Intimorito, El si guardò attorno. Era nudo; i suoi abiti erano stati consumati dal fuoco e giacevano in cenere ai suoi piedi; solo la Spada del Leone, accanto a lui, era immutata nel suo stato pietoso. Raccogliendola con un sorriso – la Signora della Magia conosceva evidentemente la sua missione – si alzò in piedi. Il bagliore bluastro della magia avvolgeva l’intera stanza, ma era più intenso dietro di lui. Si voltò e guardò l’altare.
Mystra era svanita, e il suo scettro con lei, ma non appena posò lo sguardo sulla pietra, dall’altare si levarono parole fiammeggianti. Avanzò rapidamente per leggerle. «Impara la magia, e viaggia per i Regni. Saprai quando giungerà il momento di tornare ad Athalantar. Adorami sempre con quella tua mente pronta e quella tua assenza di orgoglio, e ne sarò compiaciuta. Servimi, dapprima, toccando il mio altare».
A mano a mano che leggeva, le parole svanivano. Quando l’altare fu di nuovo nudo e cupo, Elminster si protese, si fermò improvvisamente, tremante di paura, e poi posò una mano ferma sulla pietra gelida.
Credette di udire un riso soffocato, da qualche parte lì accanto… poi le tenebre lo reclamarono nuovamente.
8.
Al servizio di Mystra
Vi ho mai detto come abbia iniziato a servire Mystra? No? In ogni caso non credereste a una parola di ciò che vi racconterei. Le vie della Signora sembrano strane a molti uomini, gran parte dei quali sono – più o meno – assennati.
Il mondo era avvolto in una foschia bianca. Elminster scosse il capo per liberarsene e udì il canto di un uccellino. Un uccello? Nelle profondità del tempio buio e vuoto? Scosse di nuovo la testa e si rese conto con un sussulto che i suoi piedi nudi erano appoggiati sul muschio e sulla terra, non sulla pietra fredda. Dove si trovava?
El iniziò ad agitarsi per dissipare la foschia… le nuvole erano nella sua mente, non nel mondo circostante. Mentre agitava la testa, udì ancora il richiamo dell’uccellino, e un lieve fruscio, un suono che gli ricordò il vecchio Heldon: una brezza tra le fronde degli alberi.
Si trovava in una foresta. Quando l’ultima nebbia si fu dissolta, El si guardò attorno e trattenne il respiro. Era nel cuore di un bosco, una fitta schiera di arbusti scuri e di alberi dalle foglie bluastre si ergeva attorno a lui, il terreno sotto di essi, scuro e cosparso di muschio, si estendeva a perdita d’occhio.
Il ragazzo era al sole sopra una collinetta, dove numerosi vecchi giganti della foresta erano stati abbattuti e avevano ceduto il posto a una radura raggiungibile dal sole. Era una piccola macchia di muschio illuminato dal sole in cui si trovavano un pietra piatta e un minuscolo laghetto cristallino. La Spada del Leone giaceva sopra la pietra. La magia di Mystra doveva averla portata in quel luogo assieme a lui.
Elminster si protese per afferrarla. Inginocchiandosi avvertì una strana oscillazione al petto. Corrugò la fronte, guardò in basso e vide i seni e le curve morbide di una fanciulla. Elminster osservò sbalordito, e fece scorrere una mano interrogativa sul suo corpo. Era solido e reale… si guardò attorno allarmato, ma vide che era solo. Mystra l’aveva trasformato in una donna!
Afferrando l’impugnatura famigliare e rassicurante della sua spada, El raggiunse carponi il laghetto oltre la pietra e si specchiò nelle placide acque. Studiando la sua immagine riflessa, vide il solito naso adunco e i soliti capelli neri, ma il viso era più morbido, la bocca insolente – ora corrugata per la costernazione – il collo lungo, e sotto di esso, un corpo dai fianchi stretti e piuttosto ossuto. Non era più Elminster.
Mentre guardava in basso, qualcosa sembrò crescere nelle profondità del lago… una cosa bianca e blu, balzellante: una fiamma.
El si risedette. Un fiamma stava bruciando sott’acqua, alimentata dal nulla! Una fiamma che si innalzava e diventava dorata… Mystra!
