Si chinò e raccolse alcuni ramoscelli secchi da sotto una foglia larga e li distribuì su una roccia vicina. Poi si soffermò, confusa. Come l’avrebbe acceso? Con una pietra focaia, sì, ma non l’aveva con sé, e nemmeno aveva strumenti d’acciaio.
Un attimo dopo, si batté la fronte ed emise un verso di deprecazione. Ma certo, la Spada del Leone! La sollevò, scuotendo la testa per la sua lentezza d’ingegno, e la sfregò sulla roccia.
Ne scaturì una scintilla. Sì! Era il modo giusto. Iniziò a battere l’estremità della pietra con la parte più solida della spada, quella arrotondata appena al di sotto dell’impugnatura, cercando di catturare ogni scintilla con i ramoscelli. I colpi echeggiavano distanti sotto gli alberi e le scintille saltavano e brillavano dove non le voleva, disdegnando il ramoscello secco.
Prima la frustrazione, poi la rabbia si impadronirono di lei; possibile che non riuscisse a far nulla di buono? «Sto tentando, Mystra», mormorò rabbiosamente, «ma…»
Si interruppe quando percepì un bagliore bianco nella parte posteriore della sua mente. Usare la mente per evocare un fuoco? Fino ad allora era riuscita solo a manovrare lievemente gli oggetti, o a rallentare un tantino le cadute, o a fermare piccole emorragie… era davvero in grado di farlo?
Perché non provare? Calò lo sguardo sulla spada ed evocò il fuoco bianco dentro di lei, alimentandolo con la sua rabbia, finché questo non divampò e le riempì la mente. Poi abbassò violentemente la spada sulla roccia. Ed ecco che una scintilla sembrò crescere ed espandersi in una piccola sfera di luce, prima di ricadere sul terreno e svanire.
El spalancò gli occhi. Guardò il punto in cui la scintilla si era spenta, poi scrollò le spalle e ricominciò lentamente a generare il fuoco nella sua mente. Questa volta, la scintilla si fece incandescente e si ingrandì; Elmara strinse i denti e, con la mente, cercò di spostarla da una parte e di mantenerla accesa… e la scintilla si posò sul legno.
Un ricciolo di fumo si sollevò. El lo contemplò e sogghignò, soddisfatta. Soffiò delicatamente sul ramoscello e ne avvicinò altri, più una foglia, affinché prendessero fuoco, se solo gli dei volessero… sì! Si sollevò una fiamma minuscola, una lingua ambrata che iniziò a lambire e ad annerire la foglia e che a mano a mano divenne più alta.
El tremò, avvertendo repentinamente un dolore pulsante nella testa, si leccò le labbra e rivolta alla fiamma mormorò: «I miei ringraziamenti, grande Mystra. Cercherò di imparare, e di servirti a dovere».
La fiamma si innalzò improvvisamente, quasi bruciandole il naso, e poi d’improvviso scomparve, come se non fosse mai esistita. Elmara fissò quel punto vuoto, poi si risedette, con la testa scoppiante fra le mani. Nessuna fiamma normale si sarebbe comportata in quel modo; Mystra doveva averla udita.
Si inginocchiò per qualche istante, nella speranza di cogliere qualche altro segno o parola della dea, ma tra gli alberi non vi era nient’altro che il buio, e un odore lieve di fumo. Ma perché avrebbe dovuto aspettarsi qualcosa di più? Prima di quella notte non aveva mai visto Mystra… e vi erano altre persone e altre faccende a Faerûn, oltre a Elminster di Athalantar.
Elmara, si corresse distrattamente. In ogni caso, che cosa facevano gli dei tutto il giorno?
Improvvisamente uno stivale poggiò delicatamente sul terreno che stava fissando, calpestando fermamente la Spada del Leone. La giovane trasalì e alzò lo sguardo. Occhi fieri, occhi di elfo, la stavano fissando e non sembravano affatto amichevoli. Dalla mano distesa verso di lei si irradiò un bagliore forte, che si trasformò in una spada di luce puntata davanti al suo mento.
«Dimmi», esclamò tranquillamente una voce nitida, «perché dovrei lasciarti vivere».
Delsaran annusò improvvisamente l’aria e alzò il capo. «Fuoco!» L’albero che stava plasmando cadde all’indietro sotto le sue mani quando la magia vacillò. Una rabbia repentina gli fece arrossire la punta delle orecchie. «Qui, nel cuore della vecchia foresta!»
