«Ah», rispose la donna. «Una spada è malvagia?»
«No, Signora, ma è pericolosa. Non tutti dovrebbero averne una a portata di mano».
«Oh? Chi dovrebbe fermare i tiranni, e i maghi, allora?»
Elminster si accigliò irritato. «Tentate di ingannarmi con parole intelligenti, Signora!»
«No», ribatté affabilmente lei. «Cerco di farti riflettere prima che tu offra le tue parole intelligenti e i tuoi fermi giudizi. Ti chiedo di nuovo: una spada è malvagia?»
«No», ribatté El, «perché una spada non può pensare».
La donna annuì. «Un aratro è malvagio?»
«No», rispose inarcando un sopracciglio. «Che cosa intendete?»
«Se una spada non lo è, ma può fare del male, ciò non vale anche per lo scettro?»
Il principe aggrottò la fronte e scosse lievemente il capo, ma non rispose.
Quegli occhi luminosi tenevano prigioniero il suo sguardo. «Che cosa accadrebbe se offrissi questo scettro a un apprendista innocente in qualche altro luogo della terra, non a un mago? Che diresti?»
Elminster fu assalito dalla rabbia. Possibile che tutti gli stregoni amassero fare tali discorsi complicati? Perché giocavano sempre con lui, come se fosse un bambino, o una bestia da uccidere o trasformare con un semplice pensiero? «Sarei contrario, Signora. Nessuno dovrebbe usare un simile strumento senza sapere prima come fare… e conoscerlo a sufficienza per prevedere quali cambiamenti potrebbe apportare a Faerûn».
«Parole sagge per un ragazzo. Molti giovani, e molti maghi, sono tanto capricciosi e tanto orgogliosi che oserebbero fare qualsiasi cosa».
Quelle parole placarono un po’ la sua rabbia. Perlomeno la donna lo ascoltava e non lo congedava a priori. Chi era? Mystra costringeva i maghi a proteggere tutti i suoi templi?
Elminster scosse di nuovo il capo. «Io sono un ladro, Signora, in una città governata da maghi crudeli. Capriccio e orgoglio sono lussi che solo gli stupidi ricchi si possono permettere. Se voglio abbandonarmi a essi, devo farlo di notte, nelle camere da letto o sopra i tetti». Sorrise lievemente. «I ladri – ma anche i contadini, i mendicanti, e i piccoli artigiani, mi pare – devono controllarsi maggiormente di giorno, o sono destinati a perire presto».
«Che cosa faresti», chiese curiosamente la maga dagli occhi scintillanti, «se potessi esercitare la magia e diventare un mago potente come quelli che dimorano qui?»
«Userei i miei incantesimi per allontanare tutti i maghi da Athalantar e liberare il popolo. Poi sistemerei qualche altra cosa e rinuncerei per sempre alla magia».
«Poiché la odi», continuò tranquillamente la donna. «E se così non fosse e qualcuno ti desse il potere e ti dicesse che deve essere usato, che devi essere un mago? Che cosa accadrebbe?»
«Tenterei di essere un buon mago», rispose Elminster, scrollando ancora le spalle. I maghi dei templi erano soliti conversare con ogni intruso per tutta la notte? Era bello parlare finalmente in maniera schietta, con qualcuno che ascoltava e sembrava capire senza giudicare.
«Ti incoroneresti re?»
Elminster scosse la testa. «Non sarei un buon re», replicò. «Mi manca la pazienza». D’un tratto sorrise e aggiunse: «Tuttavia, se trovassi un uomo o una donna adatti, starei dietro di loro. È questo ciò che deve fare veramente un mago: allietare la vita delle persone che vivono nella sua terra».
Il suo sorriso, allora, divenne abbagliante. Elminster percepì un potere improvviso nell’aria attorno a lui, e una sensazione di formicolio nei capelli e sulla pelle. «Ti inginocchierai davanti a me?», domandò la maga avvicinandosi.
Elminster deglutì, la sua bocca divenne improvvisamente secca. Era meravigliosa, e pur tuttavia terrificante, i suoi occhi e i suoi capelli pulsavano di potere come una fiamma che attende di esplodere. Tremante, El rimase immobile e le domandò: «S… Signora, qual è il vostro nome? Chi siete?»
