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La figura pastosa grugì e si voltò di nuovo verso il faro, con i contorni vaghi e ondeggianti. — Okay — gridò con voce pastosa. Un rumore metallico, e il faro ridusse ad un quarto la propria intensità, diventando un occhio di color arancione cupo. Colori e dettagli si riversarono nel mondo, confusi con le bizzarre sovrapposizioni di immagini bianco-azzurre. La figura pastosa si trasformò in un sergente di polizia di mezza età, tozzo, non rasato, con i capelli brizzolati. Tra le mani aveva un fucile di grosso calibro e le luci danzavano su e giù lungo la canna, disegnando strane increspature sull’acciaio azzurrato. La canna era puntata in direzione della gola di Robinson.

Robinson azzardò un timido sguardo, senza muovere il capo. La stella rossa era la luce di emergenza sul tetto di una macchina della polizia parcheggiata di traverso sulla strada. Un poliziotto più giovane (ancora una recluta… lo si capiva dagli stivali tirati a lucido… la luce riflessa sulle punte color ebano) era in piedi accanto alla luce lampeggiante montata tra il parabrezza e il tetto. Cercava di sembrare truce e implacabile, impugnando goffamente la grossa pistola d’ordinanza.

Un movimento sul lato opposto della strada. Robinson ruotò gli occhi, li socchiuse e poi si morse l’interno delle labbra. Una jeep del CRM, incrostata di fango, era parcheggiata in mezzo alla banchina erbosa. Dentro c’erano tre uomini. Mentre guardava, l’uomo alto nel sedile del passeggero disse qualcosa al guidatore, scavalcò il fianco della jeep e scivolò sui tacchi lungo il terrapieno, producendo una piccola valanga di terra e pietrisco. L’autista fece scivolare le mani dentro la giacca dell’uniforme per scaldarsi, e appoggiò i gomiti al volante, con uno sguardo annoiato e gli occhi socchiusi. Il terzo uomo, un caporale dall’aspetto sudicio, era seduto nella parte posteriore della jeep, vicino alla mitragliatrice calibro 50 montata sul veicolo. Il caporale sogghignò rivolto a Robinson, guardandolo al di sopra della canna della mitragliatrice, e giocherellando con il grilletto.

L’uomo alto emerse lentamente dall’orlo della strada, oltrepassò la recluta nervosa senza degnarla di uno sguardo ed entrò nel cerchio di luce. Mentre si avvicinava alla macchina di Robinson, l’ombra allungata si trasformò lentamente in un tenente del CRM che indossava una sfavillante giacca a vento impermeabile col cappuccio gettato all’indietro. Su di una targhetta di pelle marrone cucita sulla spalla si poteva leggere una scritta logora in stampatello: CONTROLLO REGIONALE DEL MOVIMENTO. Sottobraccio teneva un fucile mitragliatore.

Il sergente della polizia si voltò mentre il tenente si avvicinava alla vettura. La bocca del fucile non si mosse dal petto di Robinson. — Sembra okay — disse. Il tenente borbottò, oltrepassò il sergente e si avvicinò al finestrino del posto di guida. Per un attimo fissò Robinson con uno sguardo privo di espressione, poi appoggiò il fucile mitragliatore nell’incavo del braccio destro. Sollevò lentamente l’altra mano, e picchiò leggermente sul vetro.

Robinson abbassò il finestrino. Il tenente lo scrutò con pallidi occhi azzurri che erano come finestre aperte sul nulla. Robinson lanciò uno sguardo alla bocca dell’arma affusolata, poi lo sollevò verso le labbra serrate del tenente, piccole, sottili ed esangui. Robinson sentì un brivido, mentre i peli delle braccia si rizzavano fino a sfiorare la stoffa dei suoi abiti. — Vediamo i documenti — disse il tenente. La sua voce era secca e tagliente. Lentamente, molto lentamente, Robinson infilò la mano sotto la giacca sportiva stazzonata, e la estrasse porgendo al tenente la carta di identità e i documenti di viaggio. Il tenente li prese, fece un passo indietro e li esaminò con una sola mano, mentre con l’altra continuava a tenere puntato verso Robinson il fucile mitragliatore. La bocca dell’arma automatica era a pochi centimetri e sobbalzava adagio, disegnando un mezzo cerchio sul petto di Robinson.

