Non era una donna bella. Il naso adunco e lo sguardo cupo e serio tenevano lontani molti uomini e molte donne, e cavalcava bardata come un guerriero, con stivali e pantaloni, rifiutando la tunica e le maniere di molti maghi. Nessuno di loro sentiva il desiderio di portarsela a letto, anche se attorno a lei non aleggiava alcuna minaccia di incantesimi protettivi. La sua prima richiesta era stata quella di avere il tempo di studiare i libri degli incantesimi che Lhangaern non avrebbe mai più letto e la seconda era la possibilità di usarli.
Le Lame Coraggiose si dichiararono d’accordo, e si misero in viaggio per far guerra a una banda di briganti che opprimevano quella terra. Nel torrione in rovina che la banda sconfitta usava come roccaforte, Elmara trovò bacchette magiche che non potevano più usare e libri di magia che non potevano più leggere, e li esibì trionfante.
Per tutto l’inverno successivo, mentre i venti urlanti ammassavano la neve alta e gelida all’esterno dell’edificio, le Lame Coraggiose sedettero davanti al fuoco, affilarono le spade, e si raccontarono storie concitate delle loro gesta brillanti e ciò che di temerario contavano di fare nell’estate a venire. In disparte, la giovane maga studiava.
I suoi occhi si infossarono e divennero malinconici, il corpo si fece sempre più magro. Socchiudeva gli occhi quando andava in giro e usava poche parole, la sua mente era lontana, distante e confusa proprio come se gli incantesimi la sconcertassero. Tuttavia, riusciva a evocare fuochi in stanze ghiacciate dall’inverno e luce intensa senza bisogno di accendere falò o candele fumose o di tagliare legna.
Gli uomini impararono a tenersi alla larga da Elmara, poiché ogni loro piano comportava da parte sua un torrente infinito di questioni morali: «Dovremmo uccidere quest’uomo? È giusto?» oppure: «Ma che cosa ci ha fatto il drago? Non sarebbe più prudente lasciarlo in pace?»
L’inverno trascorse, le Lame Coraggiose ripresero il cammino e si imbatterono negli Scudi Lucenti, una banda arrogante e famosa di avventurieri fuorilegge. Combatterono nelle strade di Baerlith, e i sogni di numerose Lame si spensero in quel luogo. Elmara supplicò i due maghi degli Scudi Lucenti di non combattere, ma di condividere i loro incantesimi, «ponendo le glorie della magia al di sopra di tutto».
I due maghi la schernirono e sferrarono incantesimi mortali, ma la maga delle Lame non era più dove si trovava. Riapparve dietro ai due uomini e li colpì con l’elsa di un pugnale. Poi scoppiò in lacrime quando i compagni, incuranti delle sue proteste, tagliarono loro la gola mentre giacevano privi di sensi. «Ma avrebbero potuto insegnarmi molto!», piagnucolò la ragazza. «E che ne è del vostro onore se uccidete chi non può reagire?»
Tuttavia, al termine di quella giornata, gli Scudi Lucenti vennero sconfitti, e le Lame presero monete, armature, cavalli, e tutto per se stessi, mentre la loro maga si ritrovò padrona di stivali, cinture, anelli, corde e quant’altro emanasse magica luce blu. Non vedeva l’ora di usarli ma decise di attendere, per il momento. Le Lame forse la pensavano una maga, ma era una sacerdotessa di Mystra, che non possedeva più magia di un apprendista appassionato ma ignorante… e avendo visto il loro temperamento bollente, non rivelò la sua verità.
Trascorse anche l’estate, lunga e calda. Gli avventurieri cavalcavano di trionfo in trionfo, con le bisacce colme di monete, gettando generosamente le ricchezze che non potevano portare con sé in grembo a ragazze consenzienti, dovunque andassero; tutti, tranne la loro maga seria e cupa, che si teneva in disparte, e trascorreva invece le notti in compagnia dei suoi incantesimi.
Poi venne il giorno in cui Tarthe trovò il diario di un mercante che narrava di un viaggio tra le alte colline a nord del Bosco Ong, e di una valle nella quale i grifoni, usciti da una dimora solitaria, scacciarono la sua banda. Erano grifoni col collare, e il loro petto presentava uno scudo col marchio di Ondil dai Molti Incantesimi.
