Выбрать главу

La donna gli lanciò un’occhiata sospetta e domandò a voce bassa: «Che cosa sapete di me?»

L’oste scrollò le spalle. «Nulla… ma un amico mi ha chiesto di badare a Elmara, se mai fosse passata di qui».

«Chi è quest’amico?»

«Si fa chiamare Braer», rispose l’uomo fissandola negli occhi.

El sorrise e si rilassò, lasciando cadere stancamente le spalle. «Prima mostratemi la cantina e il pozzo nero», esclamò. «Può essere che me ne vada prima dell’alba».

Phaernos annuì nuovamente, senza dire nulla, e uscirono insieme dalla porta. Quando questa si richiuse, le due cuciniere si scambiarono occhiate – e simultaneamente si fecero il segno contro lo sfavore di Tyche, e tornarono ai loro piatti.

Al mattino, Elmara si svegliò e vide che i suoi abiti bagnati erano stati appesi ed erano ormai asciutti, e sopra il suo sacco malconcio era stato posto un fardello di stoffa, che si rivelò contenere salsicce, pesce essiccato, e pane secco. Sorrise, si rivestì rapidamente, e uscì dalla stanza, al che vide l’oste dormiente stravaccato su una sedia accanto alla porta, con una vecchia spada sulle ginocchia.

Deglutendo per mandar giù la commozione improvvisa che le chiuse la gola, Elmara scivolò lungo le scale e uscì dalla porta della cucina, oltrepassò il pozzo e si avviò fra gli alberi. Forse sarebbe stato più saggio non aver parlato di maghi o incantesimi la sera precedente… ma la stanchezza le aveva fatto dimenticare la prudenza.

Sarebbe stato meglio allontanarsi da Ambletrees prima che si fosse sparsa voce di una maga. Elmara camminò tra gli alberi fin dove fu possibile, prima di uscire allo scoperto nei campi, diretta a nord verso Far Torel. Tuttavia si tenne alla larga dalla strada. Phaernos aveva detto che molti soldati erano passati di là negli ultimi dieci giorni, per sferrare forse un attacco agli elfi della Grande Foresta, come sperava e temeva nello stesso tempo.

Elmara dubitava che i maghi avrebbero osato tanto, come invece si augurava l’oste. No, era più probabile che ordinassero alle guardie di incendiare il bosco e di uccidere con la balestra qualunque elfo fosse uscito per combattere le fiamme. Sospirò e continuò il suo cammino. Forse avrebbe dovuto trascorrere anni percorrendo Athalantar in lungo e in largo come un’ombra, evitando di cadere nelle grinfie dei maghi e dei loro soldati spavaldi, cercando di imparare tutto il possibile sui maghi che governavano le varie terre. Per vendicare i suoi genitori e liberare il regno, avrebbe dovuto trovare un modo per sconfiggere alcuni dei maghi più forti in luoghi isolati, in modo da avere il minor numero di testimoni possibile e da far sembrare le loro morti opera di maghi nemici o di apprendisti ambiziosi.

Forse, pensò, avrebbe potuto sedurre un mago e convincerlo a fidarsi di lei, e imparare tutto ciò che conosceva prima di distruggerlo. El sospirò, si fermò per un attimo pensierosa, e poi proseguì. Non solo il pensiero le dava il voltastomaco, ma non aveva neanche idea di come far sì che un mago, che poteva avere tutte le donne che voleva, la degnasse di qualcosa di più di un semplice sguardo. Un incantesimo per cambiare aspetto sarebbe stato subito notato, e non era nemmeno particolarmente bella. Rallentò la sua rapida andatura e si mise ad ancheggiare, con le movenze da lince di una prostituta che aveva visto una volta ad Hastarl, ma subito scoppiò a ridere, scuotendo la testa al pensiero di come dovesse apparire.

Avvicinarsi ai maghi come un ladro, allora… Sì, sapeva ancora come fare, nonostante il suo corpo, più leggero, più morbido, e con quei seni e quei fianchi, avesse un diverso equilibrio e non possedesse tutta la forza di un uomo. Doveva fare nuovamente un po’ di pratica.

