevo cosa.

Così a morte per due diverse mani era andata. L’ascia fu dal suo amico più cara sollevata, e il falso figlio abbatté la lama che ogni sua quieta speranza rese vana. E il buio spense infine gli occhi innocenti della dolce triste regina dell’isole vaganti.

Per oltre un anno dopo quei fatti, ogni notte mi svegliai tremando dall’incubo in cui continuavo a vedere la saracinesca che piombava sul tenero collo di May. Era tremendo riviverlo in sogno ma da sveglio era ancora peggio. Quali erano le illusioni che avevano indotto anche il nero cuore di Betsy a impietosirsi per me?

Non ho mai trovato la vera risposta a questa domanda. E forse, dentro di me, non voglio neppure trovarla.