Balzò di lato. Il guerriero ringhiò: «Osta! Indruu hathan haharl!» e la spada virò, di nuovo verso El.
Lasciò cadere la bacchetta e alzò disperatamente le mani… e la spada passò attraverso le sue dita infilzandosi a fondo nel suo corpo. La giovane emise un grido. Il cielo albeggiante turbinò sopra di lei mentre barcollava all’indietro, grondante sangue; cercò di parlare e cadde a terra, in preda al dolore più straziante che avesse mai provato.
Udì la risata fredda di Gartos mentre la sua vista si rabbuiava, poi cercò con tutte le sue forze di aggrapparsi a qualcosa… qualsiasi cosa… Con l’ultimo respiro mormorò: «Mystra, aiutami…»
Il Principe Gartos si rimise in piedi. Era debole, aveva la nausea e non riusciva a sentire i piedi che, tuttavia, sembrarono obbedirgli. Grugnendo, fece qualche passo vacillante e si sedette, l’armatura cigolante. Narthil girava vorticosamente attorno a lui.
«Facile», mormorò, scuotendo il capo. «Bene, ora…» I suoi uomini giacevano sparpagliati lungo la strada, nessun cavallo in vista. «Thaerin», grugnì, «Algos!» Gartos protese la mano, osservò la spada sfilarsi dal corpo della donna e fluttuare, scura e umida, verso le sue dita in attesa. Piccola strega, chi si credeva di essere per sconfiggere i maghi di Athalantar? Armeggiò con la sua gorgiera, la spostò, e afferrò l’amuleto che teneva al collo, chiuse gli occhi e tentò di concentrarsi sulla faccia del mago Ithboltar.
Dita forti spostarono le sue. Aprì di colpo gli occhi, e si trovò di fronte il volto spaventato e pallido della locandiera, che gli affondò un pugnale nella gola e lo tenne fermo in posizione. Il sangue schizzò in tutte le direzioni. Il Principe Gartos tentò di deglutire, ma non riuscì, allora tentò di sollevare la spada. Le rune beffarde danzanti davanti ai suoi occhi furono l’ultima cosa che vide prima di sprofondare nell’oscurità…
«Gartos farà in modo che la strega muoia», asserì fermamente Briosi, e un sorriso gli solcò lentamente il volto. «Eth si assicurerà che esegua il suo compito».
«Hai fiducia nelle capacità di Eth?» Domandò Undarl. I maghi seduti intorno al tavolo guardarono tutti in direzione della sedia alta del Mago Reale, giusto in tempo per vedere il suo anello rosso-fuoco animarsi di luce improvvisa.
Briost alzò le spalle, domandandosi (non per la prima volta) quali poteri fossero assopiti in quel gioiello. «Si è dimostrato abile e prudente… fino adesso».
«Questa era tuttavia una prova, vero?», domandò Galath eccitato.
«Naturalmente», ribatté Briost in tono paziente. Perché, si chiese, a queste riunioni doveva sempre partecipare qualche zelante giovanotto? Certamente in tali occasioni si poteva trovare un lavoro per un tipo come Galath: insegnargli a svolgere un rotolo di pergamena, magari, o a mettersi la tunica da solo, col cappuccio dietro e il tabarro davanti? Qualunque cosa, purché si togliesse dai piedi…
Galath si protese entusiasticamente: «Ha fatto rapporto?»
Nasarn l’Incappucciato sbuffò e lanciò un’occhiata fredda lungo il tavolo. «Se ogni mago a cui affidiamo una missione lo facesse, le nostre orecchie risuonerebbero delle loro chiacchiere in ogni momento del giorno… e della notte!» Col suo sguardo imperturbabile, il naso affilato, e la tunica nera impolverata, il vecchio assomigliava a un avvoltoio appollaiato in attesa di una preda.
Undarl annuì. «Non mi aspetto che un mago sprechi la sua magia per disturbare i colleghi con chiacchiere inutili; il rapporto viene fatto solo se accade qualcosa di serio… se il mago intruso si rivela una spia di un altro regno, per esempio, o il capo di un esercito invasore».
Galath arrossì imbarazzato e staccò lo sguardo dal volto calmo del Mago Reale. Numerosi altri maghi gli sorrisero divertiti quando guardò brevemente e involontariamente da una parte e dall’altra del tavolo. Briost sbadigliò apertamente mentre si lisciava una manica della tunica verde-scuro e cercava una posizione comoda sulla sedia. Anche Alarashan, il tipo di uomo che sarebbe salito su un carro volgare, sbadigliò, e lo sguardo afflitto di Galath si posò sul tavolo di fronte a lui.
