Nanue decise allora che poteva svenire. Mentre anche il secondo ladro volava nella notte, la sposa confusa si accasciò dolcemente sul petto di Peeryst, e di più non seppe…
Il mattino seguente, in tutta la città si sparse la voce di come il vecchio e spavaldo guerriero Darrigo Trumpettower avesse lottato con una decina di ladri nella stanza nuziale del nipote, mentre la coppia consumava indisturbata la sua unione, e di come lui avesse scaraventato i Moonclaw in uniforme uno per uno dalla finestra, nel giardino di casa.
Farl ed El inarcarono le sopracciglia e brindarono alla notizia. «Sembra che uno di loro abbia preso Isparla e se la sia svignata», affermò Farl, sorseggiando la sua birra densa.
«Quanti ne rimangono?», domandò Elminster con tranquillità.
L’amico si strinse nelle spalle. «Chi lo sa? Solo gli dei e i Moonclaw. Ma hanno perso Waera, Minter, Annathe, Obaerig, di sicuro, e probabilmente anche Irtil. Diciamo che noi siamo molti di più, in particolare dopo la scorsa notte, anche se abbiamo raccolto un bottino limitato».
«Una delle spille si è anche rotta», gli ricordò Elminster.
«Sì, ma abbiamo entrambi i pezzi, non va male», ribatté Farl. «Ora, se noi…»
Si interruppe, corrugò la fronte, e piegò la testa per ascoltare un sussurro concitato dal tavolo vicino, lasciando la mano sul braccio di El per chiedergli di stare zitto. Elminster, che in verità non stava parlando, continuò a rimanere in silenzio.
«Sì, magica! Indubbiamente nascosta dal Re Uthgrael, anni orsono!», stava dicendo un uomo proteso verso l’amico onde evitare di essere udito. «In una stanza segreta, da qualche parte nel castello, dicono!»
Farl ed Elminster si protesero per udire meglio. Un attimo dopo, non ve ne fu più bisogno: un menestrello irruppe nel locale, si recò al tavolo più vicino, e iniziò a cantare la storia con la sua giovane voce squillante ed eccitata.
In verità, si trattava di una leggenda che i menestrelli continuavano a riproporre: in un castello era stato trovato uno scrigno di magiche pietre loun, nascosto probabilmente da Re Uthgrael (o per suo ordine). I maghi non riescono a trovare un accordo per nominare il loro custode e per stabilire il modo con cui usarle. Per decreto del Re Belaur stesso, tali pietre – che brillano e si muovono autonomamente nell’aria, emettendo talora flebili arpeggi – sono esposte, sotto custodia di funzionari e di capi delle guardie di Athalgard, in una sala delle udienze, alla quale nessun mago si potrà avvicinare finché non verrà presa una decisione. Quando lasciarono la taverna, l’allegro menestrello stava declamando sonoramente che lui stesso aveva veduto le pietre, e che tutto ciò era vero!
Farl sorrise: «Sai che è nostro dovere prendere quelle pietre».
Elminster scosse il capo. «Non ti chiameresti Farl, Signore delle Mani di Velluto, se voltassi loro le spalle», rispose seccamente.
Farl ridacchiò.
«Questa volta», esclamò El con fermezza, «dovresti aspettare, lasciare che siano i Moonclaw a far scattare la trappola: ed entrare solamente se trovi un modo sicuro per farlo».
«Trappola?»
«Non senti puzza di maghi in questa storia stupenda? Io sì».
Dopo un attimo, Farl annuì. I loro occhi si incontrarono.
«Perché hai parlato al singolare?», chiese Farl tranquillamente.
«Io ho chiuso con i furti», affermò El lentamente. «Se deciderai di inseguire le pietre magiche, lo farai da solo. Io lascerò Hastarl dopo aver fatto un’ultima cosa».
Farl rimase impietrito, e il suo sguardo si rabbuiò. «Perché?»
«Rubare e uccidere danneggia solo individui contro i quali non ho nulla, ma non i maghi, purtroppo. Hai visto la statua del cervo; mani avide hanno preso ciò che è prezioso e l’hanno rovinato, rotto e reso inutile. Ho imparato tutto ciò che la strada poteva insegnarmi e ne ho abbastanza». Elminster fissò gli occhi stupiti di Farl e aggiunse: «Il tempo passa… e le cose che non ho fatto mi stanno divorando. Devo andarmene».