Allungò una mano anelante per toccare la fiamma non appena questa sfiorò la superficie, senza pensare che avrebbe potuto distruggerlo, finché fu troppo tardi e le sue dita esili avevano già percepito una bruciante sensazione di… freschezza! Una voce sembrò parlare nella sua testa. «Elminster diventa Elmara per vedere il mondo con gli occhi di una donna. Impara come la magia è parte di tutte le cose e forza vivente in se stessa, e pregami al fuoco di un fiammella. Troverai un maestro in questa foresta». La fiamma svanì ed Elminster rabbrividì. Conosceva quella voce.
Guardò di nuovo in basso, meravigliato. Adesso era… “Elmara”, esclamò forte, e lo ripeté, la sua voce molto più musicale di prima.
Scosse il capo, ricordando improvvisamente una notte ad Hastarl, in compagnia di una fanciulla comprata con monete rubate su insistenza di Farl. Ricordò i baci caldi e morbidi, e le spalle graziose, vellutate, sulle quali scorrevano le sue dita, che vagavano timide ed esitanti.
Se ora fosse stato in quella stanza, si sarebbe trovato dall’altra parte. Hmmm.
E così quello era il primo trucco di Mystra. Elmara torse ironicamente le labbra, rabbrividì per l’ennesima volta, e poi fece un sospiro profondo. Elminster, il principe venuto dal nulla, le cui battaglie fallite gli avevano fatto conoscere almeno due maghi, se ne era andato… almeno per ora, forse per sempre. La sua causa, giurò, non sarebbe morta, ma sarebbe stata portata a termine. Ci sarebbero voluti anni, forse, e per ora…
Elmara mormorò: «Che fare ora?» Una brezza soffiò tra le foglie, in risposta.
Scrollò le spalle, si alzò e camminò sopra la collinetta – notando che il suo passo era lievemente diverso, più breve e più ancheggiante – ma non c’era nient’altro che muschio e foglie morte. Era sola, e senz’abiti, un ramoscello pungente sotto ai piedi nudi. Che fare?
In quel luogo non vi era cibo, né riparo. Il sole le scottava la testa e le spalle… era meglio spostarsi all’ombra. La voce di Mystra aveva detto che avrebbe trovato un tutore nella foresta, ma era riluttante a lasciare il laghetto, forse il suo unico legame con la dea… ma no. Mystra aveva affermato che El l’avrebbe pregata al fuoco di una fiammella, e su quella collinetta non vi erano ramoscelli o foglie sufficienti. Secondo la dea lei avrebbe trovato un maestro, e ciò implicava che avrebbe dovuto cercarne uno.
Elmara sospirò, giocherellò pensierosa con la Spada del Leone, e guardò il sole con occhi socchiusi. Il bosco assomigliava alla Grande Foresta sopra Heldon. Se di quella si trattava, andando a sud avrebbe raggiunto i suoi margini, e forse trovato cibo, se non fosse riuscita a trovare qualcosa da mangiare fra gli alberi, e si sarebbe fatta una pur vaga idea di dove si trovava. Il terreno sotto gli alberi era scuro e ondulato, e presentava ovunque scarpate scoscese e piccole gole. Se avesse abbandonato quella collina, senza dubbio non l’avrebbe più ritrovata. Quel pensiero le ricordò il laghetto, allora si inginocchiò e bevve a lungo, non sapendo quando avrebbe rivisto l’acqua.
Il tempo non guarda in faccia a nessun uomo e a nessuna donna, ribadì ironicamente a se stessa, domandandosi quanto tempo le sarebbe occorso per abituarsi al suo nuovo stato. Mentre si incamminavano nella foresta, evitò di guardare indietro, e, pertanto, non vide quel paio di occhi fluttuanti che apparvero sopra la pozza, che la osservavano allontanarsi e sembravano annuire con approvazione.
Aveva camminato tutto il giorno e i suoi piedi erano malconci. Trasaliva a ogni passo, lasciando tracce di sangue. Doveva salire su un albero prima di sera, altrimenti qualche gatto della foresta o qualche lupo avrebbero seguito la sua pista. Se l’avessero azzannata alla gola sarebbe morta senza neanche il tempo di svegliarsi.
Elmara si guardò intorno ansiosamente. La foresta infinita sembrava ora cupa e minacciosa, mentre gli ultimi raggi solari si coloravano d’ambra e lasciavano spazio al tramonto… avrebbe dovuto accendere un fuoco? Avrebbe potuto attirare bestie feroci… ma sì, lo avrebbe acceso comunque. Un fuoco piccolo, che avrebbe lasciato morire prima di addormentarsi. Una fiamma per pregare Mystra. Da allora in poi, l’avrebbe acceso tutte le notti, promise solennemente.