«Il tuo entusiasmo ti fa onore, Galath», aggiunse Undarl Cavalcadrago con espressione impassibile. «Se Eth ci chiederà aiuto o se gli accadrà qualcosa, assegnerò a te il compito di sistemare le cose a Narthil».
Galath si rizzò con tale rapidità e orgoglio, lievitando visibilmente sotto i loro occhi, che più di un mago sputacchiò per soffocare l’improvviso accesso di risa. Briost roteò gli occhi rivolgendoli al soffitto e si domandò se Galath sapesse come aprire un libro d’incantesimi, o se l’avesse invece sbucciato come una patata.
La volta di pietra sopra la sua testa non rispose… ma se ne stava lassù nella stanza di Athalgard da quasi un secolo, e aveva sicuramente imparato a essere un soffitto paziente.
Il dolore bruciò, la pervase, e minacciò di spazzarla via. Nel vuoto scuro, El si aggrappò alla luce bianca della sua volontà. Doveva resistere, in qualche modo…
Il dolore aumentò quando la lama incantata si spostò e scivolò lentamente – oh, molto lentamente, nel suo sangue! – fuori dal suo corpo, lasciandole una sensazione di vuoto e di… aperto. Era stata violata. Faerûn non doveva vedere le sue viscere in quel modo, sangue bollente riversarsi nel sole… ma lei non poteva far nulla, proprio nulla per fermarne il flusso. Le sue mani si mossero lievemente, o così le sembrò, mentre cercava di portarle alla ferita, ma ora la luce e i suoni attorno a lei si stavano affievolendo, e il suo corpo stava diventando freddo. Sprofondava, e sprofondava in un vuoto che l’avvolgeva completamente, sprezzante della sua debolezza e freddo come il ghiaccio.
Elmara ansimò e tentò di fare appello alla propria volontà. La luce bianca che era sempre stata in grado di evocare, scintillò debolmente davanti ai suoi occhi, come un fuoco da bivacco nella notte. La giovane si spinse verso la luce, abbracciandola, aggrappandosi a essa, finché non si ritrovò alla deriva in una foschia bianca.
Ora il dolore era diminuito. Qualcuno sembrò muoverla, rotolarla delicatamente… per un attimo fu colta dal panico, in quanto il movimento indebolì la sua presa sulla luce bianca, che sembrò sfuggirle di mano ed El si attaccò a essa con tutta la sua volontà, fino a sentirsi nuovamente immersa nella foschia.
Qualcosa – una voce – echeggiò intorno a lei, turbinando dolcemente e risuonando in lontananza come una tromba, ma non riuscì a comprendere le parole… se mai ne avesse pronunciate. Il vuoto intorno a lei sembrò farsi più scuro, ed El si aggrappò disperatamente alla luce. Questa sembrò aumentare d’intensità, e da lontano udì quella voce gridare di sorpresa e allontanarsi, balbettando per la paura, oppure era stupore?
Era sola, alla deriva in un mare di luce e dalle nebbie perlacee di fronte a lei qualcosa di familiare avanzava per abbracciarla. Fuoco di drago! Fiamme ruggenti incorniciarono una strada che conosceva bene, ed Elmara cercò di gridare.
Il Principe Elthryn era in piedi nel mezzo di Heldon in fiamme, il fuoco riflesso sui suoi stivali neri, lucidi come specchi, e brandiva la Spada del Leone, intera e scintillante. Si girò, i lunghi capelli al vento, e guardò Elmara. «Pazienza, figlio mio».
Poi fumo e fiamme turbinarono fra loro, e sebbene lo chiamasse disperatamente, a gran voce, non vide più Elthryn, ma al suo posto un alto edificio di pietra, in cui maghi crudeli finemente vestiti erano chini su una sfera decorata sostenuta da tre giovani alate fatte di oro lucente. Uno era Undarl Cavalcadrago, il Mago Reale che aveva distrutto Heldon. Un altro mago stava stendendo la mano sulle acque, agitando rabbiosamente le dita. «Dov’è?» ringhiò e gli parve per un istante di vedere Elmara. Socchiuse gli occhi, poi li spalancò – ma quella stanza iniziò a turbinare e ad allontanarsi nel vuoto di luce, ed Elmara si ritrovò improvvisamente al cospetto di Mystra, maestosa nell’aria di fronte a lei, sorridente, con le braccia aperte.