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Jensen Fontaine in persona aprì la porta a Ed Wonder. Evidentemente aveva intercettato l’avvicinarsi della Volksair di Ed su per i tornanti del vialetto che portava al grandioso ingresso di villa Fontaine, che a Ed ricordava molto la Casa Bianca.

Aveva incontrato il padre di Helen già un paio di volte, ma solo di sfuggita. Ed dubitava che si ricordasse di lui. Evidentemente, il milionario aveva da tempo rinunciato a interessarsi alla vita della figlia; certamente non si dava nessuna pena di censurare i suoi accompagnatori.

Abbassò uno sguardo gelido su Ed Wonder mentre questi saliva la scalinata d’accesso alle due porte, una delle quali era aperta.

“È la giornata delle occhiatacce” pensò Ed avvilito. Per mesi e mesi aveva cercato di avvicinare Jensen Fontaine sfruttando il suo rapporto con Helen. Ma quella non era l’occasione che si era aspettato.

Fontaine sbottò: «È lei quel tale Ed Wonder?»

«Sì, signore. Faccio Ai limiti del reale da mezzanotte all’una.»

«Che cosa?»

«Alla vostra stazione radiotelevisiva, signore, radio Wan» spiegò Ed sempre più avvilito. «Curo il programma alla radio ogni venerdì da mezzanotte all’una.»

«Radio?» disse Fontaine con un ruggito indignato. «Vorrebbe dirmi che quell’asino di Mulligan fa ancora programmi alla radio, di questi tempi? E perché non lo fa alla televisione?»

Ed sentì il violento desiderio di chiudere gli occhi e strapparsi i capelli in un gesto di disperazione. Invece disse: «Vede, signore, non abbiamo alcuna obiezione contro la televisione. Anzi, io sarei felicissimo che il mio programma passasse alla TV. Ma c’è ancora della gente che non può guardare la televisione.»

«Non può guardare la televisione? E perché no? La TV è diventata il simbolo del modo di vivere americano! Che razza di gente è quella che non apprezza la televisione? Sarebbe bene esaminare a fondo questo fenomeno, giovanotto.»

«Sì, signore. Tanto per cominciare ci sono i ciechi e…»

Lo sguardo di Fontaine divenne ancora più bieco.

«…e poi c’è la gente che lavora e non può stare seduta davanti a uno schermo. Gente che guida aeromobili con il sistema manuale. C’è moltissima gente che ancora ascolta la radio, quando non può guardare la televisione. Tra i miei ascoltatori ci sono molti camionisti, cameriere dei ristoranti aperti tutta la notte…»

Il vecchio milionario sbottò infuriato: «Non so per quale maledetta ragione mi sono lasciato invischiare in una stupida conversazione come questa. Veniamo al sodo, ora. È lei l’incosciente che ha portato mia figlia Helen a quella ridicola riunione di ciarlatani, ieri sera?»

«Sì, signore. Io, dunque… Insomma, sì, sono io. Era sorto il problema se questo Ezechiele Giosuè Tubber era o non era…»

«Chi?»

«Sì, signore. Ezechiele Giosuè Tubber.»

«Non sia idiota. Nessuno ha un nome come questo, al giorno d’oggi. È uno pseudonimo, giovanotto. E un uomo che ha bisogno di uno pseudonimo ha qualche cosa da nascondere. Probabilmente qualche cosa di sovversivo.»

«Sì, signore. È proprio questo il problema sorto all’ultima riunione della sezione locale dell’Associazione Stephen Decatur; cioè se questo Tubber è o non è un sovversivo. Così Helen, cioè la signorina Fontaine, e io siamo andati al raduno.»

Gli occhi di Jensen si fecero leggermente meno freddi. «Mmh, l’Associazione dice? La mia Patria, nel bene…»

«La mia Patria, nel bene e… nel male?» completò rapido Ed.

«Ottimo, ragazzo. Non ero presente all’ultima riunione, Ed. La chiamerò Ed. Ero impegnato al congresso in California. Questo Tubber è un sovversivo, allora? Che cos’ha fatto a mia figlia, Ed? Dobbiamo andare fino in fondo a questa vicenda.» Prese Ed per un braccio e lo fece entrare finalmente in casa.

