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Nel silenzio che seguì tali parole, Ithym scosse lievemente il capo. Come se si fosse trattato di un segnale, anche i due sacerdoti scossero la testa, e altrettanto fecero gli altri, Dlartarnan per ultimo.

Elmara si guardò intorno. «Siamo d’accordo allora?» Gli uomini la fissarono in silenzio finché aggiunse: «Bene, ho bisogno che vi teniate pronti a lanciare tutte le armi che potete, ma non fate nulla se non ve lo dico io, qualunque cosa accada».

Fece loro cenno di andare a un’estremità del balcone, mentre lei raggiungeva l’altra. «Devo fare alcuni incantesimi», affermò. «Qualcuno controlli le luci dietro di noi e mi dica se ciò che faccio le attira qui».

Armeggiò, mescolò e mormorò a lungo, gettando polveri nell’aria, estraendo diversi piccoli oggetti da varie tasche, da foderi sotto i vestiti e dagli stivali consumati.

In un silenzio estenuante, le Lame Coraggiose osservarono la giovane maga tracciare piccoli segni nell’aria; ognuno di essi si illuminava brevemente e poi scompariva mentre Elmara disegnava il successivo. Luci illuminavano la sua figura e poi svanivano, e nonostante la sua espressione seria e assorta fosse immutabile, sia Elmara sia i suoi compagni d’armi notarono che a ogni incantesimo, i quattro globi silenziosi sospesi tanto minacciosamente vicino, pulsavano e intensificavano il loro chiarore. Le luci sulla soglia baluginavano e si inseguivano l’un l’altra, sempre più rapidamente, ma non accennavano ad avanzare nel corridoio.

Alla fine El si chinò ed estrasse dagli stivali sei bastoncini di legno diritti e lisci. Avvicinò le estremità tondeggianti di due di essi, che contorcendosi formarono un unico bastone. Allo stesso modo uni tutti gli altri, fino a ottenere un bastone nodoso alto quanto lei.

Lo agitò, come se si aspettasse che andasse in pezzi, ma ciò non avvenne. Poi lo brandì contro un nemico immaginario. Dlartarnan sbuffò; sembrava un giocattolo.

Elmara appoggiò il bastone alla balaustra e si avviò verso di loro, sfregandosi pensierosa le mani. «Sono quasi pronta», esclamò lanciando un’occhiata tagliente alle sfere in attesa. Le sue mani tremavano debolmente.

«Anche noi», affermò Ithym.

Tarthe annuì, abbozzando un sorriso. «Ti dispiace dirci che tipo di incantesimo hai appena fatto… prima che inizi il bagno di sangue?»

«Non ho molto tempo per le chiacchiere; gli incantesimi non durano in eterno», rispose Elmara, «ma ascoltatemi: io posso volare, le fiamme non mi nuoceranno, nemmeno il fuoco del drago, sebbene dubito che il mago che scrisse l’incantesimo lo avesse mai affrontato a suo tempo, e gli incantesimi sferrati contro di me torneranno al mittente».

«Puoi fare tutto ciò?», domandò Tharp pensosamente.

«Non tutti i giorni», rispose Elmara. «Gli incantesimi sono intrecciati in un deodema».

«Ma che bello», esclamò Gralkyn con una nota di sarcasmo. «Ciò spiega ogni cosa… ora posso crepare contento».

«Gli incantesimi sono uniti in uno scudo intorno a me», spiegò El a bassa voce. «Quanto più lo manterrò attivo tanto più si esauriranno le mie energie, lentamente ma inesorabilmente».

«Allora bando alle chiacchiere», ordinò bruscamente Tarthe. «Guidaci nella battaglia, maga».

Elmara annuì, deglutì visibilmente, chinò la testa proprio come fa un guerriero per abbassare la visiera dell’elmo prima della carica – gli uomini si guardarono e sorrisero – afferrò il bastone, e si arrampicò sul parapetto.

Poi balzò nel vuoto e scomparve.

Gli avventurieri si scambiarono occhiate truci e si sporsero dal balcone. Più sotto, Elmara stava scivolando, braccia distese, attraverso la stanza, roteando il corpo, come se stesse saggiando l’aria. Il suo volo si arrestò bruscamente a un palmo da un balcone, poi la donna iniziò a salire verso di loro. Il suo volto era bianco e rigido; la videro deglutire e diventare verde mentre rilasciava il bastone e abbozzava con le mani disegni intricati. Il bastone volava accanto a lei, seguendo ogni lieve cambio di direzione, mentre la maga raggiungeva la parte più lontana della stanza, sferrando un incantesimo. Sembrò ripeterlo due volte e improvvisamente si arrestò, rivolta verso di loro, le braccia alzate sopra la testa, due cerchi di luce spettrale tremolanti attorno alle sue mani. Poi la videro pronunciare, senza tuttavia udirla, una parola che fece tremare la sala e i cerchi luminosi si allontanarono vorticosamente dalle sue mani e svanirono.

