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Stava intavolando un argomento su cui non ero certo ansioso di rivelarle la mia esperienza. Non sapevo — e non seppi mai — se il commodoro le avesse parlato del favore che gli avevo fatto. Lei comunque non sfiorò quel tasto e proseguì: — Questa è una frode, Jason, è un reato per cui qualcuno dovrà essere condannato. Ma in quanto a provarlo… è molto difficile. Non ho mai potuto parlarne con te. Ben ha sempre piazzato microfoni dappertutto e ha i suoi agenti. Inoltre — disse, mettendomi una mano su un braccio, — sa che sei molto più esperto di me e ti ha fatto sorvegliare strettamente.

Borbottai: — Non devi giustificarti di niente con me, May. — Però le chiesi ugualmente spiegazioni. A quanto mi disse, quell’ometto smilzo e mezzo calvo, Ormondo, lavorava per la banca che amministrava e reinvestiva i capitali di Ben, e gli era parso che ci fosse qualcosa di strano nei suoi documenti. Per dirne una, il testamento avrebbe dovuto comparire registrato in più luoghi, non solo nella memoria del computer della banca. Ma la banca del commodoro era stata assorbita da un’altra, le cui registrazioni non erano più disponibili; inoltre l’archivio dov’era custodito il testamento originale era andato distrutto con la perdita di tutta la documentazione.

Ormondo era giunto a sospettare che dietro a questi fatti ci fosse un tentativo di truffa. Non aveva potuto provarlo, ma gli era venuta la curiosità d’indagare oltre e s’era accorto che le cose da scoprire non mancavano.

Ben stava mungendo ben bene la Flotta. Aveva costituito una sua corporazione, la quale acquistava l’idrogeno dalle isole galleggianti, e un’altra che rivendeva i prodotti ammoniacali sul continente, e una terza che affittava alla Flotta piloti e servizi esplorativi per la ricerca di acque fredde a minore profondità. Anche la Compagnia che ci metteva a disposizione aerei e idrovolanti era finita nelle sue mani. Tutto ciò che la Flotta acquistava veniva a costarle un po’ di più; tutto ciò che vendeva le fruttava un po’ di meno: la differenza scivolava in conti bancari intestati a Ben.

Con questi elementi Ormondo s’era recato a un party a cui era stata invitata May, le si era fatto presentare e le aveva sussurrato le sue conclusioni in un orecchio.

Da quel giorno, per quasi un anno, i due avevano cercato di mettere insieme una documentazione e interrogato gente che poteva conoscere certi retroscena. Qualche voce sulla loro attività doveva essere sicuramente giunta a Ben; ma Ormondo era un uomo prudente.

Erano riusciti a farsi un quadro quasi completo della faccenda.

— Il nostro prossimo passo, Jason — mi disse, — era quello di mettere al corrente te; stavo quasi per chiederti di venire con me. Sono contenta che tu abbia deciso di non aspettare che ti parlassimo.

— Naturalmente farò tutto quello che vorrai — la tranquillizzai.

Lei sorrise e mi accarezzò una spalla. — Ne ero certa, caro Jason. C’è anche un’altra cosa.

Mi accorsi che era imbarazzata. Si morse le belle labbra, esitò, e i suoi occhi indugiarono sulle scadenti stampe marinaresche appese alle pareti scrostate come se contemplasse l’oceano. Poi sospirò: — Ho bisogno di un marito, Jason.

Quella frase mi colse impreparato. — Un marito?

— Devo avere un uomo al mio fianco, per me stessa, e anche per sostenere questa battaglia che sarà dura. E soprattutto ho bisogno di un padre per Jimmy Rex. Lui ha diritto di avere un padre, Jason. Non un giovanotto sciocco, ma un uomo adulto, saggio, gentile e sensibile. Non m’importa che sia più vecchio di me; ciò che conta è che sia qualcuno di cui io possa fidarmi, e che possa amare con tutto il mio cuore.

Per anni e anni avevo sognato di sentirle dire quelle parole, e l’emozione mi mozzò il fiato. — Oh, mia cara, tu mi dai una grande gioia! — esclamai, prendendola dolcemente per le spalle… e confuso la vidi sbarrare gli occhi con espressione stupefatta.

