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E anch’io, perché le mie cinquanta azioni sul carico mi avevano già reso milionario. Avrei potuto fare a meno di lavorare, comunque preferii restare a bordo della vecchia O.T. Dove sarei stato meglio? Nessuna persona intelligente si sarebbe mischiata ai miliardi d’individui che si affastellavano sui continenti. A terra imperversava la criminalità, e la vita della gente era caotica e stressante. Io m’ero ormai abituato alla tranquillità garantita dalle Leggi del Mare…

E inoltre, ogni tanto May veniva a casa per una visita.

Non si faceva vedere molto spesso, è vero. Ma c’erano le vacanze scolastiche. Ogni volta che aveva qualche giorno a disposizione si sobbarcava le cinque o sei ore di volo che occorrevano per raggiungerci dal Massachusetts all’Arcipelago di Bismarck, o al Mar dei Coralli, o dove altro eravamo. E d’estate restava con noi per varie settimane. Non veniva da sola: con lei tornavano sempre le altre quattro May per rivedere le loro famiglie e riposarsi lontano dalla folla della terraferma. Erano delle bellissime ragazze, capaci di far strage di cuori… e suppongo che questo facessero. C’era Maisie Richardson, bionda, atletica, piena di salute e di vitalità; e poi Ellamay Holliston-Pierce, la figlia del nostro oceanografo, dai grandi occhi azzurri e innocenti, timida e delicata; e la flessuosa Tse-Ling Mei, che divenne una stella del cinema; e May Sue Bancroft, bruna e riflessiva, la più saggia del gruppo. E poi c’era May: la mia May. Era sempre la più bella di tutte. Avevano praticamente la stessa età, May e le altre quattro May, e quando passeggiavano sulla vecchia O.T. nell’aria si spandevano tutti i colori e i profumi della primavera! Diverse com’erano, chi non era attratto dall’una s’innamorava dell’altra, ma ognuna era amabile e fatta per l’amore. Per lo più stavano fra loro, chiacchierando e ridendo delle loro cose, ma scambiavano battute anche con i membri dell’equipaggio, e se un giovanotto si lasciava scappare una parola di troppo erano sempre pronte a perdonarlo con un sorriso.

E poi c’era Betsy.

Betsy Zoll. La cagna figlia di quel bastardo di Ben. Se fosse possibile rimescolare il materiale con cui sono costruite due ragazze, e dare tutta la bellezza e tutte le virtù a una soltanto — diciamo, a May — ciò che resterebbe di quel materiale sarebbe Betsy Zoll. May era limpida come un diamante, Betsy era un pezzo di vetro fangoso. Quando May non era a bordo, Betsy se ne andava in giro atteggiandosi a principessa reale, e ogni tanto aveva una giornata buona in cui sembrava recitare dignitosamente la parte. Ma era un’impressione, e comunque all’ombra di quei cinque diamanti il pezzo di vetro perdeva anche quel poco lustro che aveva. Con lei erano gentili e simpatiche, desiderose di mostrarle che gradivano la sua compagnia, sempre sorridenti. Betsy le invidiava al punto che avrebbe affondato l’isola galleggiante solo per vederle affogare.

E poi venne un Natale in cui Betsy fu tutta sorrisi mielati e trionfanti.

Quando la vidi arrivare compresi che doveva aver girato dappertutto per cercarmi, perché ero giù in sala macchine a controllare cosa c’era di vero nella voce secondo cui occorreva un generatore nuovo. — Ebbene, Jason — disse, irraggiando tanta letizia che m’insospettii, — che farai di bello per Natale?

L’ingegnere e il direttore di macchina erano poco distanti e ci guardavano, parlando a sussurri, anche se nessuno ha bisogno di sussurrare quando le turbine a bassa pressione gli rombano negli orecchi. Le augurai cortesemente buon Natale, poi telefonai al mio ufficio per comunicare dove mi trovavo… più che altro per evitare di parlare con lei; ma stupito vidi che mi restava accanto, e quando appesi ridacchiò. — Dalla settimana prossima questo ti costerà un quarto di dollaro — disse.

Che portava brutte notizie l’avevo capito, naturalmente, ma quella non me l’aspettavo. — Bisognerà pagare per il telefono di bordo?

Lei arricciò le labbra e inclinò la testa. — Oh, sì. Per il telefono, per i tuoi schermi video e per ogni volta che girerai un interruttore — disse, con una luce di compiacimento negli occhietti bruni. — Mio padre dice che è tempo che l’equipaggio paghi l’elettricità che consuma, dice. Cinquanta cents a kilowattora, per cominciare, dice.

