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Il mago inarcò un sopracciglio. «Perché sei venuto qui, questa notte?»

«Per parlare con Mystra», ribatté El, con sua sorpresa.

Gli occhi di Ildru si assottigliarono. «Perché? Sei per caso un mago?»

«No», sbottò il giovane, «e sono fiero di non esserlo. Sono venuto per chiedere l’aiuto di Mystra per combattere i maghi come voi… o per maledirla se mi avesse risposto negativamente».

Il mago si accigliò nuovamente. «E che cosa ti fa pensare che Mystra aiuterebbe proprio te?»

Elminster deglutì e si rese conto che non poteva alzare le spalle. Né muovere qualsiasi altra parte del corpo, eccetto la bocca. «Gli dei esistono», affermò lentamente, «e il loro potere è reale. Io ho bisogno di quel potere».

«Oh? Il modo tradizionale», ribatté il mago affabilmente, «consiste nello studiare, a lungo e duramente, per gran parte della propria vita, e nell’abbassarsi a fare l’apprendista, rischiando la vita nel tentare incantesimi che non si comprendono o nel crearne di nuovi. Che arroganza colossale pensare che Mystra ti darebbe qualche cosa solo perché la chiedi!»

«L’arroganza colossale in Athalantar», affermò tranquillamente Elminster, «è quella di voi Signori Maghi. La vostra morsa su questa terra è tanto stretta che nessun altro uomo si può permettere il lusso di essere arrogante».

Si udì un mormorio tra la schiera di guardie. Ildru si guardò attorno e improvvisamente tornò il silenzio. Poi sospirò in modo teatrale. «Sono disgustato dalle tue parole amare. Taci, a meno che tu non voglia supplicarmi».

Elminster si sentì costretto a indietreggiare, e a salire sull’altare.

«Ancora niente lance», ordinò il mago. «Prima devo fare un incantesimo, per sapere se sono tutte chiacchiere e sogni frustrati… o se il giovane nasconde qualche segreto».

Sollevò le mani, sferrò un incantesimo, e poi scrutò attentamente il ragazzo, aggrottando la fronte.

«Nessuna magia», esclamò tra sé e sé, «e tuttavia possiedi un legame con essa, una capacità minore di plasmare… non ho mai visto nulla di simile». Fece un passo avanti. «Quali sono i tuoi poteri?»

«Non ho poteri», sbottò El. «Aborro la magia, e tutto ciò che ha a che fare con essa».

«Se ti libero e studio ciò che hai dentro, per vedere quali sono le tue inclinazioni, sarai fedele alla Corona del Cervo?»

«Per sempre!»

Lo stregone strizzò gli occhi all’udire quella risposta rapida e fiera, e aggiunse, «e ai maghi di Athalantar?»

«Mai!» Il suo grido echeggiò nella stanza, e il mago sospirò nuovamente, osservando il giovane furioso che tentava invano di scendere dall’altare. «Basta così», esclamò con voce annoiata. «Uccidetelo».

Il mago si voltò, ed Elminster vide una decina di soldati alzare le lance, soppesarle, e fare uno o due passi indietro per effettuare un buon lancio.

«Perdonatemi, madre… padre», affermò El con labbra tremanti, «io… io ho provato a essere un vero principe!»

Il mago si voltò di scatto. «Che cosa?»

Le lance erano già in aria, ed Elminster fissò gli occhi del mago e sibilò: «Ti maledico, Ildru dei maghi, con la mia morte e la…»

Si interruppe confuso. Non si sarebbe aspettato di andare tanto lontano nella sua maledizione, e poté vedere che il mago aveva alzato le mani per fare qualche incantesimo, gridando: «Aspettate! Fermi! Niente lance!»

Poté anche vedere le guardie che lo fissavano come se fosse un drago, un drago purpureo con tre teste e un corpo di donna, per giunta!

E le lance… rimasero sospese nel vuoto, immobili, circondate da una luminosità perlacea. Elminster avvertì che poteva muoversi, e si voltò. Vi erano lance provenienti da tutte le direzioni, un cerchio mortale di punte pronte a trafiggerlo, ma non si muovevano, e dallo sguardo sbalordito del mago, capì che non era certo opera sua.

El si tuffò a terra, prima che tale strana magia cessasse. La sua mossa lo portò a faccia in giù contro la sommità dell’altare, in tempo per vedere due occhi fluttuanti svanire, e una fiamma sollevarsi improvvisamente dalla roccia nuda.

