Sperava che ciò accadesse anche quella notte; due uomini, seduti sul bordo delle loro sedie, le sembravano smaniosi di rivelare qualcosa, mentre lei si accingeva a raggiungere il culmine della sua storia splendida. «… E fu l’ultima cosa che il re e il suo seguito videro dei nove Maghi Reali: erano sospesi nell’aria leggera, disposti in cerchio, già più in alto della torre più elevata del castello, e ancora continuavano a salire!» Elmara prese fiato in modo drammatico, guardò attorno a sé il pubblico rapito, e continuò.
«Le luci danzavano ancora più rapidamente fra le loro mani, intessendo una ragnatela tanto lucente che avrebbe accecato chiunque avesse sollevato lo sguardo, ma l’ultima cosa che il re vide, prima che scomparissero, fu un drago, che apparve nel mezzo della grande luce, e si dissolse lentamente...»
Improvvisamente, la tenda di uno dei vani nel retro della stanza si aprì, ed Elmara comprese di essere nei guai. Il pubblico anelante distolse affrettatamente lo sguardo dalla donna, e la taverna si riempì d’una tensione improvvisa, centrata su un uomo dalla barba arricciata, splendidamente vestito, che incedeva impettito verso di lei. Le sue dita ornate di anelli luccicavano, e i suoi occhi rifulgevano di rabbia.
«Tu! Straniera!»
Elmara sollevò lievemente un sopracciglio. «Buon uomo?»
«Signore, prego. Sono il Mago Dunsteen, e ti ordino di frenare la lingua, ragazza!» L’uomo si rizzò per darsi importanza, ed El sapeva che, nonostante guardasse solo lei, era consapevole di tutti gli individui presenti nella stanza. «Le questioni di cui parli con tanta leggerezza non sono fantasie, ma stregonerie». Il mago avanzò con imponenza ed esclamò bruscamente: «La magia interessa a tutti per il suo potere ma è, giustamente, un’arte di segreti, segreti che devono conoscere solo gli individui giusti. Se sei saggia, cessa subito i tuoi discorsi di magia».
Al termine delle sue parole, la stanza ricadde nel silenzio, allora Elmara affermò pacatamente: «Mi è stato detto di parlare della magia, dovunque vada».
«Oh? E da chi?»
«Da una sacerdotessa di Mystra».
«E perché», chiese Dunsteen con un sorrisino insinuante, «una sacerdotessa di Mystra sprecherebbe tre parole con te?»
Le guance di Elmara avvamparono, ma rispose tranquillamente come già aveva fatto: «Mi stava aspettando».
«Eh? Chi ti ha inviato in Faerûn a cercare sacerdotesse della Sacra Signora dei Misteri?»
«Mystra», rispose seccamente.
«Oh, Mystra. Naturalmente», la schernì apertamente il mago. «Suppongo che ti abbia parlato».
«L’ha fatto».
«Eh? Dimmi com’è fatta!»
«Dapprima si presenta come un paio di occhi che fluttuano nelle fiamme, e poi si trasforma in una donna alta, dagli occhi scuri e vesti nere».
Il mago Dunsteen rivolse gli occhi al cielo. «Faerûn è dimora di molti pazzi, tanto fuori di sé, ho udito, da illudere anche se stessi».
Elmara depose il suo boccale. «Avete usato molte parole fiere e provocanti, Signore, e ciò mi fa pensare che vi consideriate un mago di una qualche… importanza locale».
Il mago si irrigidì, fulminandola con gli occhi.
Elmara sollevò una mano. «Ho udito molte volte che i maghi sono cercatori di verità. Dunque, un mago tanto importante come voi dovrebbe conoscere abbastanza incantesimi per stabilire se sto dicendo il vero». Si riaccomodò sulla sedia e aggiunse, «voi mi ordinate di non parlare più di magia. Bene, io vi chiedo ora di usare i vostri incantesimi per vedere se ho detto la verità, e di frenare i vostri discorsi di pazzia e le vostre menzogne».
Il mago scrollò le spalle. «Non spreco incantesimi per una donna matta».