Il momento in cui, tutti eccitati, avevano esultato al pensiero di saccheggiare la Torre Fluttuante, sembrava lontano, ora che stavano legando i cavalli all’ombra della sua sagoma cupa e silenziosa.
Tarthe si rivolse alla donna dallo sguardo ardente, che teneva in mano la bacchetta magica. Il sole scintillava sulle spalle ampie e corazzate del guerriero e danzava fra i riccioli della barba e dei capelli rossicci. Sembrava un leone tra gli uomini, un vero capitano coraggioso di una famosa banda di avventurieri.
«Dunque, maga?», Tarthe indicò la Torre Fluttuante con una mano guantata.
Elmara annuì, fece un passo avanti e compì il gesto circolare, che indicava loro di indietreggiare e darle spazio per un incantesimo. Gettò un rotolo di corda lungo e pesante sul tappeto erboso ai suoi piedi.
Portò le mani a una delle fiale che teneva legate alla cintura, ne tolse il tappo, la inclinò, poi la richiuse abilmente tenendo un po’ della polvere in essa contenuta nel palmo della mano. Pochi gesti, una litania di parole mentre lanciava in aria la polvere, una striscia di pergamena agitata fra i granelli cadenti e il rotolo di corda sul terreno si mosse. Mentre la giovane maga indietreggiava, la corda si alzò da terra come un serpente, ondeggiò, e poi iniziò lentamente a levitare.
Elmara la osservò con tranquillità. Quando la fune si arrestò, immobile e dritta nell’aria, fece cenno di non avanzare e andò a prendere un altro rotolo dalla sella del suo cavallo. Con quello a tracolla, iniziò ad arrampicarsi goffamente, facendo sorridere o scuotere la testa a tutti gli uomini che la osservavano, e giunse infine all’estremità della corda. Avvolgendola intorno a un polso e facendo presa con gli stivali, con l’altra mano aprì con calma una fiala, prese una goccia del contenuto, e soffiò sul palmo mentre gesticolava con l’altra mano.
Sembrò non accadere nulla, ma quando la maga si staccò dalla corda e rimase sospesa nel vuoto, fu evidente la presenza di una piattaforma invisibile. Sprofondò qualche centimetro sotto il suo peso, ma El non ci fece caso, vi depose pacatamente il rotolo di corda e ricominciò l’incantesimo.
Quand’ebbe terminato, la seconda corda si allungò verso l’alto, nell’oscurità della stanza diroccata, senza pavimento, ai piedi della dimora fluttuante. La maga non sprecò il fiato in parole, ma guardò giù verso i compagni e tracciò un ampio cerchio con le mani, mostrando loro i confini della piattaforma. Poi si voltò, e senza guardare indietro, ricominciò la scalata lenta e faticosa.
Lampi improvvisi comparvero nell’aria intorno alla donna, che si calò frettolosamente per un tratto, abbracciando la corda in preda al dolore. Vi rimase aggrappata a lungo, immobile, mentre gli uomini ansiosi la chiamavano. Non rispose, ma sembrava illesa, e finalmente allungò di nuovo le braccia e lanciò qualcosa che fece ardere e scoppiettare i lampi, che infine scomparvero.
Continuò a salire, nel buio della stanza più bassa. Appena prima di scomparire nella voragine tenebrosa, si voltò e fece un segnale.
«Bene, ragazzi!», Tarthe iniziò ad arrampicarsi rapidamente su per la corda, mentre il suo urlo impetuoso echeggiava ancora intorno a loro.
Il guerriero magro accanto alla corda scrollò le spalle, si sputò sulle mani e lo seguì. Il sacerdote di Tempus, dallo sguardo severo, si fece strada fra i ragazzi nella fretta di essere il prossimo. Ladri e guerrieri alzarono le spalle e lo lasciarono passare, attendendo con calma il proprio turno. Altrettanto fece il robusto servitore di Tyche, la sua mazza penzolante dalla cintura mentre ansimava e si arrampicava a fatica.