La battaglia fu davvero molto dura. Per molti mesi tutti noi trascorremmo più tempo in Islanda che a casa nostra. Già in se stesso, questo fu un prezzo piuttosto alto per me. Comunque i tribunali che amministrano le Leggi del Mare si trovano in Islanda, e il fatto che sia un’isola piacevole e piena di piscine calde non fece che acutizzare in me la nostalgia per i ben più riposanti panorami dei mari del sud.

Ma vincemmo; non del tutto, però vincemmo. E Ben il Bastardo sarebbe potuto finire benissimo in prigione se la sua malattia non lo avesse condotto in ospedale. Per sua sfortuna non ne uscì vivo.

Così fu Betsy a dover sgombrare la residenza, e non suo padre, anche se non perse certo tutto. Provare che il testamento era stato falsificato ci fu impossibile. La lotta che facemmo nei tribunali fu lunga e senza esclusione di colpi e tre dei nostri testimoni scomparvero, tuttavia la documentazione delle compagnie create da Ben andò in mano al giudice. La tutela finanziaria venne annullata. Ogni contratto firmato da Ben fu invalidato. La Flotta venne divisa in due. Metà delle isole galleggianti andarono a Betsy; il resto, inclusa metà del capitale di Ben, a May. E Betsy cominciò a darsi da fare con ciò che le era rimasto… ma noi eravamo infine abbastanza soddisfatti. Tornammo a stabilire la residenza sulla prima vecchia isola galleggiante, la mettemmo in tranquilla navigazione nello Stretto di Malacca, e come Dio volle la figlia del commodoro tornò ad essere l’indiscussa regina delle isole vaganti. Tutti erano felici nel vederla di nuovo lì a bordo, con il suo bambino…

E con suo marito. Che non ero io.

La natura aveva fatto di May la più gentile delle fanciulle. Ma per quanto fosse comprensiva non dimenticò l’imbecillità di cui avevo dato prova fraintendendo le sue parole, quando aveva cercato di dirmi che desiderava sposare Jefferson Ormondo.

III

Per amore del figlio e reclamare il suo avere a vent’anni e quattro volle ancora sposare. E si batté e vinse per poter conservare onesta la sua gente con i doni del mare. Benedetto fu il riposo da lotte e da tormenti, in quei brevi anni lieti sulle isole vaganti.

Benché l’avessi persa di nuovo fu un periodo felice. May era la serenità in persona. Jefferson Ormondo ebbe il buon senso di godersi quella tranquillità… be’, che altro poteva fare? Perfino il piccolo Jimmy Rex era diventato più trattabile, lontano da Betsy e dai suoi tentativi di far emergere il lato peggiore del suo carattere.

Dopo un po’ di tempo facemmo perfino una sorta di armistizio con la stessa Betsy: non che lo trovassimo piacevole e divertente. Comunque lei venne a farci visita mentre eravamo in sosta di lavoro nelle solite zone di mare più produttive, e poi non ci fu altro da fare che restituirle la visita sulla sua nuova grande ammiraglia. Ma se detestavo l’idea di rivedere Betsy, quel viaggio mi giunse gradito per altri versi. Il suo Comandante Operativo era un uomo come si deve — avevamo navigato insieme sotto il commodoro — e inoltre volevo dare un’occhiata ai loro impianti.

Quel che occorre ai radiatori per lo scambio di calore è un’acqua di superficie molto calda, possibilmente il primo metro d’acqua, che è quello a temperatura maggiore. Ma quando si pompano dentro cento tonnellate di liquido al secondo la tubature assorbono qualunque cosa vi sia attorno. Così, quando il comandante Havrila mi condusse sul ponte, sorridendo fieramente, sapevo già cosa voleva mostrarmi. Lo avevo visto dall’aria. L’isola galleggiante era circondata da una rete-filtro, disposta a trenta metri dallo scafo in ogni direzione. Nel notarne la presenza avevo capito che si erano ancorati su un bassofondo a forma di tazza, dai bordi rialzati. — State assorbendo acqua direttamente dalle aperture dello scafo, eh? — opinai, — e avete intrappolato l’acqua di superficie in un’infossatura. La rete vi serve per tenere fuori i pesci?