— Ma non ha senso!

— I dollari hanno senso — mi corresse lei. — Questa elettricità è nostra, vecchio. E costa denaro. Perché dovremmo regalarla quando la possiamo vendere?

Mi feci indietro perché aveva avvicinato il volto e il suo alito era acido come quello di un cane. Betsy aveva quindici anni, ma la freschezza giovanile in lei non era mai esistita. — Noi non vendiamo elettricità, Betsy: solo quello che produciamo con l’elettricità. Se volessimo venderla dovremmo dedicare più spazio ai processi di conversione, e questo spazio dov’è?

— Ottima domanda, vecchio — disse lei, trionfante. — Mio padre ha già pensato a tutto, naturalmente. Per cominciare, sotto il ponte di prua ci sono migliaia di metri cubi di spazio sprecato. Sposteremo lì un impianto per l’elettrolisi, e al centro resterà più spazio per la produzione di ammoniaca e…

— La residenza del proprietario! — ansimai.

— Vecchio — dichiarò lei, — la gente come noi non può vivere per sempre in stanzucce piene di tubature. Presto avremo finito di costruire un’isola galleggiante dieci volte più grossa di questa: sposteremo la bandiera su un’altra ammiraglia.

Dunque le chiacchiere di bordo non erano soltanto chiacchiere, e la realtà era ancora peggiore. Ma ancora non sapevo quanto peggiore, perché Betsy aveva tenuto per ultimo il vero motivo della sua visita. — Quando May verrà a casa per Natale, vedremo cos’avrà da dire — sbottai, ricordando che sul testamento del commodoro si parlava anche di quegli appartamenti, proprietà privata di May. E con quella frase le diedi il pugnale con cui colpirmi.

— Quando May verrà a casa per Natale — mi parodiò lei con una smorfia sprezzante, — ciò che vedremo è che lei non verrà per niente a casa per Natale. Oh… ma Jason! Non mi dirai che la signorina non ti ha parlato del suo fidanzato, vero? Perché, guarda un po’, si è proprio fidanzata. Con un certo Frank Appermoy. E trascorrerà il Natale con lui, a casa di sua madre.

E May non mi aveva scritto una parola! come Betsy sapeva bene. Senza curarsi di celare la soddisfazione gettò un’eloquente occhiata al suo orologio e assunse un tono ironicamente affettato. — Data la differenza di fuso orario — proclamò, — possiamo presumere che giusto in questo momento stia saltando nel letto del suo amante, con vista sul mare delle Hawaii. Che rospo da ingoiare, eh, vecchio? — volse le spalle e se ne andò, lasciandomi lì come annichilito.

Tornato in ufficio, la prima cosa che feci fu di chiedere tutti i dati di cui disponevamo su Frank Appermoy e il resto della sua parentela. La seconda, mentre aspettavo le informazioni sul monitor, fu di chiamare per visifono May alla villa degli Appermoy sull’isola maggiore delle Hawaii. Sulla costa di Kona erano le dieci di sera, e secondo il maggiordomo che mi rispose Miss May e Padron Frank erano a Luau, e non erano attesi di ritorno prima di due ore. Così lasciai detto che mi chiamassero e mi feci stampare i dati richiesti.

Sapevo già che gli Appermoy erano ricchi. E sapevo anche che ci facevano — o tentavano di farci una certa concorrenza, benché la loro produzione annua di composti azotati e idrogeno fosse inferiore a quella della nostra più piccola isola galleggiante. D’altro canto sfruttavano procedimenti industriali molto diversi.

Il denaro degli Appermoy proveniva però principalmente dalle scorie radioattive. Il vecchio Simon Appermoy non era stato meno astuto e ingegnoso del commodoro. Aveva fatto i suoi piani, quindi aveva firmato contratti con una mezza dozzina di nazioni per lo smaltimento dei rifiuti delle loro centrali elettriche a energia atomica. Subito dopo aveva acquistato due cime montuose che emergevano dal fondale dell’Oceano Pacifico, in coda alla catena delle Hawaii, isole vulcaniche spianate completamente dalle onde milioni di anni fa. Se lo stato sovrano delle Hawaii avesse il diritto di vendere isole a privati è un’altra questione, e se un privato avesse il diritto di riempirle di scorie radioattive è un’altra questione ancora, ma la faccenda dei diritti non preoccupava il vecchio Appermoy… e il motivo lo spiegherò fra poco. Fatto ciò scavò fosse alla sommità delle due piatte e consunte isole, e vi seppellì il materiale radioattivo dopo averlo vetrificato.