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Questa vista sconvolse Gregorian, ma nel contempo stimolò la sua ira. Fremette per l’emozione. — Ecco quel che dovremmo fare anche noi! Abbiamo tutte le conoscenze necessarie, abbiamo i mezzi… ciò che ci manca è la volontà di prendere il controllo, di rendere noi stessi potenti come divinità!

— Quelli del mio popolo non sono proprio delle divinità — ribatté con tono asciutto l’uomo artificiale. — Un progetto su scala così vasta porta inevitabilmente all’insorgere di guerre. Milioni di persone sono morte, e molte di più sono state sfollate e risistemate, strappate alle loro vite, vite magari felici. Per quanto io, personalmente, pensi che tutto ciò sia giustificato, devo ammettere onestamente una cosa; non credo che la maggioranza della vostra gente non sarebbe d’accordo con un simile progetto. Noi siamo stati costretti a rinunciare a molto di ciò che la vostra cultura ancora possiede.

— Tutti devono morire, il fatto di organizzare il quando è solo una questione di interesse statistico. — Vide nella sua mente il sistema Prosperano, e gli sembrò una cosa misera, una nocciolina, un seme non germinato. — Se avessi il potere necessario, inizierei a demolire mondi oggi stesso. Farei a pezzi Miranda con le mie mani nude. — Sentì il sangue che gli scorreva nelle vene, l’estatico turbine delle possibilità che attraversava la sua mente. — Farei a pezzi le stelle stesse, e al loro posto costruirei qualcosa che valga la pena di vedere.

Una per volta, una serie di bocche si aprirono nelle pareti, spalancandosi per poi richiudersi. Ancora i febbricianti. Si asciugò il sudore dalla fronte mentre lance di luce bianca piombavano dal soffitto per abbattersi silenziosamente al suolo. La stanza era ormai intollerabilmente soffocante.

Sbadigliò, e per un attimo i suoi occhi si aprirono e fissarono Gregorian, seduto dalla parte opposta del fuoco. Il mago annuì con il capo, ma continuò a parlare. Poi si ritrovò nuovamente a Laputa, dove aveva perso parte della storia del mago.

— Vasli. Tu conosci Korda molto bene, immagino. È in grado di uccidere, vero? Pensi che avrebbe esitazioni a uccidere un uomo se questo gli mettesse i bastoni fra le ruote?

La maschera bianca lo scrutò. — Può essere senza scrupoli. Del resto, chi può saperlo meglio di te?

— Dimmi una cosa allora. Pensi che sarebbe in grado di ucciderne sei? Una dozzina? Un centinaio? Pensi che ucciderebbe tutta quella gente, che la torturerebbe, solo per il piacere di sapere che lo ha fatto?

— Per saperlo con certezza, devi guardare dentro te stesso — rispose Vasli. — Io comunque credo di no.

I febbricianti presero piede, cuocendo il suo cranio e trasformandolo in scaglie livide. Mentre si innalzavano come milioni di moscerini ridenti e cromati, spingendo il giovane mago nel mondo dell’incoscienza, questi pensò: “No. Certo che no. Una persona in grado di fare cose simili non è come Korda. È un mostro, un essere grottesco. Sarebbe completamente distorto per ciò che ha fatto. Sarebbe tutt’altra persona”.

Si risvegliò.

La notte si era fatta fredda. Grandi masse di pietra torreggiavano su di lui. Vicoli bui sospiravano alle sue spalle. Più in basso, la terra iniziava a scorgersi appena nella debole luce dell’aurora. Nubi di ossidiana montavano e si accavallavano all’orizzonte, venate a tratti dalle scariche danzanti dei fulmini. Ciò nonostante, non si udiva alcun tuono. Era possibile una cosa simile? Il mondo sarebbe giunto alla sua fine in silenzio? Il fuoco era pressoché morto, le braci ormai bianche nel loro letto di cenere.

Gregorian aveva il mento appoggiato al petto; da un angolo della sua bocca colava un sottile filo di bava. Era ancora incosciente. In tutta Ararat, l’unica persona sveglia e consapevole era il burocrate. Sentiva la bocca gommosa e gli doleva la pancia.

Qualcosa si mosse nella strada alle sue spalle.