Le quattro sfere al centro della stanza iniziarono a muoversi. Le Lame Coraggiose, sollevando guardingamente le armi, le osservarono spostarsi per la stanza; gli esseri al loro interno si stirarono, e come risvegliandosi da un lungo sonno, si voltarono per guardarsi intorno.

Uno degli uomini sussurrò un’imprecazione sincera. I ladri si abbassarono dietro il parapetto del balcone, sbirciando la loro compagna pazza che fluttuava nell’aria e sollevava le mani per un altro incantesimo.

Vi fu un lampo silenzioso. Il mostro dalla pelle rossa aveva sferrato un suo incantesimo, per cercare di uscire dalla sfera, ma questa aveva resistito. Ora sembrava essere in preda al dolore. Elmara aggrottò la fronte, fece un gesto, e la prigione di luce del mostro schizzò attraverso la stanza, acquistando velocità mentre si dirigeva alla volta della sfera contenente il drago. La bestia enorme stava dimenando la coda, contorcendo le spalle, e ruggendo silenziosamente, cercando di frantumare l’angusta prigione che l’avvolgeva. Quando vide gli uomini che la guardavano dal balcone, iniziò a sputare fuoco e gli occhi le si riempirono di odio.

Poi i due globi si scontrarono, e il mondo venne scosso violentemente.

Gli spettatori urlarono, colpiti da un bagliore mai visto prima di allora. Barcollarono all’indietro ancora prima che il balcone tremasse sotto i loro piedi, e si accasciarono a terra accecati. Solo Asglyn, la Spada di Tempus, che si era aspettato una furia di qualche sorta e aveva chiuso in tempo gli occhi, poté vedere il mostro dalla pelle color porpora lottare fra le mascelle del drago, sibilare e mormorare incantesimi inutili prima che quei denti affilati si richiudessero su di lui.

Ciò che rimase del suo corpo purpureo si disperse in una pioggia scura di sangue coagulato quando il drago aprì la bocca e ruggì la sua ira. La terza sfera si stava già avvicinando al drago e i tentacoli occhiuti del suo occupante si agitarono come in preparazione alla battaglia senza dubbio imminente.

Asglyn colse brevemente la figura di Elmara, il volto una maschera di sudore, le mascelle serrate, che guidava la sfera lungo il percorso scelto. Poi il sacerdote chiuse forte gli occhi, proprio un attimo prima della comparsa di un secondo lampo. Ne seguì subito un terzo che gli accese il volto col suo calore. Quando osò aprire gli occhi, vide il mostro avvolto dalle fiamme, mentre il drago sbatteva le sue ali enormi e colpiva il tiranno occhiuto con i suoi artigli. Raggi di luce affilati balenarono dai numerosi occhi del mostro e il drago rispose con ruggiti feroci, che tuttavia contenevano una nota crescente di paura.

Asglyn si guardò intorno. Gralkyn era inginocchiato dietro il parapetto, quasi addosso a lui, le mani premute sugli occhi. Tarthe stava scuotendo la testa, cercando di schiarirsi la vista.

«In piedi, ragazzi!» sussurrò il sacerdote incalzante, poi si irrigidì udendo la voce di Elmara risuonare nella sua testa.

«Scagliate tutto ciò che possa trafiggere o squarciare gli occhi del tiranno, non appena gli dei ve lo permetteranno!»

Asglyn sollevò il suo pesante martello, l’arma che lo aveva accompagnato nelle mille battaglie, e lo scagliò con tutta la sua potenza, facendogli tracciare un arco crescente, in modo che potesse ricadere nel grande occhio centrale del mostro. Vorticò nell’aria ma non lo vide colpire il bersaglio; si era voltato per scuotere e schiaffeggiare i suoi compagni storditi e mugugnanti, sperando che sarebbero riusciti in qualche modo a salvarsi.

L’ennesimo incantesimo di Elmara fece apparire dal nulla lame turbinanti, che scintillarono e ruotarono attorno alle antenne occhiute del mostro, come tante lucciole impazzite. El vide più di un occhio sprizzare sangue o liquido biancastro e diventare scuro prima che il tiranno occhiuto, girando vorticosamente, mandasse in fumo le spade con un raggio indirizzato a lei.