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«Mi domandavo se saresti passata sopra il mio letto senza vedermi», esclamò senza alzare lo sguardo, con tono tagliente ma divertito.

Elmara la fissò, poi deglutì, colta da una timidezza improvvisa. «Le mie… scuse, Signora. In verità non vi avevo visto. Sto cercando…»

«Le glorie di Mystra, lo so». Le mani rugose interrarono un’altra piantina – sembravano tante piccole tombe, pensò El improvvisamente – e la testa dai capelli bianchi si sollevò. Elmara si ritrovò a fissare un paio d’occhi verdi fiammeggianti, che sembravano penetrarla come due lame di smeraldo. «Perché?»

El rimase senza parole. Aprì la bocca due volte, e la terza mormorò: «Io… Mystra mi parlò. Disse che da molto tempo non incontrava una persona come me. Mi chiese di inginocchiarmi davanti a lei, e io ubbidii». Incapace di sostenere quello sguardo intenso, Elmara distolse gli occhi.

«Sì, dicono tutti così. Suppongo ti abbia detto di venerarla bene».

«L’ha scritto, sì. Io…»

«Che cosa ti ha insegnato la vita fino adesso, fanciulla?»

Elmara sollevò nuovamente gli occhi grigio-celeste. Lo sguardo della vecchia sembrava ancora più intenso di prima, ma era determinata a sostenerlo, e così fece.

«Ho imparato a odiare, a rubare, ad affliggermi, e a uccidere», rispose. «Spero che essere una sacerdotessa di Mystra comporti molto di più di questo».

La vecchia bocca rugosa si contorse. «Per molti no. Vediamo se riusciamo a far meglio con te». Abbassò lo sguardo sul letto davanti a lei e picchiettò pensierosa la terra smossa.

«Che cosa devo fare per iniziare?», domandò Elmara, guardando il fango. Non sembrava esserci nulla d’interessante in quel luogo, ma forse la sacerdotessa voleva che si prendesse cura delle piante, come Braer aveva voluto che imparasse le abitudini del bosco. Si guardò intorno… non aveva visto una zappa lì vicino?

Come se avesse letto i suoi pensieri (senz’altro aveva il potere di farlo, pensò ironicamente El), la vecchia scosse il capo. «Dopo tutti questi anni», esclamò, «so farlo da sola, fanciulla. L’ultima cosa di cui ho bisogno sono un paio di mani volenterose ma inesperte, o una lingua impaziente che mi fa domande dal mattino alla sera. No, vattene».

«Andarmene?»

«Vai per il mondo, ragazza; Mystra non recluta giovani pivelli per inginocchiarsi davanti alle sue statue scolpite nella roccia. L’intera Faerûn intorno a noi è il vero tempio della dea».

Sollevò una mano ossuta. «Va, e fai come ti dico, dunque; e ascolta bene, fanciulla. Impara dai maghi, senza assumerne il titolo o le cattive abitudini. Diffondi la parola del potere della magia, del suo mistero e della sua tradizione; fa che gli individui che incontri siano desiderosi di esercitare loro stessi la magia, e dai a quelli più ansiosi un assaggio di incantesimo, in cambio solamente di un po’ di cibo e di un giaciglio. Trasforma donne e uomini in maghi».

El si accigliò, dubbiosa. «Come saprò se sto agendo bene… c’è qualcosa che non dovrei fare?»

La sacerdotessa scosse il capo. «Lasciati guidare dal tuo cuore, ma sappi che Mystra non proibisce nulla. Vai e fai tutte le esperienze che possono capitare a un uomo o a una donna di Faerûn. Ogni cosa.»

El aggrottò nuovamente la fronte, e lentamente si voltò.

Ma subito udì nuovamente quella voce tagliente. «Prima siediti e mangia, sciocchina. L’amarezza mette le ali agli stolti… cerca sempre di trasformare una sosta per il pranzo in un’occasione per pensare, e penserai più tu in una stagione di quanti pensano in tutta la loro vita».

Elmara sorrise debolmente, si tolse il mantello e si sedette, prendendo il sacco che Braer le aveva dato.

La vecchia scosse nuovamente il capo e schioccò le dita. Dal nulla apparve un vassoio di legno con verdure fumanti, proprio davanti a El, seguito da una forchetta, che rimase immobile nell’aria.

Con riluttanza, El l’afferrò.