Robinson si passò la lingua sulle labbra aride e cercò di deglutire senza riuscirci. Il suo sguardo passò dagli occhi freddi e penetranti del tenente alla smorfia stanca del sergente, agli sguardi nervosi e combattivi della recluta e all’espressione indifferente dell’autista, fino agli occhi velati e al ghigno rude del caporale dietro la calibro 50. Tutti lo stavano fissando. Lui era il centro dell’universo. La luce di emergenza pulsava, gettando lunghe ombre confuse tra gli alberi, lambendoli e poi scivolando via rapidamente, con il movimento ritmico di uno yo-yo. Verso nord, all’orizzonte un bagliore infuocato rischiarava nubi, con violente fiammate che subito si affievolivano. Era Newark, che stava bruciando.

Il tenente si agitò, cercando con impazienza di staccare con la mano libera una pagina appiccicaticcia dai documenti di viaggio. Borbottò, piantò uno stivale sulle fiancate dell’auto di Robinson, appoggiò il mitragliatore sul ginocchio ed usò i denti per aprire la pagina incollata. Robinson sorprese la recluta mentre fissava con evidente disapprovazione gli stivali malconci del tenente, e cominciò a ridere nonostante la canna del mitragliatore incombesse su di lui. Ma subito soffocò quella risata, perché già in gola aveva un suono cupo e sinistro; era un riso isterico, che si agitava nel petto come un crepitìo di foglie secche, come il volo di una falena. Il tenente tolse il piede, raddrizzandosi. Lo stivale ricadde sul terreno con un rumore secco, e lasciò un’impronta confusa e fangosa sulla fiancata. Figlio di puttana, pensò Robinson, improvvisamente colto da una furia irrazionale.

Un uccello notturno lanciò un grido sinistro dal folto degli alberi. Si alzò un vento freddo, che spruzzò di pietrisco le macchine, un vento cupo e metallico carico di cenere e di odore di legno bruciato. Il vento sollevò le pagine del documento di viaggio, agitò il pelo sul cappuccio della giacca a vento del tenente, e tentò inutilmente di scompigliare i suoi capelli cortissimi. L’ufficiale continuò a leggere, tenendo ferme con il pollice le pagine svolazzanti. Figlio di puttana, pensò infuriato Robinson, soffocato dalla rabbia e dalla paura. Sadico bastardo. Il lungo silenzio si era fatto pesante come un macigno. La luce di emergenza gettava le sue ombre rossastre sul viso del tenente, tramutando i suoi occhi in due rosse pozze di sangue, poi improvvisamente prosciugate, e le guance nelle vuote orbite di un teschio, di nuovo riempite in pochi secondi. Lui continuava a sfogliare meccanicamente i documenti, senza alcuna espressione.

Improvvisamente richiuse le pagine con un colpo secco.

Robinson sussultò. Il tenente lo fissò per un interminabile minuto e poi gli restituì i documenti. Robinson li prese, cercando di non strapparglieli di mano. — Perché è in viaggio? — chiese con calma il tenente. Le parole gli uscirono in maniera confusa e disordinata: — Viaggio di lavoro… nessun piano… doveva ritornare… sua moglie (era meglio dire moglie. Oh, Anna…). — Il tenente lo ascoltò senza mutare espressione, poi si voltò e fece un gesto alla recluta.

Questa si precipitò a controllare il sedile posteriore ed il baule. Robinson lo sentì respirare ed armeggiare sul sedile posteriore, mentre la macchina ondeggiava leggermente per i suoi movimenti. Robinson continuò a guardare avanti e non disse niente. Il tenente rimase in silenzio, reggendo con noncuranza il mitragliatore con entrambe le mani. Il vecchio sergente si agitava inquieto. — Nulla, signore — disse la recluta. Il tenente annuì e lui ritornò svelto alla macchina. — Sembra tutto okay, signore — disse il sergente spostando il peso con impazienza da un piede all’altro. Sembrava affaticato e si riusciva a scorgere una rete di venuzze blu ai lati della testa brizzolata. Il tenente sembrò riflettere per un attimo e poi fece un cenno affermativo con il capo. — Uh, huh — disse lentamente, poi si risvegliò e rivolse una specie di parodia di sorriso a Robinson: — Certo. Va bene, mister, credo che lei possa andare.