Выбрать главу

«Sì. E ho già sognato altre volte quella ragazza.»

«Oh, la conosci?»

«La conoscerò.»

«Parlami di lei.»

Paul chiuse nuovamente gli occhi. «Siamo in un posto chiuso, al riparo delle rocce. È quasi notte, ma fa caldo, e vedo chiazze di sabbia, là fuori, tra le fessure. Stiamo… aspettando qualcosa… Io devo incontrare della gente. Lei è terrorizzata ma cerca di nasconderlo, e io sono eccitato. E lei mi dice: ’Parlami ancora delle acque del tuo mondo, Usul.’» Paul aprì gli occhi. «Non è strano? Io sono nato su Caladan. Non ho mai sentito parlare di un pianeta che si chiama Usul.»

«C’è ancora qualcosa in questo sogno?» l’interruppe Jessica.

«Sì, ma forse Usul è il mio nome» disse Paul «Mi viene in mente ora» chiuse ancora gli occhi. «Mi chiede di descriverle le acque. E io le prendo la mano. Le dico che le reciterò una poesia. E la recito, infatti, ma devo spiegarle alcune parole: spiaggia… risacca, alghe, gabbiani.»

«Che poesia?» chiese la Reverenda Madre.

Paul aprì gli occhi. «È soltanto una delle poesie tonali di Gurney Halleck per i tempi tristi.»

Dietro di lui, Jessica cominciò a recitare:

«Ricordo i falò sulla spiaggia e il fumo E le ombre sotto i pini… Tutto così immobile, nitido… concreto… Gabbiani appollaiati sul promontorio, Bianco sul verde… E un vento soffia attraverso i pini E fa ondeggiare le ombre; I gabbiani distendono le ali, Spiccano il volo E riempiono il cielo di strida. E odo il vento Che soffia lungo la spiaggia, E la risacca, Mentre i falò, consumandosi, Hanno incenerito le alghe.»

«È proprio questa» disse Paul.

La vecchia lo fissò, quindi: «Giovanotto, come Supervisore Bene Gesserit io cerco lo Kwisatz Haderach, il maschio che potrà diventare in tutto e per tutto come una di noi. Tua madre sembra scorgere in te questa possibilità, ma lei ti guarda con l’occhio della madre. Anch’io intravedo una vaga possibilità, ma niente di più».

Tacque, e Paul si accorse che aspettava da lui una risposta. Lui, invece, aspettò che fosse lei a continuare.

Dopo un po’, lei disse: «Allora, sia come vuoi. C’è qualcosa di profondo in te, questo te lo concedo».

«Posso andare, ora?» chiese Paul.

«Non vuoi sentire quello che la Reverenda Madre può dirti dello Kwisatz Haderach?» l’interruppe Jessica.

«Mi ha detto che tutti quelli che hanno cercato di diventarlo sono morti.»

«Ma io ti posso fornire qualche indizio sul motivo del loro fallimento» disse la Reverenda Madre.

Parla di indizi, pensò Paul, ma in realtà non sa niente. Fece: «Datemi questi indizi, allora».

«E andate al diavolo» concluse per lui la vecchia. Un sorriso le contorse il volto: una nuova rete di rughe sul viso. «Molto bene: ’Colui che si sottomette, domina’.»

Lui la fissò, stupito: si riferiva a una cosa elementare come il contrasto tra i vari livelli di finalità? Cosa credeva, che sua madre non gli avesse insegnato nulla?

«E questo sarebbe un indizio?» chiese.

«Non siamo qui per discutere le parole o equivocare sul loro significato» replicò la vecchia. «Il salice si sottomette al vento e prospera fino al giorno in cui è diventato tanti salici… una barriera che ferma il vento. Questo è lo scopo finale del salice.»

Paul continuò a fissarla. Scopo, aveva detto, e sentì la parola colpirlo con violenza, quasi nuovamente contaminato da quel terribile scopo. E all’improvviso s’infuriò contro di lei: Vecchia, fatua strega dalla bocca piena di luoghi comuni!