Il burocrate si raddrizzò. Ararat era immobile. Poteva essere stato un frammento di corallo che, staccato da un’improvvisa raffica di vento, era caduto rotolando per qualche pendìo pietroso. Eppure gli era parso un suono di carattere differente, meno casuale. Allungò il collo il più possibile e si girò per scrutare il vicolo alle sue spalle. L’oscurità si mosse davanti ai suoi occhi. Era forse un movimento? Poteva anche trattarsi di uno scherzo dei suoi nervi.

Un piccolo schianto metallico. Un vago accenno di movimento, goffo e insicuro. C’era qualcosa alle sue spalle, e si stava dirigendo nella sua direzione.

Il burocrate rimase in attesa.

Lentamente, una creatura simile a un ragno emerse dal buio del vicolo. Oscillava da un lato della strada all’altro, facendosi strada a tentoni con un’articolazione metallica protesa davanti a sé come un bastone da cieco. Di tanto in tanto, perdeva l’equilibrio e cadeva a terra. Era la sua valigetta.

“Da questa parte”, pensò il burocrate. Non osava parlare per paura di svegliare Gregorian. “Peggio ancora”, pensò con terrore, “potrebbe trattarsi di un’altra allucinazione”. Trattenne il fiato. L’oggetto si fece lentamente strada verso di lui.

— Capo? Sei tu? — Il burocrate toccò la valigetta per farsi riconoscere, e l’apparecchio si accasciò ai suoi piedi. — Non è stato facile trovarti. Questo luogo mi ha confuso completamente i sensi.

— Silenzio! — intimò il burocrate. — Sei ancora funzionante?

— Sì. Sono solo cieco, tutto qui.

— Ora ascoltami attentamente. Voglio che tu costruisca un induttore nervoso. Prendi controllo del sistema nervoso di Gregorian e paralizza le sue funzioni motorie primarie. Poi fallo entrare dentro. Da qualche parte ci dovrebbe essere una fiamma ossidrica al plasma. Portala fuori e taglia queste catene.

Gregorian sollevò il capo. I suoi occhi si aprirono lentamente; sorrise. Con lentezza sognante, si portò una mano alla cintura e la strinse attorno al manico del suo coltello.

— Si tratta di tecnologia bandita — disse la valigetta. — Non posso utilizzarla sulla superficie planetaria.

Gregorian si produsse in una risatina.

— Fallo comunque.

— Non posso!

— Questo è un perfetto esempio di ciò che stavo dicendo prima. — Gregorian prese in mano il coltello e appoggiò nuovamente la schiena. Era come se volesse discutere una parte del racconto della notte precedente che il burocrate si era perso. — In quell’apparecchio hai una potenza tecnologica che ti permetterebbe di fare pressoché qualsiasi cosa. Sarebbe più che sufficiente per liberarti. Eppure, non la puoi usare. Per quale motivo? Per colpa di un’insignificante regola burocratica. Per una lacuna culturale… Ti sei legato le mani da solo, e non puoi incolpare nessuno del tuo fallimento, a parte te stesso.

— Te lo ordino per la terza volta. Fallo comunque.

— Oh, va bene — disse la valigetta.

— Fottuto…! — Gregorian balzò in piedi, con il coltello stretto in mano. Si irrigidì improvvisamente e cadde a terra, colpendo con forza il pavimento di pietra. Con gli occhi spalancati, mantenne lo sguardo fisso davanti a sé. Il suo corpo ebbe uno spasmo, poi si bloccò del tutto. Solo un braccio continuò a tremare in maniera incontrollata.

— È molto più difficile di quanto non avessi… — iniziò la valigetta. — Ah. Ecco fatto. — Il braccio smise di tremare. Lentamente, con fare goffo, il mago rotolò su un fianco e si sollevò a carponi. — Ehi! — esclamò la valigetta. — Guardando attraverso il suo sistema sensoriale riesco a vedere perfettamente! — La testa di Gregorian si voltò a destra e a sinistra. — Che posto!

Per tre volte la valigetta tentò di mettere in piedi il corpo di Gregorian, e ogni volta il mago perse l’equilibrio e cadde. Infine, l’apparecchio fu costretto ad ammettere la propria sconfitta. — Non ci riesco proprio, capo.