Il guerriero più giovane controllò nuovamente la sua balestra carica e si sedette fra i cavalli legati. Li osservò brucare pacatamente tutta l’erba e la gramigna che riuscivano a raggiungere, e sputò pensierosamente nelle cavità sottostanti, da cui proveniva il debole mormorio di acqua corrente. Più di una volta alzò lo sguardo verso le corde sopra di lui, diritte come cavi d’acciaio, ma i suoi ordini erano chiari, il che è più di quanto molti soldati sappiano dire, pensò, e si sistemò per la lunga attesa.
«Guardate!» sussurrò una voce rauca, ma carica di stupore e sgomento; nemmeno i veterani del gruppo avevano mai visto una cosa simile nelle loro precedenti avventure. Il tempo aveva intaccato la torre, ma in alcuni luoghi sembrava che gli incantesimi avessero tenuto a bada il vento, il freddo e l’umidità. Alla fine di un corridoio in rovina, il cui soffitto cadde nonostante il suo passo cauto, uno dei guerrieri oltrepassò una tenda di tenebre magiche e di lui non si seppe più nulla.
Una stanza era ricoperta da un tappeto di velluto rosso: un pavimento ondeggiante circondato da scintillanti tende sospese, costituite da gemme infilate in sottili fili metallici. Un’altra conteneva statue di marmo bianco levigato, perfettamente verosimili nella dimensione e nel dettaglio e raffiguranti ragazze meravigliose, dalle cui spalle spuntava un paio d’ali. Alcune erano statue parlanti, che salutavano tutti gli intrusi con voci morbide e sospiranti, recitando poesie antichissime.
«Tale sarebbe la mia unica gioia, servirti, ma ora i miei occhi vedono il sole e la luna e non possono far altro che confrontarli con te… e sebbene tu sia la stella più nobile che abbia mai veduto...»
«Guarda per non trovarmi più, dove le torri silenti osservano dalle stelle, intrappolate in pozze immobili di acqua scura…»
«Cos’altro sono se non i sogni nebbiosi del paese magico, dove nulla è ciò che sembra e tutto quello che si può toccare, e baciare, non è altro che un sogno?»
Meravigliati, i guerrieri si aggirarono fra esse, attenti a non toccare nulla, mentre l’eco delle voci monotone si ripeteva all’infinito. «Per tutti gli dei», persino l’imperturbabile Tarthe fu udito mormorare, «mai vista tanta magnificenza…»
«E non poterla portare con noi», mormorò uno dei ladri, con aria desolata e bramosa. Per una volta, i sacerdoti provarono la sua stessa delusione, e nonostante non si espressero a parole, la loro frustrazione si notò dai loro cenni di assenso e dai loro sguardi inebetiti.
La camera oltre quella delle statue parlanti era scura ma illuminata da un arcobaleno di minuscole luci scintillanti: scintille dai mille colori sfrecciavano e danzavano intorno alla stanza come branchi di pesciolini, un’orgia inestinguibile di smeraldo, di oro, di vermiglio.
Tutti esitarono; infine, Tarthe esclamò: «Gralkyn… tocca a te, temo».
Uno dei ladri sospirò eloquentemente e iniziò a svestirsi di tutti gli oggetti metallici, dai dieci o più strumenti appuntiti che teneva dietro le orecchie e da altre parti sulla sua persona alle numerose lame riposte negli stivali, sotto i vestiti e in quasi ogni cavità del suo corpo snello, quasi ossuto. Quand’ebbe terminato, era quasi nudo. Deglutì, una volta, poi rivolto a Tarthe: «Con questo mi sei debitore di un grande favore», e con passo felino avanzò in mezzo alle luci.
Esse reagirono immediatamente, schizzando via come pesciolini spaventati e vorticando, sempre più rapidamente, fino a scagliarsi sul ladro da ogni direzione con velocità terrificante; poi si strinsero attorno a lui, gli altri videro Gralkyn contorcersi, come solleticato da mani invisibili e infine le luci lo avvolsero in un bagliore accecante.
Sembrava un imperatore vestito di gemme, e meravigliato guardò il suo corpo per qualche istante, prima di esclamare: «Bene,… chi è il prossimo?»
L’altro ladro, Ithym, entrò esitando nella stanza, ma le luci non abbandonarono Gralkyn, e non sembrò accadere nient’altro. Dopo aver scaricato la tensione con un sospiro, Ithym raggiunse lentamente il compagno e allungò una mano verso le lucine, ma poi la ritrasse. Gralkyn annuì per la saggezza di quel gesto.
