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Un altro paio di fari ondeggianti comparvero all’improvviso.

Il sorriso del tenente svanì. — Okay, mister — disse. — Stia buono. Non faccia nulla. Sergente, lo tenga d’occhio. — Si voltò e si diresse verso la macchina della pattuglia. I fari ingrandirono, ballonzolando. Robinson sentì il tenente mormorare qualcosa e il riflettore si illuminò di nuovo. Questa volta era puntato in un’altra direzione e vide il fascio luminoso dardeggiare nella notte, una solida colonna di luce, che cercava insistentemente qualcosa, alla fine catturandola come fosse una falena.

Era un grosso Microbus Volkswagen. Alla luce del riflettore appariva granuloso ed irreale, come una fotografia con troppo contrasto.

Il Microbus rallentò e si fermò ai bordi dell’altro lato della strada. Vide le due persone nel sedile anteriore strizzare gli occhi ed alzare le braccia per ripararsi dalla luce abbagliante. Il tenente si avvicinò con calma, li studiò da alcuni passi di distanza e poi fece un gesto con la mano. Il riflettore ridusse ad un quarto la sua luminosità.

Nel diffuso bagliore arancione, Robinson riusciva appena a distinguere i passeggeri del piccolo autobus: un uomo alto con un maglione nero ed una ragazza nordica con lunghi capelli biondi che le arrivavano alle spalle ed una camicetta arancione. Il tenente passò sul lato del guidatore e batté sul vetro. Robinson poté scorgere i movimenti della bocca, appena accennati, ma chiari e precisi. L’uomo magro gli tese i documenti, rimanendo impassibile. Il tenente cominciò ad esaminarli, sfogliandoli lentamente.

Robinson si agitò impaziente. Sentiva il sudore raffreddarsi su tutto il corpo, e scendere in rivoli appiccicosi sotto le ascelle, dietro le ginocchia, in mezzo alle cosce. I vestiti sembravano incollati alla pelle.

Il tenente con un cenno ordinò alla recluta di avvicinarsi e fece un passo indietro fino a portarsi accanto al cofano. La recluta attraversò di corsa la strada, si avvicinò al veicolo e tentò di aprire la porta laterale scorrevole. Robinson colse il guizzo rapido e nervoso della lingua dell’uomo magro. La donna guardava calma di fronte a sé. L’uomo disse qualcosa al tenente in tono scherzoso. La recluta aprì la porta e fece per arrampicarsi all’interno…

Qualcosa si agitò nello spazio tra il sedile posteriore e il portellone, liberandosi da una pesante coperta militare, poi rotolò sulle ginocchia e subito si rialzò. Robinson vide di sfuggita un viso nero, con gli occhi incredibilmente bianchi per il contrasto, e le narici dilatate dal terrore. La recluta barcollò all’indietro, la bocca spalancata, agitando inutilmente la pistola. L’uomo fece una smorfia, una specie di rictus, i muscoli del collo gli si tesero, le labbra lasciarono scoperti i denti. Cercò di mettere in moto il veicolo.

Una lama di fuoco tagliò l’oscurità, il mitragliatore si lamentò, agitandosi nelle mani del tenente. Lui sventagliò avanti e indietro con l’arma, metodicamente, il viso privo di espressione. Il parabrezza del furgone esplose. I due corpi sussultarono, rimbalzando e danzando in modo grottesco. L’uomo magro si inarcò all’indietro, piegandosi, fino ad assumere una posizione naturale, il viso contratto nel rictus, e poi si accasciò sul volante. La donna ricadde di fianco contro la portiera del veicolo. Questa cedette e lei si rovesciò all’indietro, i lunghi capelli che ondeggiavano in maniera scomposta, un braccio sul capo e le dita aperte, come se cercasse di afferrare qualcosa. La donna scivolò per metà fuori dal furgone, con la testa sull’asfalto. Le lunghe dita fremettero, si chiusero, e poi si aprirono.

La figura scura nel retro del furgone armeggiò freneticamente con il portello posteriore, la aprì, rotolò fuori e cercò di tuffarsi oltre il bordo della strada. Dalla scarpata, la grossa calibro 50 aprì il fuoco, facendo esplodere la parte posteriore del tetto del furgone. Il metallo gemette, esalando nuvole di fumo. Il negro venne colpito mentre era in bilico sul portellone, con un piede sollevato. La calibro 50 continuò a sparare e lo tranciò quasi a metà, mandando il corpo inerte a rotolare per cinque o sei metri lungo la strada. L’arma riprese a crepitare, sollevando frammenti di asfalto. La recluta, gridando per l’eccitazione quasi inumana, stava scaricando il revolver sulla figura senza vita.

Il tenente fece un cenno con la mano e tutto si fermò.

Non c’era nessun suono e nessun movimento.

Gli echi svanirono lentamente.

Il fumo si innalzò in lente spirali dalla bocca del mitragliatore del tenente.

In quell’incredibile silenzio si udì qualcuno singhiozzare. Era Robinson. Quando se ne rese conto, strinse i denti e tese i muscoli dello stomaco per soffocare i conati di vomito. Le dita gli dolevano e sanguinavano nei punti in cui le aveva strette intorno al volante. Il vento accarezzava la sua pelle umida.

Il tenente si avvicinò al posto di guida del Microbus e aprì la portiera. Afferrò l’uomo per i capelli e gli sollevò con forza la testa. Il viso scarno era rilassato, senza rughe, con un’espressione di pace quasi ascetica. Il tenente lasciò la presa e la testa insanguinata ricadde.

Lentamente, il tenente girò intorno al veicolo e per un attimo guardò la donna. Giaceva in maniera scomposta per metà fuori dal furgone, col viso rivolto verso l’alto ed un braccio dietro la testa. Gli occhi erano ancora aperti e fissi. Il viso era intatto; sul corpo, un’orrore rossastro si andava diffondendo alla gola fino all’inguine. Il tenente la osservò, accarezzando gentilmente la canna del mitragliatore, il viso che sembrava scolpito nel marmo. Il vento tagliente sollevò il vestito della donna arrotolandolo intorno alla vita. Il tenente alzò le spalle e si diresse verso il retro del veicolo. Sfiorò con uno stivale il negro riverso sull’asfalto, poi si voltò e tornò velocemente verso l’auto di pattuglia. In alto, il caporale sogghignò e cominciò a ricaricare la sua fumante calibro 50. L’autista riprese a sonnecchiare.

La recluta rimase in piedi a fianco del Microbus; tutta l’eccitazione sembrava svanita, il viso cinereo era fisso sul fumo che si alzava dalla sua pistola, e sugli stivali immacolati, una superficie d’ebano ora punteggiata di macchie rosse. La luce lampeggiante arrossava il volto dei corpi inondandoli con una parodia di vita, subito negata e poi restituita, pulsando incessantemente.

Il vecchio sergente si rivolse a Robinson, le mani serrate sul fucile, il viso contratto e stranito, un profilo pallido e scavato, con occhi giallastri, improvvisamente invecchiato di vent’anni. — È meglio che tu te ne vada di qui, ora, figliolo — disse gentilmente. Spostò il fucile, guardò verso il furgone fumante, distolse lo sguardo e poi guardò di nuovo. La rete di venuzze sulle tempie pulsava. Scosse lentamente la testa, si diresse zoppicando verso l’auto pattuglia con le spalle curve, la mise in moto e la tolse dalla strada.

Il tenente si avvicinò mentre Robinson annaspava con l’accensione. — Alza di qui le tue chiappe — disse il tenente, e infilò di scatto un caricatore nuovo nel suo mitragliatore.