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Elmara lo guardò brevemente, vide le luci, e le fissò duramente per un istante. Poi fece un cenno di congedo con la mano e si rivolse nuovamente al libro fluttuante.

Dall’altra parte della stanza, il mostro continuava impotente a sbattere contro il muro, e i suoi tonfi sordi segnavano un ritmo regolare. Elmara si chinò per sfogliare il tomo.

Quando le sue dita lo sfiorarono, le luci si precipitarono su di lei con un forte sibilo e la avvolsero. La donna si irrigidì.

I guerrieri videro il libro allontanarsi dalle sue mani immobili e chiudersi lentamente. Una fascia di metallo luccicante fuoriuscì da un’estremità della rilegatura, si avvolse stretta intorno al tomo. Vi fu un lampo di luce e il libro si chiuse definitivamente.

Le lucine attorno alla maga fluttuante iniziarono a spegnersi e a scomparire, una alla volta. Elmara si scosse, e sorrise. Sembrava riposata, felice, e priva di dolori mentre faceva scorrere le dita lungo la fascia metallica, seguendo i contorni di un’iscrizione. Gli uomini la udirono esclamare eccitata, «Eccolo! Eccolo! Finalmente!»

Si legò il libro contro l’addome, con un pezzo di corda che teneva legata alla vita e, prima di raggiungere il balcone, recuperò tutte le armi che trovò. I suoi compagni la guardarono per un momento con stupore e nuova ammirazione, prima di fare un passo avanti e reclamare le proprie spade e ringraziarla, abbracciando rudemente il suo corpo madido di sudore.

«Spero ne sia valsa la pena», esclamò seccamente Dlartarnan, guardando il libro e soppesando il peso familiare della sua spada. Poi si voltò disgustato, incamminandosi lungo il corridoio che li aveva condotti nella stanza dei balconi. «Spero che questo luogo contenga qualcosa di altrettanto speciale per me, un pugno di gemme, magari, o…»

La sua voce si affievolì, e abbassò la spada in preda alla confusione. La stanza dall’altra parte della soglia non era il luogo scuro in cui avevano trovato le luci, ma una camera più ampia e più luminosa, mai vista prima.

«Altri trucchi!» esclamò rabbiosamente scappando via. «Che cosa facciamo adesso

Tarthe alzò le spalle. «Cerchiamo un altro balcone, magari. Ithym, guarda in quella stanza – senza sporgere nulla oltre la soglia – e dicci cosa vedi».

Il ladro sbirciò a lungo, poi scrollò le spalle. «Una tomba, penso. Se quel blocco lungo, laggiù, non è un sarcofago di pietra, io sono un drago. Riesco poi a vedere almeno altre due porte e finestre dietro a quei divisori… così sembra: la luce cambia, come se il sole venisse coperto dalle nuvole, non è una luce magica».

Contemplarono i divisori ovali, e i tendaggi dietro di essi, illuminati da dietro. La stanza era silenziosa e priva di oggetti animati o di ornamenti. Sembrava in attesa.

«La tomba di Ondil», affermò Tharp con aria solenne.

«Sì, ma una via d’uscita, se tutto il resto fallisce», rispose Tarthe, con la voce calma, guardandosi attorno. Il suo sguardo si posò su Elmara, in silenzio in mezzo a loro, poi scosse lievemente il capo, incredulo. Aveva visto accadere tutto ciò, ma non era ancora sicuro di crederci. Forse, alcune delle storie ridicole che i vecchi avventurieri amavano raccontare nelle taverne erano vere…

«Cerchiamo di raggiungere un altro balcone», suggerì Gralkyn. «Io ne potrei raggiungere almeno quattro, di più se El lancia una corda fino alle ringhiere».

«Hai ragione, dobbiamo uscire di qui, subito», esclamò Ithym, «altrimenti nessuno alla taverna udrà mai di una maga che distrusse due mostri e un drago… solo per avere qualcosa da leggere!»

Gralkyn scavalcò la ringhiera e saltò agilmente sul balcone sottostante, mentre sopra di lui si udì una risata violenta.

11.

Una fiamma blu

Qual è la cosa più stupefacente che un mago possa sperare di vedere in una vita di torri abbattute, di spiriti evocati, e di fiumi deviati? La fiamma blu, ragazzo. Se mai ti imbatterai nella fiamma blu, avrai veduto ciò che di più spaventoso può vedere un mago… e di più meraviglioso.