«Sapevo che stava per accadere», ammise Farl, diventando rosso in volto. «Ti facevi troppi scrupoli. Ma “quest’ultima cosa” che devi fare… non sarà un tradimento, vero?»
Elminster scosse la testa e parlò lentamente e deliberatamente. «Non ho mai avuto un amico più vicino e più sincero di te, Farl, figlio di Hawklyn».
Improvvisamente le loro braccia si strinsero in un abbraccio. Piansero e si diedero vicendevolmente pacche sulla schiena e sulle spalle, in mezzo alla via.
Dopo un momento, Farl esclamò: «Ah, El… che cosa devo fare con te?»
«Mettiti con Tassabra», rispose Elminster, e con occhi scintillanti aggiunse: «A lei potrai mostrare la tua stima in un modo più appagante».
Si allontanarono di un passo l’uno dall’altro… e poi, lentamente, sogghignarono.
«Allora ci separiamo», esclamò Farl, scuotendo il capo. «Metà della nostra ricchezza è tua».
El alzò le spalle. «Prenderò solo ciò che mi occorre per il viaggio».
Farl sospirò. «Io continuerò a rubare… e tu a uccidere i maghi».
«Forse», sussurrò Elminster, «se gli dei mi assisteranno».
PARTE III
Il sacerdote
7
L’incantesimo degli incantesimi
Nell’antichità, gli stregoni andavano atta ricerca dell’Incantesimo degli Incantesimi, che li avrebbe resi padroni del mondo e della magia. Alcuni dicevano di averlo trovato, ma tali individui venivano solitamente considerati pazzi.
Io stesso vidi uno di tali maghi «folli». Riusciva a ignorare incantesimi sferrati contro di lui, come se non esistessero, oppure a lanciarli con la sola forza del pensiero. Non penso fosse pazzo, ma in pace con se stesso, non più guidato da impulsi e da vizi. Mi riferì che l’Incantesimo degli Incantesimi era una donna, che il suo nome era Mystra e che i suoi baci erano meravigliosi.
Era una notte calda e quieta. Elminster fece un respiro profondo e contò quanto Farl aveva insistito che prendesse. Aveva un debito… e inoltre, l’altra questione che intendeva affrontare quella notte l’avrebbe probabilmente ucciso. Allora, sarebbe stato troppo tardi per pagare qualsiasi debito.
Quand’ebbe terminato, stette a guardare il cumulo di monete: cento reali, scintillanti al chiaro di luna. Di giorno, al sole, avrebbero ostentato la brillantezza dell’oro… ma forse, per una ragione o per l’altra, lui non sarebbe stato presente allo spettacolo.
Elminster scrollò le spalle. Almeno la vita era di nuovo sua, ed era libero di inseguire qualunque follia desiderasse. Pertanto, rifletté con ironia, eccolo impegnato nell’ultima azione da ladro. Gettò le monete nel sacco, lo legò stretto in modo che non tintinnassero, e si avviò per i tetti, in cerca di una certa stanza da letto.
Le persiane erano aperte, al fine di permettere alla brezza di raffreddare una coppia di sposi dormienti, i cui mobili non potevano certo essere paragonati a quelli dei Trumpettower. El si era molto compiaciuto del loro fidanzamento, anche se gli sarebbe costato gran parte delle monete per cui aveva lavorato. Entrò furtivamente dalla finestra e vedendoli sogghignò.
La giarrettiera nuziale era squisita, fatta di merletti e nastri di seta. Maliziosamente, Elminster allungò una mano e l’accarezzò.
Se l’avesse portata con sé come trofeo? Ma no… non era più un ladro.
Shandathe si stiracchiò quando sentì il tocco leggero sulla coscia. Tuttavia, immersa nel mondo dei sogni, allungò una mano verso quella massa calda e villosa di Hannibur, che stava russando sonoramente come solo sapevano fare i cantanti da osteria dopo essersi ubriacati. Mentre Elminster risistemava la giarrettiera che il fornaio le aveva legato al fianco, la donna sorrise ma non si destò.