I cinque sopravvissuti si guardarono l’un l’altro con orrore. Elmara gemette e chiuse gli occhi, il suo viso era pallido, ma non meno di quello di Tarthe, che stese un braccio rassicurante e glielo posò sulla spalla. Othbar, la Mano di Tyche, deglutì ed esclamò: «Ondil sferra incantesimi dalla sua tomba. La sua magia immortale e crudele ci ucciderà tutti se mettiamo un piede in fallo».
Tarthe annuì, il volto teso per la paura. «Che cosa dovremmo fare? Tu ed Elmara siete i più esperti di magia».
«Scavare una via d’uscita nel pavimento?», chiese debolmente El. «Porte e finestre deve averle protette con incantesimi mortali, ma certo non si aspetta che alzeremo le lastre di pietra del pavimento, e probabilmente dovrà svegliarsi dal suo sonno per fare nuovi incantesimi».
«E quando si sveglierà, che faremo?», domandò Gralkyn impaurito. Ithym annuì trucemente, a sottolineare la domanda.
«Lo colpiamo con tutto ciò che abbiamo», rispose Tarthe, «incantesimi e spade».
«Lasciate che prima faccia un incantesimo», esclamò Othbar, con volto pallido e voce tremolante. «Se funziona, Ondil non potrà uscire per un certo tempo dalla tomba e non sarà in grado di fare magie, e noi potremo tentare di uscire».
«Per essere perseguitati tutta la vita dai suoi incantesimi e dalle sue bestie?», chiese Ithym arcignamente.
Tarthe scrollò le spalle. «Almeno avremo la possibilità di recuperare armi e incantesimi a sufficienza, mentre ora può ucciderci in un baleno. Caricate le armi, e io tenterò di sollevare le pietre. Othbar, dicci quando sei pronto».
Il sacerdote di Tyche si inginocchiò in preghiera fervente, chiedendo alla dea di ricordare il suo lungo e fedele servizio. Poi si bucò il palmo con un coltello, e facendo cadere gocce di sangue nell’altra mano, intonò una canzone incomprensibile.
Un attimo dopo, si accasciò al suolo, lasciando cadere le braccia con un tonfo. Gralkyn fece un involontario passo in avanti ma indietreggiò subito, inorridito, quando fili di fumo spettrale si sollevarono dal corpo del sacerdote e si innalzarono silenziosamente, diventando sempre più alti e più esili. A un tratto, gli uomini si trovarono di fronte il fantasma di Othbar. Questi indicò con sguardo serio i compagni e poi le finestre. Tutti guardarono sbalorditi, mentre l’ombra del sacerdote raggiungeva il sarcofago e posava i palmi sul coperchio di pietra.
«Cosa? Ma è…?» Ithym era scosso.
Tarthe si chinò sopra il corpo. «Sì». Quando si rialzò, il volto del guerriero sembrava più vecchio. «Da ciò che ha detto, credo sapesse che l’incantesimo gli sarebbe costato la vita», affermò il capitano, e la sua voce vacillò. «Andiamocene».
«Dalla finestra?», domandò Ithym con le lacrime agli occhi mentre guardava la figura spettrale accanto alla tomba.
«È la strada che ci ha indicato», ribatté a fatica Tarthe. «Prendete le corde».
I due ladri si sbottonarono il giustacuore, rivelando le funi che portavano avvolte intorno all’addome. Elmara prese un capo di ogni fune, e loro girarono su se stessi fino a srotolarle completamente. Ithym raccolse due estremità e le legò insieme.
Cautamente, i due si avvicinarono a una finestra, guardandosi alle spalle per assicurarsi che nulla di visibile piombasse loro addosso. Ithym portava il rotolo di corda sulla spalla e Gralkyn ne teneva un capo tra le mani.
Toccò il ferro battuto decorato del paravento con un’estremità, e poi i tendaggi più oltre, tastando quindi con la mano guantata. Non accadde nulla.
I paraventi ovali rappresentavano scene di draghi volanti, di maghi in cima a pinnacoli rocciosi, di destrieri impennati. Con un’alzata di spalle, Gralkyn scelse quello più vicino, raffigurante il cavallo, e lo aprì facendolo girare sui cardini, che emisero un lieve cigolio di protesta, ma nulla di più. Poi, con la spada, si aprì un varco nella tenda, e dietro di essa apparve un vetro costellato di bolle, attraverso il quale erano visibili il cielo e le colline. Cautamente, il ladro tentò di aprire la finestra con la spada, guardandosi intorno in cerca di trappole. «Non sono state fatte per aprirsi. Il vetro è fisso», esclamò.