Ithym proseguì nelle zone più buie e distanti della stanza, aggirandosi silenziosamente per qualche tempo, prima di tornare sui suoi passi e far loro segno che c’era una porta.
Tarthe si levò il mantello, vi depose tutti gli oggetti metallici di Gralkyn, se lo mise in spalla, ed entrò nella stanza, con la spada sguainata. Immediatamente, alcune delle luci si staccarono dal ladro in uno sciame indagatore, dirette verso il guerriero alto in armatura. Gli uomini osservavano preoccupati e videro sudore sulla fronte di Tarthe, che a grandi passi raggiungeva il secondo ladro. Le luci turbinarono attorno all’uomo come mosche ronzanti… poi tornarono lentamente da Gralkyn.
Il capitano scosse la testa sollevato, ed essi lo udirono sussurrare con voce roca: «Ora, Ithym… dov’è la porta?»
Qualche istante più tardi, la sua voce echeggiò fra le tenebre. «Da questa parte, ragazzi! Sembra che ci sia via libera!»
Cautamente, uno alla volta, le altre Lame Coraggiose oltrepassarono Gralkyn, alcuni frettolosamente, altri con calma, fino a che nella stanza non rimase che il ladro, avvolto nel suo mantello di luci. Questi si incamminò lentamente verso la porta, sbirciò oltre, e vide i suoi compagni che attendevano ansiosamente in un piccolo corridoio che conduceva a uno spazio aperto, tenebroso. «State indietro!» esclamò Gralkyn. «Toglietevi dal passaggio! Sto arrivando!»
Gli altri obbedirono, ma rimasero a guardare nella parte più lontana del corridoio. Gralk corse verso la porta, vi si tuffò attraverso e ricadde pesantemente sul pavimento. Le lucine però non oltrepassarono la soglia, come bloccate da un muro invisibile. Dopo un attimo, il ladro si mise in ginocchio e gattonò il più rapidamente possibile fuori dal corridoio. Solo allora guardò indietro: le luci riempivano lo spazio della porta formando un muro scintillante.
«Stai bene?» Le parole uscirono dalla bocca di Elmara prima che ne avesse valutato la loro opportunità.
Gralkyn si massaggiò le spalle. «Io non lo so. Sembra tutto al suo posto ora che il formicolio è cessato.» Stava piegando pensierosamente le dita quando Ithym scrollò le spalle, sguainò un pugnale affusolato dalla cintura, e lo lanciò al muro di luci fluttuanti. Vi fu uno scoppiettio stridulo di minuscoli lampi, talmente luminoso che tutti voltarono la testa con gli occhi doloranti, e l’arma scomparve, senza che nemmeno un frammento cadesse al suolo. Quando riuscirono a vedere chiaramente, le luci riempivano ancora la soglia, formando una barriera uniforme, intatta.
Tarthe la contemplò stizzosamente. «Bene», esclamò, «non possiamo più tornare indietro. Quindi… avanti».
Gli uomini girarono su se stessi e si guardarono intorno. Si trovavano su un balcone che curvava lievemente come se fosse all’interno di un cerchio ampio. La ringhiera di pietra alta fino alla vita, che si ergeva di fronte a loro dava sul nulla. Un vuoto tenebroso e vasto. Scrutarono attentamente lungo le pareti, e riuscirono a intravedere altri balconi adiacenti, alcuni più alti, altri più bassi… e tutti vuoti.
Tarthe alzò le spalle. «E ora, maga?»
Elmara inarcò un sopracciglio. «Desideri un consiglio o un incantesimo?»
«Sei in grado di evocare una sfera di luce e di guidarla qui intorno?» Con un gesto ampio del braccio, indicò la grande oscurità davanti a loro, facendo attenzione a non estenderlo oltre il parapetto.
Elmara annuì. «Posso», rispose tranquillamente, «ma sarà opportuno? Ho la sensazione che qualche cosa sia in agguato. Una trappola, forse, che attende il mio incantesimo per innescarsi».
Tarthe sospirò. «Siamo nella torre di un mago! È logico che vi siano incantesimi e trappole in ogni dove… e naturalmente è pericoloso esercitare la magia qui dentro! Pensi che nessuno di noi lo sappia?»
El alzò le spalle. «Io… una magia potente ci circonda come una ragnatela. Non so cosa accadrà se la disturbo. Voglio che ve ne rendiate conto e che non siate impreparati a balzare da parte se… se si verificasse il peggio. Per questo ti chiedo ancora: è opportuno che lo faccia?»