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«Tornatene a casa e non seccarmi più», rispose Elmara in tono ieratico, «e io non farò scendere su di te la maledizione di Mystra».

Ciò suonava bene e la sacerdotessa le aveva detto che tutto era lecito. Se Mystra avesse pensato che le sue parole erano inopportune… senza dubbio glielo avrebbe presto fatto sapere.

La notte rimase quieta e silenziosa, interrotta soltanto dai rumori emessi dal mago Dunsteen, che se la dava a gambe tra felci e rovi.

«Fermati!» esclamò El con tono di comando. Mentre cercava di riconcentrarsi sull’incantesimo della verità, si sentì scendere lentamente a terra.

Dunsteen si arrestò bruscamente, come se qualcuno gli avesse stretto un guinzaglio intorno al collo.

La donna, allora, esclamò, rivolta alla sua schiena illuminata dalla luna: «Mi è stato detto di imparare tutto ciò che posso dai maghi che incontro. Dove mi suggeriresti di andare a imparare come si diventa un buon mago?»

L’alone dell’incantesimo della verità risplendette attorno al mago ma questi non si voltò, perciò Elmara non poté vedere il suo sorriso distorto. «Fai visita a Ilhundyl, governatore del Calishar, e chiedilo a lui… otterrai la risposta migliore che un uomo ti possa dare».

Molti intrusi vagavano nel labirinto, chiamando insistentemente, finché Ilhundyl, stanco delle loro grida, non li faceva entrare nella stanza delle udienze, oppure liberava i leoni affinché li sbranassero. La giovane donna, tuttavia, camminava attraverso le mura illusorie e intorno alle trappole dell’ingresso, come se riuscisse a vederle.

Ilhundyl si protese per sbirciare dalla finestra con improvviso interesse, quando Elmara giunse sul lastricato ampio davanti al Grande Cancello, guardò in alto, e poi, senza esitazione si diresse verso la porta nascosta, evitando i golem e le statue, le cui mani di benvenuto potevano sputare fulmini contro lo sfortunato che vi fosse passato attraverso.

Il Mago Pazzo amava la sua intimità, e la sua vita… e non c’era giorno che qualcuno non tentasse di privarlo di entrambe. Pertanto il suo Castello Magico era circondato da trappole meccaniche e magiche. Non una delle sue mani dalle lunghe dita rimase a picchiettare pigramente sul tavolo. Afferrò un martelletto di ottone, lo sollevò, e colpì con esso una certa campana.

A quel segnale, un meccanismo azionato da schiavi sotto terra, fece aprire improvvisamente il pavimento sotto i piedi della donna, che naturalmente scomparve alla vista. Ilhundyl sogghignò e si rivolse al servitore alto e di bell’aspetto che attendeva pazientemente i suoi ordini. Garadic avanzò lestamente. «Signore?»

«Vai a vedere quel corpo», ordinò, «e porta…»

«Signore», esclamò il servo con urgenza; Ilhundyl seguì il suo sguardo ancora prima che indicasse col braccio. Il mago ruotò sulla sedia.

La giovane intrusa stava camminando nel vuoto, avanzava sul nulla, e stava uscendo dalla voragine apertasi sotto di lei. Il Mago Pazzo aggrottò le sopracciglia e si protese per osservare meglio. «Garadic», esclamò bruscamente, «vai e portamela qui. Viva, se riesce a rimanere tale nel tempo in cui sarai da lei».

«Una sacerdotessa di Mystra mi ha detto di imparare la stregoneria dai maghi… e un mago mi ha riferito che siete la persona migliore per aiutarmi».

Ilhundyl sorrise velatamente. «Perché volete imparare la magia, se non volete diventare una maga?»

«Devo servire Mystra il meglio possibile», rispose Elmara fermamente, «come mi ha comandato».

Il mago annuì. «E dunque, Elmara, cercate dei maghi che vi insegnino, in modo da poter servire la Signora dei Misteri».

Elmara assentì col capo.

Ilhundyl agitò le mani, e la stanza cadde nel buio, salvo due sfere luminose sospese sopra di lui e sulla giovane intrusa. Si guardarono negli occhi, poi Ilhundyl parlò nuovamente, con voce echeggiante di toni fatidici.

«Allora sappiate, o Elmara, che dovete diventare apprendista di un mago, e una volta imparato a lanciare fuoco e fulmini, scivolate via senza una parola, andate lontano e unitevi a una banda di avventurieri. Poi visitate i Regni, affrontate il pericolo, e usate i vostri incantesimi seriamente».