«Ecco, signore, veramente no» rispose Ed. «Per lo meno, a me non è parso un sovversivo. Devo fare una relazione all’Associazione stasera. Ha combinato tutto il signor Mulligan.»

«Sarà, ma a me pare proprio un sovversivo. Che cos’ha fatto a Helen?»

«Non saprei, signore. Sono venuto per vederla, penso che sia solo un po’ indisposta. Ieri sera si è voluta divertire. Ha stuzzicato Tubber. Lui è andato su tutte le furie e ha scagliato una maledizione su di lei.»

«Vorrebbe dire che questo ciarlatano, questo… questo sovversivo dal nome falso, ha imprecato contro mia figlia?» Nei suoi occhi era tornata la luce gelida.

«Non proprio, signore. Quello che volevo dire io era che ha lanciato una maledizione contro di lei. Insomma, una specie di sortilegio, capisce? Una formula magica.»

Jensen lasciò andare il braccio di Ed Wonder e lo fissò negli occhi con una lunga occhiata indagatrice.

Infine Ed disse: «È così, signore.» Non c’era altro da aggiungere.

«Mi segua, giovanotto» ordinò Jensen Fontaine. Fece strada fino ai piedi di uno scalone e salì i gradini senza dire una parola. Attraversò un’ampia sala al piano superiore, sempre senza parlare; imboccò un corridoio, superò una decina di porte, girò un angolo a gomito, sempre muto come un pesce. Infine entrò in una stanza.

Helen era ancora a letto, con i capelli spettinati sparsi sul cuscino, lo sguardo tra l’addormentato e l’allucinato. Al capezzale c’erano due tipi che sembravano medici e un’infermiera con la divisa inamidata che pareva avesse inghiottito una scopa, tanto era impettita.

«Fuori!» urlò Jensen Fontaine.

Uno dei medici disse con voce melliflua: «Signor Fontaine, consiglierei a sua figlia un lungo periodo di riposo e un completo cambiamento d’aria. Dovrebbe lasciare la città. Vede, la sua forma d’isterismo…»

«Fuori. Tutti quanti!» proruppe di nuovo Fontaine, facendo un cenno con la testa ai medici e all’infermiera.

Tre paia di sopracciglia si alzarono, ma era evidente che tutti e tre i presenti avevano già avuto contatti con la personalità di Jensen Fontaine. Raccolsero armi e bagagli e batterono in ritirata.

«Salve, Piccolo Ed» salutò Helen.

Ed Wonder stava per rispondere al saluto, ma prima ancora che potesse aprire bocca, la voce stentorea di Jensen Fontaine lo costrinse a stare zitto.

«Helen!»

«Sì, papà…»

«Salta subito fuori da quel letto. E se ne parlassero i giornali? Una maledizione! Una formula magica! Mia figlia, che ha a disposizione i migliori medici e psichiatri di Super New York, costretta a letto da una stregoneria. Subito giù dal letto! Pensa alle conseguenze per il mio nome. E alle conseguenze che ricadrebbero sull’Associazione, se circolasse la voce che i soci più in vista credono alla magia nera!»

Si girò su se stesso con uno scatto energico, fulminò Ed Wonder con un’ultima occhiataccia, per chissà quale ragione, e uscì dalla stanza a passo di carica come se dovesse dare l’assalto a Fort Apache.

Ed lo seguì con lo sguardo. «Come fa un uomo che pesa sì e no cinquanta chili a fare tanto rumore?» domandò. Poi si voltò verso Helen. «Che cosa diavolo c’è che non va?»

«Sento un prurito… Non ora. Come un’allergia, o qualcosa di simile.»

Ed la osservò per qualche istante, come uno che avesse messo una moneta in una macchinetta a gettone e non fosse successo niente.

«E quando lo senti questo prurito?» chiese infine.

«Quando mi metto il trucco. Anche un velo sottilissimo di rossetto. O se mi pettino i capelli in qualsiasi modo che non siano le trecce o una pettinatura liscia giù per le spalle. O se indosso un vestito che non sia una semplice vestaglietta da casa. Niente seta: nemmeno per la sottoveste. Comincio a sentire prurito dappertutto. È così da ieri sera, ma all’inizio non me ne ero resa conto del tutto. Piccolo Ed, ho paura. Funziona. La maledizione del vecchio caprone funziona!»