Le guardie gridarono e indietreggiarono, e il ragazzo udì il mago urlare di stupore.

La fiamma crebbe, scoppiettando, e da essa scaturirono dardi di fuoco, che consumarono le lance sospese. Queste divennero lance di fuoco, si incurvarono lentamente e svanirono in fumo.

El osservava a bocca aperta. L’altare iniziò a emanare un fulgore dorato, che avvolse lentamente anche lui. Le guardie urlarono terrorizzate. Elminster le vide voltarsi, brandire le spade e cercare di fuggire, ma sembravano luccicare e muoversi lentamente, come fossero personaggi di un sogno. La loro corsa diventava sempre più lenta, mentre lingue di fuoco circondavano i loro corpi, senza bruciarli. Rimasero immobili e silenziosi, di ghiaccio… raggelati nelle stesse fiamme.

Il giovane si voltò a guardare il mago, immobile come tutti gli altri, fiamme dorate tremolavano davanti ai suoi occhi fissi. Aveva la bocca aperta, e le mani alzate per effettuare un incantesimo… ma non si mosse.

Che cos’era accaduto?

La fiamma pulsava e si contorceva. El si girò rapidamente per fronteggiare il suo guizzo mutante, ed essa acquisì la forma di… di un individuo alto, aggraziato, avvolto da una tunica nera, che avanzò lentamente per fermarsi accanto al braciere. Una donna umana… o una maga?

Occhi d’oro colato e fiammelle danzanti incontrarono i suoi. «Salve, Elminster Aumar, principe di Athalantar».

El fece un passo indietro, scioccato. No, prima di allora non aveva mai visto quella donna maestosa… o qualcuno di una simile bellezza. Deglutì. «Chi siete?»

«Una che ti ha osservato per anni, sperando di vedere grandi cose», fu la risposta.

Il ragazzo deglutì nuovamente.

Gli occhi della donna erano abissi scuri e misteriosi, e la sua voce possedeva una cadenza musicale. Sorrise e sollevò una mano vuota, nella quale improvvisamente apparve uno scettro di metallo. Scintille luminose baluginavano e pulsavano per tutta la sua lunghezza. El non aveva mai visto nulla del genere: ardeva di fuoco blu, magico, e il suo aspetto, da solo, denotava un grande potere.

«Con questo», affermò tranquillamente la donna, «puoi distruggere in un attimo tutti i tuoi nemici. Basta che lo desideri e pronunci le parole incise sull’impugnatura».

Rilasciò lo scettro, che si sollevò lievemente e poi fluttuò nell’aria verso di lui. Lo guardò avvicinarsi, strizzò gli occhi, e poi lo afferrò. Un potere silenzioso vibrò nella sua mano. Elminster lo sentì crepitare e divampare attorno a lui, e il suo volto si illuminò. Lo sollevò, voltandosi a guardare le guardie immobili, e avvertì in sé un trionfo crudele. La donna lo osservava. Il giovane rimase immobile a lungo, poi si chinò cautamente e depose lo scettro sul pavimento di pietra ai suoi piedi.

«No», esclamò sollevando gli occhi per incontrare lo sguardo di lei, «non sarebbe giusto usare la magia contro uomini inermi. È proprio ciò che tento di combattere, Signora».

«Oh?», lei sollevò il capo per lanciargli un’improvvisa occhiata di sfida. «Lo temi?»

Elminster scosse le spalle. «Un po’» rispose con sguardo impassibile. «Ho più paura di ciò che di sbagliato potrei fare. Il tuo scettro brucia di potere; tale magia potrebbe nuocere se usata avventatamente. Preferisco non vedere il regno distrutto per opera mia». Scosse il capo. «Possedere un po’ di potere può essere… piacevole. Nessuno però dovrebbe possederne troppo».

«Che cosa significa “troppo”?»

«Per me, Signora, in qualsiasi misura. Odio la magia. Un mago uccise i miei genitori, per capriccio, a quanto pare, o per puro divertimento. Distrusse un villaggio intero in men che non si dica, e nessun uomo dovrebbe essere in grado di compiere tali azioni».

«La magia, quindi, è malvagia?»

«Sì», rispose rapido, poi guardò la sua bellezza e continuò, «o forse no… ma il suo potere porta l’uomo a commettere malvagità».