La donna sbuffò. «Ti spaventa un po’ di magia? Sarai un eccellente avvocato di Mystra».

«Io… ho visto usare la magia per uccidere e distruggere e governare con la paura», affermò Elmara lentamente. «Per questo sono diffidente nei suoi confronti». Strinse la presa intorno alla forchetta. «Non ho scelto io di servire Mystra… lei è venuta da me».

«Ragion di più per esserle grata; alcun maghi sognano di vederla per tutta la vita e muoiono delusi». La testa dalla chioma bianca si chinò nuovamente a contemplare la terra. «Se odi o temi tanto la magia, perché sei venuta qui?»

Silenzio. «Per adempiere un giuramento», rispose finalmente El, «ho bisogno di magia potente… e di capire con che cosa ho a che fare».

«Bene, allora mangia, e poi prosegui il cammino. E, se non ti dispiace, prova a riflettere come ti ho suggerito».

«Riflettere su che cosa?»

«Questo lo lascio decidere a te. Ricorda, Mystra non proibisce nulla».

«Devo riflettere su ogni cosa?»

«Sarebbe un cambiamento gradito».

L’anziana donna osservò la giovane avvolta nel mantello finché non scomparve fra gli alberi. Poi continuò a guardarla: qualche albero non era certo un ostacolo per lei.

Infine si voltò e si avviò verso il tempio, trasformandosi lentamente finché una donna alta e aggraziata in abiti scintillanti e iridescenti non raggiunse la porta. Si girò nuovamente per vedere la fanciulla. I suoi occhi erano scuri, e tuttavia dorati, e piccole fiamme danzavano nel suo sguardo.

«Visto abbastanza?» La voce dall’oscurità oltre la porta si elevò come un rombo profondo.

Mystra scrollò il capo facendo ondeggiare la chioma lucente. «Potrebbe essere la persona giusta. La sua mente è ampia e il suo cuore è profondo».

Il tempio si increspò, si scosse e si mutò, proprio come aveva fatto prima la donna, rivelandosi un drago bronzeo che si innalzò da una casa di pietra molto più piccola.

Il drago spiegò le sue ali immense con un cigolio e un sospiro e inclinò la testa fino a rivolgere uno dei suoi vecchi occhi saggi alla dea. La sua voce era un mormorio tanto profondo che la parte anteriore della casupola di pietra tremò. «Come tutti gli altri… centinaia e centinaia di altri individui. Avere l’abilità non significa saperla usare correttamente, e prendere il giusto sentiero».

«È vero», ribatté Mystra, rivelando una lieve amarezza, poi sorrise e posò una mano sulle sue scaglie. «I miei ringraziamenti, amico fedele. Al prossimo volo insieme».

Il drago le carezzò la guancia con un artiglio massiccio con la stessa delicatezza con cui l’avrebbe fatto una piuma. Poi ripiegò le ali e si trasformò poco alla volta in una donna curva e rugosa, dai capelli bianchi e dallo sguardo verde intenso, una sacerdotessa che senza voltarsi entrò nel tempio, muovendosi con l’andatura lenta e curva dell’età. Mystra sospirò, girò su se stessa, e divenne una rete di luci accecanti che turbinarono sempre più rapidamente fino a scomparire.

Il sacco datole da Braer si rivelò contenere più di venti monete d’argento, avvolte in un pezzetto di pelle nascosto sul fondo. Non si sarebbe tuttavia potuta permettere un letto caldo tutte le notti, almeno fino al giungere delle grandi nevicate. Cespugli e boschetti erano la sua stanza da letto, ma solitamente la donna si riscaldava tutte le sere in una locanda, con un pasto caldo e un posto quanto più possibile a contatto con la terra. Le giovani sole che camminavano per le strade erano poche, ma evocare un po’ di fuoco magico e apparire misteriose teneva sempre alla larga gli spiriti bollenti degli uomini del luogo.

Quella notte si trovava in un’osteria del Mlembryn. A tutti quelli che ascoltavano, raccontava storie sulla gloria della magia, favole tratte da ciò che Braer, Helm e le strade di Hastarl le avevano insegnato. Talora i suoi racconti le assicuravano qualche boccale, e nelle notti in cui gli dei le arridevano, qualcun altro raccontava storie di stregoneria per farle concorrenza, fornendole perciò ulteriori informazioni su ciò che molti pensavano della magia… e nuovi prodigi da raccontare nelle sere seguenti.