Aumshar Urtrar, Maestro Mago, rivolto a un apprendista di Midsummer.
Anno della Luna Piangente

La mano gelida della morte si stava nuovamente stringendo intorno alle Lame Coraggiose. Tutti poterono percepirla. Ormai avevano provato nove balconi, e ogni porta conduceva in qualche modo nella medesima stanza silenziosa della tomba. Intralciava loro la strada come una fossa in attesa, paziente e inesorabile.

«Incantesimi!», sbottò Dlartarnan, acquattandosi su un balcone e appoggiandosi alla sua sciabola. «Sempre incantesimi! Perché gli dei non arridono a una spada roteante e a un piano semplice!»

«Attenzione!», esclamò bruscamente Asglyn. «Tempus dà importanza alla spada prima di tutto il resto, come ben sai, e la presunzione di sapere più degli dei, Dlar, è un piede nella fossa!»

«Sì», assentì il sacerdote di Tyche. «La mia Sacra Signora dà retta a chi si lamenta poco e approfitta di ciò che accade, senza starsene con le mani in mano!»

«Basta così», grugnì Dlartarnan. «Per compiacere i vostri due dei, suppongo che farei meglio a guidarvi in quella tomba, ed essere il primo a perire. Ciò renderebbe felici entrambi, Tempus e Tyche».

Senza altre parole si alzò ed entrò nella stanza, la spada scintillante nella sua mano.

Gli altri si scambiarono sguardi e alzate di spalle, e lo seguirono.

Dlartarnan era già a metà della stanza, davanti alla porta chiusa più vicina delle due, e la stava forzando con la sciabola. «Questa è chiusa», ringhiò, spingendo con forza l’arma, «ma se…»

Vi fu un rumore forte e secco. Un fuoco blu si sprigionò dalla porta, percorrendo rapidamente tutta la struttura e del fumo salì da quella cosa annerita che era stata Dlartarnan di Belanchor prima che cadesse sul pavimento. Le ceneri del guerriero si sparsero in turbini grigio scuro mentre le sue ossa rimbalzavano sulla pietra. Il cranio rotolò e si fermò con un ghigno di rimprovero rivolto ai compagni, che stettero a fissare i resti, sbigottiti.

«Che Tyche vegli sulla sua anima», sussurrò la Mano di Tyche, con labbra tremanti. Come in risposta, la sciabola contorta e quasi fusa di Dlartarnan cadde dalla porta. Con un grido simile al singhiozzo di una fanciulla, colpì il pavimento e si frantumò.

Elmara vacillò, cadde sulle ginocchia, nauseata. La mano consolatoria che Ithym le mise sulla spalla tremò violentemente.

«Che cosa dite di un incantesimo per tentare di aprire l’altra?» suggerì Gralkyn a voce alta.

Asglyn annuì. «Io conosco una formula che potrebbe servire», affermò tranquillamente, «Tempus permettendo».

Chinò il capo brevemente, in preghiera, puntò una mano verso la porta rimanente, e mormorò una frase a mezza voce.

Vi fu un colpo spaventoso. La porta tremò, ma non esplose. Polvere cadde qua e là dal soffitto e una lunga crepa frastagliata si fece strada nel pavimento con un suono acuto, che percosse le loro orecchie come un martello. I guerrieri indietreggiarono allarmati, osservando la crepa che dalla base della tomba si dirigeva verso la porta. Asglyn stava fuggendo, la faccia tesa per la paura, quando un fuoco improvviso avvampò dalle sue membra.

«Noo!» urlò, correndo invano attraverso la stanza. «Tempussss!» Le fiamme si innalzarono violentemente fino a lambire l’alto soffitto a volta, e quando svanirono il sacerdote di Tempus non c’era più.

Interrompendo il silenzio glaciale che seguì, Tarthe esclamò, «Indietro… fuori di qua. Quella magia proveniva dal sarcofago!»

Tharp era il più vicino al corridoio che conduceva al balcone, perciò balzò quasi immediatamente oltre la soglia… e rimase pietrificato, le membra tremanti, preda di una forza invisibile. Gli altri restarono a guardare terrorizzati, mentre le ossa del guerriero esplodevano in un raccapricciante spruzzo di sangue e svanivano in prossimità del soffitto. Ciò che rimase del suo corpo si afflosciò in un cumulo sul pavimento e venne bagnato da una pioggia di sangue, mentre l’elmo e l’armatura tintinnarono sulla pietra.