Elmara ricambiò l’alzata di spalle, si voltò ed esclamò: «Come stavo dicendo, l’ultima cosa che il re vide dei suoi Maghi Reali, furono le luci che incatenavano un drago evocato da loro stessi, che sputava fuoco contro di loro…»
Il mago fissò la giovane donna, ma Elmara lo ignorò. Allora lui lanciò sguardi feroci nella stanza, ma gli uomini evitarono accuratamente i suoi occhi, e dietro di lui si udirono risate sommesse.
Un momento più tardi, Dunsteen girò su se stesso, facendo turbinare le sue vesti, e si diresse impettito verso il suo angolo privato. Elmara alzò le spalle e proseguì il racconto.
La luna era luminosa, e stava sbucando dallo strato sottile di nubi che avanzavano furtive sopra gli alberi. Elmara si strinse nel mantello, le notti serene come quella gelavano le ossa, e si affrettò nella notte. Prima di recarsi alla taverna, aveva scelto una cavità ricoperta di felci per passarvi la notte.
A una certa distanza, dietro di lei, si udì un rumore di rami spezzati. Non era la prima volta che li sentiva quella sera. Si fermò ad ascoltare un istante, e poi proseguì, accelerando lievemente il passo.
Giunse al suo rifugio e lo oltrepassò, si arrampicò sul pendio opposto, e si acquattò fra i cespugli. Poi si tolse sacco e mantello e rimase in attesa. Come si era aspettata, l’inseguitore non era un giovanotto zelante, desideroso di ascoltare nuove storie di magia, ma un certo signor mago, che ora si muoveva esitante nell’oscurità.
Elmara decise di arrivare subito al dunque. «Buona sera, Signor Mago», salutò tranquillamente, rimanendo acquattata tra le felci.
Il mago si arrestò, fece un passo indietro e mormorò alcune parole.
Un attimo dopo, la notte fu illuminata dalle fiamme. Quando il calore la raggiunse, Elmara si gettò di lato. Dopo essersi ripresa dallo spavento, si fece coraggio e affermò laconica: «Un fuoco da campo sarebbe stato sufficiente».
Poi lanciò una pietra da una parte, e mentre questa ricadeva tra la sterpaglia, balzò in piedi e corse nella direzione opposta, attorno all’orlo della cavità.
La successiva sfera di fuoco del mago esplose ben distante da lei. «Muori, pazza pericolosa!»
Elmara puntò il dito contro il mago, che si stagliava nettamente nella luce lunare, e mormorò le parole di una preghiera a Mystra. La sua mano fu colta da una sensazione di formicolio, e il mago venne scaraventato improvvisamente all’indietro, atterrando violentemente fra i cespugli.
«Che gli dei ti fulminino, straniera!», imprecò rimettendosi dolorosamente in piedi. Elmara udì rumore di vestiti lacerati, e un’altra imprecazione.
«Io non scaglio fuoco alle donne solo perché non si piegano di fronte a me», esclamò El freddamente. «Perché l’hai fatto?»
Il mago avanzò nuovamente nel chiaro di luna. La giovane allora sollevò le mani, pronta a respingere un incantesimo, ma non accadde nulla.
Dunsteen ringhiò di rabbia. El sospirò e sussurrò un incantesimo. Luce blu e bianca avvolse la testa del mago, e i suoi lineamenti si contorsero quando si trovò costretto a dire la verità.
La sfilza di imprecazioni terribili che stava pronunciando si trasformò nelle parole: «Non voglio che il popolo di Faerûn eserciti la magia! A cosa servirebbero allora i miei poteri, eh?» La sua voce si levò in un grido di paura.
«La tua vita è nelle mie mani, mago», gli rispose Elmara, fingendosi disinvolta. Se solo la sua paura lo avesse trattenuto dallo scagliare un’altra sfera di fuoco…
Ingoiando il timore che le saliva dal profondo, la giovane donna recitò un’ulteriore preghiera a Mystra. Quando il prurito alle estremità le indicò che la sua magia aveva fatto effetto, raggiunse l’orlo della cavità, avanzando a mezz’aria e si fermò di fronte al mago. Puntò un dito verso il basso, tremante per lo sforzo di tenersi a mezz’aria. «Non desidero ucciderti, Signor Mago. Mystra mi ha ordinato di diffondere la magia, non di privare i Regni della vita e dell’abilità dei maghi».
L’uomo deglutì e indietreggiò rapidamente. Evidentemente non si considerava tanto potente come aveva fatto credere alla taverna. «E dunque?»