Il governatore del Calishar si protese, assottigliò la voce e continuò: «Quando sarete in grado di vincere una battaglia magia dopo magia, cercate il Libro degli incantesimi di Ondil e portatelo all’altare di Mystra sull’isola chiamata “La danza di Mystra”. E offritelo alla dea».

La sua voce cambiò e divenne ancora una volta tuonante. «Una volta entrata in possesso del tomo di Ondil, non sfogliatelo, né tentate di imparare i suoi incantesimi, poiché quello è il sacrificio che la dea richiede! Andate, ora, e fate come vi ho detto».

La luce sovrastante il trono del Mago Pazzo si affievolì, lasciando che Elmara guardasse nel buio. «I miei ringraziamenti», esclamò, e si voltò per andarsene. La sfera di luce l’accompagnò fino alla soglia, poi svanì oltre le grandi porte di bronzo, che si richiusero con il solito boato. Quando il rumore smise di echeggiare, Ilhundyl aggiunse tranquillamente: «E una volta che mi avrai portato quel libro, vai e ucciditi, mia cara maga».

I lineamenti gradevoli di Garadic si fusero senza rumore nell’orribile aspetto del suo vero volto, munito di zanne e ricoperto di scaglie. Il servo fece un passo avanti e chiese con curiosità: «Perché padrone?»

Il mago si accigliò. «Non ho mai incontrato nessuno con un tale potere latente. Se vive, potrebbe diventare padrona dei Regni». Scrollò le spalle. «Ma morirà».

Garadic fece un ulteriore passo avanti, trascinando la coda sul pavimento. «E se non muore, padrone?»

Ilhundyl sorrise ed esclamò: «Farai in modo che ciò accada».

PARTE IV

Il mago

10.

Nella Torre Fluttuante

Grande avventura? Ah! Morire di paura, cercare a tentoni di uscire dalle tombe o, peggio, versare sangue o cercare di abbattere cose che non possono più sanguinare. Se sei un mago, resterai tale finché un tuo simile non lancerà un incantesimo più rapidamente di te. Non parlatemi di «grande avventura».

Theldaun «Lanciatore di fuoco» Ierison, Insegnamenti di un vecchio mago infuriato.
Anno del Grifone

Era una fredda e limpida giornata d’autunno dell’Anno della Birra Abbondante. Le foglie sugli alberi tutt’intorno avevano ormai assunto sfumature dorate e arancio-fuoco quando le Lame Coraggiose fermarono i loro cavalli ai piedi del luogo che avevano a lungo cercato.

La loro destinazione si ergeva scura e silenziosa sopra le loro teste: la Torre Fluttuante, la fortezza senza vita del mago Ondil, morto tempo addietro, nascosta nella forra soffocata dai rovi, in un luogo selvaggio molto a ovest delle Colline del Corno.

Era ancora in piedi, una torre di pietra, solitaria e cadente che si stagliava nel cielo limpido… ma, come narrava la leggenda, le sue fondamenta erano un cumulo di pietre crollate, e vi era un vuoto, pari all’altezza di circa dodici uomini, tra il suolo e la stanza vuota e buia del sesto piano. La dimora di Ondil era sospesa pazientemente nell’aria ormai da secoli, sostenuta da un incantesimo imponente.

Le Lame guardarono in alto, e poi distolsero lo sguardo, tutti tranne l’unica donna fra loro, che in piedi, con una bacchetta magica alzata, osservava guardinga la dimora sospesa sopra di lei, oltre il suo naso aquilino.

Erano giunti in quel luogo per una strada lunga e pericolosa. In una tomba di uno stregone, infestata dai ragni, nella sperduta Thaeravel, secondo alcuni la terra dei maghi da cui era sorta Netheril, avevano ritrovato degli scritti che parlavano del potente arcimago Ondil e di come, negli ultimi giorni della sua vita, si fosse ritirato in una torre protetta da un incantesimo, per creare magie nuove e potenti.

Il vecchio Lhangaern aveva inventato una pozione per rinvigorire le sue membra, l’aveva bevuta e si era accasciato nella polvere gridando, sotto i loro occhi… e le Lame si erano ritrovate senza un mago. Gli avventurieri non osavano mettersi nuovamente in cammino senza l’aiuto della magia; pertanto, quando una giovane donna si presentò alla loro taverna e iniziò a snocciolare favole sulle meraviglie della magia – e dimostrò di saper fare tali incantesimi – l’arruolarono immediatamente nelle loro fila.