«Voi pensate che io potrei essere questo Kwisatz Haderach» disse Paul. «Avete parlato di me, ma non avete detto assolutamente nulla di quello che potremmo fare per aiutare mio padre. Vi ho sentita parlare a mia madre. Voi parlate come se mio padre fosse già morto. Beh, non lo è!»

«Se fosse stato possibile far qualcosa per lui, lo avremmo già fatto» grugnì la vecchia. «Forse riusciremo a salvare te. È molto incerto, ma possibile. Ma tuo padre, no. Quando avrai imparato ad accettare questo fatto, allora avrai imparato una vera lezione Bene Gesserit.»

Paul vide quanto le parole di lei avevano scosso sua madre. Fissò la vecchia con ira. Come poteva dire questo di suo padre? Che cosa la rendeva così sicura? La sua mente ribolliva di risentimento.

La Reverenda Madre guardò Jessica. «Lo hai portato bene avanti sulla Via, ne ho visto i segni. Avrei fatto lo stesso al tuo posto, e al diavolo le Regole.»

Jessica annuì.

«Ora, voglio metterti in guardia» continuò la vecchia. «Non ignorare la giusta successione dell’addestramento. La sua stessa sicurezza esige la Voce. Ha già cominciato bene, ma entrambe sappiamo di quante altre cose abbia bisogno… e disperatamente.» Si avvicinò a Paul, sovrastandolo con tutta la sua statura: «Arrivederci, giovane umano. Spero che tu ci riesca. Ma se tu non ci riuscirai… beh, ce la faremo lo stesso!»

Guardò Jessica un’ultima volta: una rapida occhiata fra le due donne indicò che si erano capite. Poi la vecchia attraversò la stanza con passo rapido, nell’intenso fruscio della veste, senza più voltarsi. La stanza e i suoi occupanti erano già esclusi dai suoi pensieri.

Ma Jessica aveva colto per un attimo il volto della Reverenda Madre mentre questa si voltava. C’erano lagrime su quelle guance screpolate. Lagrime più scoraggianti di qualsiasi parola o segno si fossero scambiate quel giorno.

Tu hai letto che Muad’Dib non ebbe compagni di gioco della sua età su Caladan. I pericoli erano troppo grandi. Ma Muad’Dib ebbe dei meravigliosi compagni nei suoi insegnanti. C’era Gurney Halleck, il guerriero menestrello. Canterai anche tu alcune canzoni di Gurney, man mano che avanzerai nella lettura di questo libro. C’era Thufir Hawat, il vecchio Mentat Maestro degli Assassini, il quale faceva paura perfino all’Imperatore Padiscià. C’erano Duncan Idaho, il Maestro di Scherma dei Ginaz; il dottor Wellington Yueh, un nome disonorato dal tradimento ma illuminato dalla sapienza; Lady Jessica, che istruì suo figlio nella Via Bene Gesserit; e, naturalmente, il Duca Leto, le cui qualità di padre sono state per troppo tempo trascurate.

dalla «Storia di Muad’Dib per bambini», della Principessa Irulan

Thufir Hawat scivolò nella palestra di Castel Caladan, e chiuse lentamente la porta dietro di sé. Restò immobile per un momento, sentendosi vecchio, stanco e infelice. La gamba sinistra, dov’era stato colpito un giorno, al servizio del Vecchio Duca, gli faceva male.

Tre generazioni, pensò.

Guardò nella grande sala illuminata dalla luce intensa del mezzogiorno che penetrava a fiotti attraverso il soffitto trasparente, e vide il ragazzo seduto con la schiena rivolta alla porta, concentrato su grandi carte geografiche distese su un ampio tavolo a «L».

Quante volte dovrò dire a quel ragazzo di non dare mai le spalle a una porta? Hawat si schiarì la gola.

Paul non si mosse, immerso nei suoi pensieri.

L’ombra di una nuvola oscurò la luce del sole. Ancora una volta Hawat si schiarì la gola.

Paul si raddrizzò e parlò senza voltarsi: «Lo so, sono seduto con la schiena alla porta».

Hawat, sopprimendo un sorriso, avanzò nella stanza.