«Sì», confermò Baerithryn, ma lo trattenne posandogli una mano sul braccio. «Ma, piccolo, aspetta». Sollevò l’altra mano, disegnò un cerchio nell’aria con due dita, e pronunciò una parola sommessa.
Un attimo dopo, un volto assorto apparve nell’aria, il viso di una donna umana. Delsaran sibilò ma non proferì parola mentre ascoltavano ciò che diceva: «I miei ringraziamenti, grande Mystra. Cercherò di imparare, e di servirti a dovere».
La fiamma allora si innalzò, e la loro visione esplose in un brulichio di scintille blu. Delsaran rimase a bocca aperta. «La dea l’ha udita», esclamò incredulo, a denti stretti.
Baerithryn annuì. «Dev’essere la ragazza preannunciataci dalla Signora». Si alzò, un’ombra silenziosa nell’imbrunire, e continuò: «Devo guidarla, come promesso. Lasciaci fare… come hai promesso».
Delsaran fece un lento cenno col capo. «La Signora assicura successo», le sue labbra si contorsero ironicamente, «a tutti e tre». Baerithryn appoggiò silenziosamente una mano sulla spalla dell’amico, poi scomparve.
Delsaran fissò con sguardo assente l’albero che stava plasmando, poi scosse il capo. Gli uomini gli avevano ucciso i genitori e le loro asce avevano abbattuto gli alberi della sua infanzia… Perché la Signora aveva mandato loro un umano? Non voleva che la sua gente fosse guidata ad apprendere la vera magia?
«Credo che pensi che gli elfi siano abbastanza saggi da guidarsi da soli», esclamò a voce alta, poi sorrise quasi malinconicamente e si alzò in piedi. Mystra non aveva mai parlato con lui. Scrollò le spalle, appoggiò per un istante le mani sull’albero con fare rassicurante, e poi scivolò via nella notte.
Elmara guardò la spada. «Non esiste una ragione particolare», rispose finalmente. «Mystra mi ha condotto qui, e…», indicò il suo corpo con un gesto, e un rossore improvviso le colorò il volto, «mi ha trasformato. Non intendo fare del male a voi o a questo luogo».
L’elfo la scrutò seriamente per un istante e poi affermò: «Tuttavia, in te vedo la volontà di fare del male a molta gente».
El lo fissò negli occhi, la gola improvvisamente secca. Deglutì e ribatté: «Vivo per vendicare i miei genitori. I miei nemici sono i maghi malvagi di Athalantar».
L’elfo rimase in silenzio, immobile e scuro come gli alberi intorno. La spada di luce non vacillò. Sembrava attendere altre parole.
Elmara alzò le spalle. «Per distruggerli, devo padroneggiare la magia… o trovare qualche metodo per distruggere la loro. Ho… incontrato Mystra. Mi ha detto che avrei trovato una guida in questa foresta… Conoscete un mago o un sacerdote di Mystra in questo luogo?»
La spada scomparve. Battendo le palpebre per abituare gli occhi all’improvvisa oscurità, El udì la voce pronunciare un semplice «Sì». Poi silenzio.
Temendo di rimanere sola nella notte dell’infinita foresta, El domandò rapidamente: «Mi condurreste gentilmente da quella persona?» Con suo stupore, la sua voce tremolò.
«“Quella persona” l’hai appena trovata», rispose l’elfo con una nota di soddisfazione o di silenzioso divertimento. «Dimmi il tuo nome».
«El-Elmara», rispose, e qualcosa le fece aggiungere, «ero Elminster fino a questa mattina».
L’elfo annuì. «Baerithryn», si presentò. «Ero Braer per l’ultimo umano che mi ha conosciuto».
«Chi era?» chiese El spinta da curiosità improvvisa.
Quegli occhi solenni scintillarono. «Una maga… morta trecento estati fa».
El abbassò lo sguardo. «Oh».
«Non sono molto amante delle domande, come avrai modo di constatare», aggiunse l’elfo. «Guarda, ascolta e impara. Questo è il metodo di noi elfi. Gli umani hanno molto meno tempo, continuano a farfugliare domande e poi si affrettano a fare le cose senza aspettare, o capire veramente, le risposte. A tal proposito spero di riuscire a migliorarti… almeno un po’». Si protese e aggiunse, «ora sdraiati».