«Sono Mystra», tuonò una voce intorno a lui, simile a un’onda possente che si infrange sulla scogliera. L’eco risuonò più volte nella stanza. «Io sono la Potenza e la Signora della Magia! Sono il Potere Incarnato! Dovunque vi sia magia, lì sono anch’io, dai freddi poli di Toril alle sue giungle più calde, qualsiasi mano o artiglio o volontà eserciti l’incantesimo! Servimi e abbi timore di me! Servimi e amami, come fanno tutti coloro che trattano con me onestamente. Questo mondo è il mio dominio. Io sono la magia, la più potente fra tutte quelle che gli uomini venerano. Io sono l’Incantesimo degli Incantesimi. Altri, non ve ne sono».
L’eco svanì. Elminster sentì i pilastri del tempio tremare attorno a lui. Vacillò intimorito, come un uomo che lotta contro un vento forte, ma rimase in piedi. Poi cadde il silenzio, e il suo sguardo incontrò quello di lei.
Fiamme dorate bruciavano negli occhi della donna. El si sentì avvampare, come se un fuoco incandescente scorresse nelle sue vene, e percepì un dolore che avanzava in lui come un’onda rossa e furiosa.
«Ragazzo», esclamò la dea, in un sussurro terrificante, «osi sfidarmi?»
Elminster scosse il capo. «Sono venuto qui per maledirvi o dissacrare questo luogo oppure chiedervi aiuto, ma ora… no. Vorrei che non aveste permesso ai maghi di uccidere i miei genitori e rovinare il mio regno, e vorrei… sapere perché. Ma non desidero sfidarvi».
«Che cosa provi, allora?»
Elminster sospirò. Già dalle prime parole che lei gli aveva rivolto, aveva capito di dover dire la verità, e quella sensazione permaneva. «Io vi temo e…» Rimase un momento in silenzio, e poi ciò che avrebbe potuto essere un sorriso sfiorò le sue labbra, e continuò «… credo che potrei imparare ad amarvi».
Mystra ora gli era molto vicino, e i suoi occhi erano due pozzi scuri e misteriosi. Sorrise, e improvvisamente Elminster si sentì fresco e riposato, a proprio agio.
«Io permisi ai maghi di usare liberamente gli incantesimi, affinché tutti gli esseri che esercitano la magia potessero sfuggire alla tirannia. Ma da quella libertà si è creata la situazione attuale», affermò. «Se vuoi sconfiggerli, perché non diventare tu stesso un mago? Lo scettro non sarebbe altro che uno strumento in tuo possesso… e sembra più adatto alla tua mano che a quella di chiunque altro l’abbia mai impugnato».
Elminster fece un passo indietro, sollevando le mani in un gesto di difesa inconscio.
Mystra si fermò, il suo sguardo divenne improvvisamente severo. «Ti chiedo ancora: ti inginocchierai davanti a me?»
Con lo sguardo fisso nel suo, El si inchinò lentamente. «Signora, vi confesso che sono sgomento», rispose lentamente, «ma se vi servirò… preferirei farlo con gli occhi aperti».
Mystra rise, i suoi occhi scintillarono. «Ah, è da molto tempo che non incontro un individuo come te!»
Poi il suo volto tornò solenne, e la sua voce si abbassò. «Stendi la tua mano, liberamente e con fiducia, oppure vattene in pace; scegli».
El protese la mano senza esitazione. Mystra sorrise e la toccò. Lingue di fuoco lo consumarono, lo fecero turbinare impotente nel nulla, e oltre, e lo scagliarono in profondità dorate… mentre migliaia di dardi luminosi gli trapassavano il petto come fiamme affamate.
Elminster gridò, o almeno tentò di farlo, mentre veniva gettato lontano nella follia multicolore, in un luogo di luce accecante e dolore pulsante. Urlò, e quando l’oscurità salì rapidamente verso di lui, vi si tuffò a capofitto, urtandola come fosse un muro di pietra. Era… svanito…
Fu di nuovo il freddo a svegliarlo. Elminster si mise a sedere, quasi aspettandosi di vedere il cimitero assopito intorno a lui, e invece si ritrovò nel tempio, silenzioso e scuro. Ora il potere scorreva in esso, un fremito silenzioso e invisibile, che come una rete si estendeva dall’altare spoglio alle guardie e al mago, immobili nel presbiterio circolare.
Ora riusciva a percepire la magia e a vederla!