Solo dopo che Elmara fu scomparsa dietro la cresta della sommità spoglia, l’uomo riprese il viaggio. Si voltò e si appoggiò con forza al palo. L’imbarcazione si staccò dal molo, e il volto temprato e vecchio del suo proprietario si illuminò di un ghigno improvviso.
Il ghigno si allargò orribilmente, mentre il volto iniziò a liquefarsi come pappa d’avena andata a male. Dalla carne cadente spuntarono un paio di zanne e un mento troppo aguzzo, e ciò che rimaneva del vecchio gocciolò e si sparse sul fondo della barca. Fu allora che il volto sogghignante e squamoso di Garadic sussurrò: «Fatto, padrone». Sapeva che Ilhundyl stava guardando.
Elmara si arrestò di fronte all’altare: un blocco di pietra scuro, senza ornamenti, che si ergeva solitario sulla sommità della collina. Il vento sibilava fra i suoi vestiti. Offrì una preghiera sincera a Mystra, e il vento sembrò cessare per qualche istante. Quand’ebbe terminato, svolse il Libro degli Incantesimi di Ondil, la fascia ancora scintillante attorno a esso, e lo depose con riverenza sulla roccia gelida.
«Sacra Signora di Tutti i Misteri, vi prego di accettare il mio dono», mormorò Elmara, incerta su cosa avrebbe dovuto aggiungere. Poi rimase in piedi, all’erta e in attesa, pronta a rimanere vigile per tutta la notte, se fosse stato necessario.
Un attimo dopo, un brivido le percorse la schiena. Due mani di donna, spettrali, dalle lunghe dita, si stavano sollevando dalla pietra. Afferrarono il tomo e lentamente iniziarono a ritirarsi. Improvvisamente, un bagliore accecante emanò dal libro, e si udì un forte sibilo.
Elmara trasalì e si protesse gli occhi. Quando riuscì a riaprirli, mani e libro erano scomparsi. La brezza ora accarezzava la roccia nuda, proprio come prima che vi deponesse il libro.
La giovane sacerdotessa stette a lungo di fronte all’altare, sentendosi stranamente vuota e stanca, e tuttavia in pace. Più tardi avrebbe deciso che cosa fare l’indomani… ma per il momento stava comoda lì… a ricordare.
Gli abitanti di Heldon e i fuorilegge nelle forre fuori dal castello, le Mani di Velluto nel viale, le Lame Coraggiose… tante persone care erano andate a incontrare gli dei, lasciandola di nuovo sola.
Persa nei suoi ricordi, Elmara si rese conto solo gradualmente di un bagliore biancheggiante proveniente dal fondo della collina, dietro l’altare.
Fece qualche passo avanti e vide che il bagliore era emanato da una figura femminile, snella, due volte più alta di lei. L’apparizione indossava una tunica, aveva portamento regale, ed era sospesa sopra il suolo. I suoi occhi erano pozze scure, e un sorriso le illuminò il volto quando fece un cenno a Elmara con la mano alzata. Poi si voltò e iniziò a scendere dalla collina, sempre camminando a mezz’aria. Dopo un attimo El la seguì, lottando contro il vento sferzante; scesero dalla collina, poi girarono attorno a un’altra, ma la figura non accennava a fermarsi. Si ritrovarono su una spiaggia sassosa dall’altra parte dell’isola, ma l’apparizione luminosa continuò a camminare, diritta fra – no, sopra! – le onde, allontanandosi sul mare.
Elmara rallentò, osservando il bordo dell’acqua. Onde grigie si infrangevano senza sosta sui ciottoli, risucchiandoli nel mare. Il passaggio di Mystra aveva lasciato sull’acqua una scia luminosa, ininterrotta dalle onde rotolanti. La dea era sempre più distante.
Cautamente, Elmara entrò nella risacca, e vide che i suoi stivali rimanevano asciutti. Una nebbia sottile l’avvolse, ma i piedi non affondarono nell’acqua… stava davvero camminando sulle onde! Rincuorata, iniziò ad affrettarsi e ad allungare il passo per raggiungere la dea.
Si stavano spingendo al largo, allontanandosi sempre più dall’isola.
Il vento soffiava freddo e costante, spingendo il mare verso la spiaggia. Elmara accelerò fino a farsi venire il fiato grosso, senza tuttavia osare mettersi a correre sulle onde in movimento, ma senza riuscire ad avvicinarsi alla figura luminosa davanti a lei.