«Rompilo, allora», rispose Ithym.
Gralkyn alzò le spalle, prese la spada al contrario e colpì duramente la finestra. Il vetro esplose in mille pezzi e schegge scintillanti si sparsero tintinnando per tutta la stanza.
Improvvisamente granelli di luce brillarono nell’aria dove prima vi era la finestra, e iniziarono a vorticare, dapprima lentamente, poi sempre più veloci.
«Indietro!», gridò Elmara allarmata. «State indietro!»
La luce dell’incantesimo fiammeggiò prima che le parole le uscissero completamente di bocca e una forza di un potere terrificante trascinò ladri e corde fuori dalla piccola apertura, fracassando le loro membra contro le pareti, come fossero bambole di pezza fatte passare in un buco troppo piccolo. Ithym ebbe il tempo di gettare un urlo di disperazione, lungo e straziante, prima di schiantarsi sulle rocce sottostanti.
Tarthe rabbrividì, scosse il capo e si rivolse alla giovane maga. «Rimaniamo solo noi due ora». Indicò col capo il libro legato alla vita di El ed esclamò: «Non c’è nulla lì dentro che ci possa aiutare?»
«La magia di Ondil l’ha sigillato. Preferisco non provare a spezzare i suoi incantesimi nella sua dimora, non finché dura il sacrificio di Othbar». Elmara guardò l’immagine silenziosa e immobile che teneva chiuso il sarcofago e notò le sue estremità tremolanti ed evanescenti. «Già ora tenta di uscire dalla tomba».
Gli occhi di Tarthe si posarono sulle mani tremanti del fantasma di Othbar. «Quanto tempo abbiamo?»
Elmara scrollò le spalle. «Se lo sapessi, sarei Ondil».
Tarthe fece oscillare la sua spada. «Non scherzare su queste cose! Come faccio a sapere che non sei caduta sotto qualche incantesimo che ti ha reso sua schiava?»
Elmara lo fissò, poi annuì lentamente. «Sollevi una questione saggia».
Il capitano socchiuse gli occhi, e sguainò un pugnale, lo sguardo fisso sulla giovane maga. Poi si girò e lo lanciò attraverso la porta dov’era morto Tharp. L’arma roteò nel corridoio e scomparve, invisibile nell’improvviso turbinio abbagliante di centinaia di lame che sfrecciavano sferraglianti nello spazio, vuoto un attimo prima.
«La magia permane», affermò Tarthe con tono grave. «Cerchiamo di scavare davvero una buca?»
El rifletté un momento, poi scosse il capo. «Ondil è troppo forte: questi incantesimi possono essere infranti solo distruggendo lui».
«Dunque dobbiamo combatterlo», concluse trucemente il capitano.
«Sì», rispose la donna, «e devo prepararti prima della lotta».
«Oh?» Tarthe inarcò un sopracciglio e strinse la spada quando Elmara fece per avvicinarsi.
La giovane sospirò e si fermò a distanza di sicurezza. «Io posso ancora volare», affermò a bassa voce. «Se questa torre rimane sospesa per la magia di Ondil, anche tu dovrai essere in grado di farlo se lo uccidiamo, altrimenti crollerai con la torre, e verrai schiacciato quando si schianterà al suolo».
Tarthe deglutì, poi annuì e si mise la spada sulla spalla. «Allora fa’ il tuo incantesimo», invitò.
Elmara aveva appena terminato quando un bagliore improvviso balenò dietro di lei.
Si voltò rapidamente, in tempo per vedere l’immagine del sacerdote svanire, insieme al coperchio che aveva tenuto chiuso. Sospirò nuovamente. «Ondil ha trovato il modo di uscire», mormorò. Improvvisamente annuì, come per rispondere a una domanda che solo lei poté udire, e le sue mani si agitarono freneticamente per sferrare un incantesimo.
Tarthe la guardò incerto e arrischiò un passo avanti, con la spada spianata. All’interno del sarcofago di pietra vi era una cassa scura, semplice, e all’apparenza nuova e sopra di essa, tre libri piccoli e spessi.