El stava appena cominciando a chiedersi dove fossero dirette tanto di corsa, quando udì una voce nitida e fredda davanti a lei: «Mi hai deluso».
La figura luminosa si oscurò, svanendo rapidamente sopra le onde scure. Elmara iniziò allora a correre sul serio, ma le onde di fronte a lei divennero sempre più scure, finché il passaggio luminoso scomparve, insieme alla donna e improvvisamente non stava più camminando sull’acqua, bensì sprofondando nelle sue gelide profondità.
Tornò in superficie, e iniziò ad agitarsi, mentre l’acqua fredda si faceva strada nella gola e nel naso facendola tossire e un’onda la schiaffeggiò in volto. Sputò fuori l’acqua e si voltò verso l’isola, in modo che l’onda seguente la sollevasse sotto le spalle e la portasse con sé.
Indietro, verso l’isola, ora solo un puntino scuro nel mare grigio, agitato dal vento. Sola nelle acque gelide, di notte, lontana dall’isola…
Lottando contro il vento, un improvviso turbine di luci scintillanti avvolse la cima della collina, sollevandosi in una nube lampeggiante. Dal suo cuore uscì una figura alta, vestita di una tunica scura.
Raggiunse il blocco di pietra, l’osservò per un attimo, e ordinò freddamente «Alzati!»
Vi furono un sospiro e uno scuotimento da sotto la roccia antistante, da cui iniziarono a fuoriuscire fili di luce perlacea, agitati dal vento impetuoso. Le luci turbinarono, si ispessirono e divennero una figura diafana: una donna con un tomo fra le mani. Porse il libro all’uomo dalla tunica, che protese le braccia con un movimento brusco. Alcune scintille si rincorsero attorno al tomo, e subito svanirono. Soddisfatto, l’uomo lo afferrò.
La faccia spettrale si avvicinò all’uomo. Il suo sussurro supplichevole fu quasi un singhiozzo. «Ora mi lascerete riposare, Sua Potenza il Mago?»
Ilhundyl annuì una volta. «Per un po’», rispose brevemente. «Ora, vattene!»
La forma evanescente dello spirito oscillò sopra il blocco di roccia, come agitata dalla bufera, e si udì ancora la sua flebile voce: «Chi era la giovane maga, e quale sarà il suo destino?»
«La morte è il suo destino, e perciò non è nulla, naturalmente», rispose Ilhundyl, con una punta di rabbia. «Sparisci!»
Lo scheletro gemette e sprofondò nuovamente nella roccia; l’ultima cosa visibile prima che scomparisse del tutto, furono un paio di mani allargate e supplicanti.
Ilhundyl le ignorò, sollevò il pesante libro e sorrise freddamente nella notte ventosa, rivolto verso la cima della terza collina, dove del vero altare di Mystra rimanevano solo alcuni frammenti di roccia. Se c’era una cosa che aveva imparato in tutti quegli anni di incantesimi e di carriera senza scrupoli, era che la Signora apprezzava la potenza della magia più di ogni altra cosa. Perciò Ilhundyl portava fieramente il titolo di «Mago Pazzo» che gli uomini bisbigliavano alle sue spalle. Presto, presto sarebbe stato il mago più potente di Faerûn, e allora sarebbero stati troppo occupati a gridare e non avrebbero avuto il tempo di parlar male o complottare contro di lui.
Si irrigidì, scrutando nella notte. Una fiamma blu si stava innalzando dalle pietre in rovina sull’altra collina, e scintillando diventava sempre più luminosa, sempre più alta.
La bocca di Ilhundyl divenne improvvisamente secca. Una donna dall’aspetto regale, ardente di fuoco blu, due volte più alta di lui, stava scrutando il vuoto che li separava. I suoi occhi scuri e impassibili incontrarono quelli del mago.
L’uomo venne colto da una paura improvvisa, poi mormorò frettolosamente una parola, tracciò un segno nell’aria, e le luci scintillanti lo avvolsero, portandolo lontano…
Elmara gemette, tossì debolmente e aprì gli occhi. L’alba si era di nuovo alzata su Faerûn e, a quanto pareva, lei ne faceva ancora parte. Era distesa per metà nell’acqua e per metà sulla sabbia, la risacca rumoreggiava incessante intorno a lei. Dita di acqua spumosa scorrevano sulla sabbia accanto al suo corpo. El osservò il loro fluire, sentendosi debole e stanca, poi tentò di sollevarsi; grondante d’acqua e di sabbia si mise carponi… era tutta intera, a quanto pareva, e le girava solo un po’ la testa.