Presto, pensò improvvisamente. Se Far Torel era un campo armato, ci sarebbero state pattuglie e sentinelle… e si sarebbe imbattuta in loro se avesse continuato a camminare allo scoperto senza fare attenzione. D’altra parte, se qualcuno l’avesse vista avvicinarsi di soppiatto, avrebbe destato sospetti, al contrario di un viaggiatore che percorreva la strada principale. Era tempo di sfidare nuovamente la sorte, pensò tra sé, sorridendo ironicamente. Per abitudine si guardò attorno, e ciò le salvò la vita ancora una volta.

Una spada luccicante solcata da rune stava rapidamente puntando alla sua schiena, una spada che non aveva dimenticato. Il ricordo orribile della sua trafittura le balenò alla mente, e con la bocca piena del gusto amaro della paura, Elmara urlò parole che non poteva scordare. «Thaerin! Osta! Indruu hathan baiarl! La spada si fermò tremolante, virò, e proseguì incerta tra gli alberi. Raggiunse una radura mentre El la guardava, coi pensieri che si affollavano disperatamente nella sua mente, ma poi fece marcia indietro e puntò nuovamente verso la donna.

Mentre la spada si dirigeva rapida al suo viso, balbettò l’unica preghiera a Mystra che le rimaneva e che avrebbe potuto funzionare.

«Namaglos!», gridò l’ultima parola disperatamente, e la lama esplose in migliaia di scintille di fronte a lei. Elmara rabbrividì di sollievo, cadde in ginocchio, e si accorse di avere le guance bagnate di lacrime. Le asciugò rabbiosamente e pronunciò a fatica le parole di un’altra preghiera.

Anche Tyche, a quanto pareva, l’aveva aiutata. Non vi erano maghi nei dintorni. Quella spada era stata sicuramente inviata da qualcuno a Narthil, o magari da un mago distante dalla città, forse da Athalgard. Qualunque fosse la sua origine, nessuno la spiava con sfere magiche, e non sembrava esserci anima viva a portata di incantesimo.

El ringraziò entrambe le dee perché le sembrò la cosa più giusta da fare, poi si alzò in piedi e procedette cautamente. Forse sarebbe stato opportuno cercare un nascondiglio e pregare Mystra per conoscere ulteriori incantesimi.

Othglar sputò pensieroso nella notte, spostò il suo didietro dolorante sul tronco, e poi grugnì e si rialzò impaziente, calciando in aria per sgranchirsi le gambe. Quei maghi erano tutti impazziti: chi mai in Athalantar avrebbe osato attaccare quasi quattromila uomini armati? E poi laggiù, in quel luogo sperduto, a chilometri e chilometri di marcia da Hastarl e dalle postazioni fluviali a sud lungo il fiume!

Othglar scosse il capo e camminò fino all’orlo del promontorio di roccia per guardare in basso. Centinaia di fuochi da campo scintillavano nella valle sottostante. Rifletté su quanto fossero deprimenti e familiari, poi si grattò le costole, sputò nuovamente, si slacciò la brachetta e appoggiò l’alabarda contro un albero.

Stava pensierosamente innaffiando gli alberi, invisibili nell’oscurità sotto di lui, quando qualcuno gli rese l’alabarda, assestandogli un forte colpo sull’orecchio. La testa di Othglar si inclinò da una parte, e l’uomo cadde in avanti nella notte senza emettere alcun suono.

Una mano esile ripose l’alabarda al suo posto mentre, più sotto, si udì brevemente il tonfo della guardia giunta in fondo alla scarpata.

Poi l’aggressore si avvolse infreddolito nel mantello scuro e contemplò lo stesso panorama che Othglar, per nulla impressionato, stava osservando. La vista da maga di Elmara individuò solo tre piccoli punti di luce blu – probabilmente emessi da pugnali o anelli. Nessuno di essi era né vicino, né in movimento.

Bene. Contò i fuochi da campo e sospirò silenziosamente. Vi erano abbastanza soldati da iniziare una guerra contro gli elfi, che avrebbe rovinato sia Athalantar sia la Grande Foresta. Doveva agire… e ciò significava mettere in pratica una delle preghiere più pericolose, più lunghe e più potenti che conoscesse.

Camminando cautamente carponi, Elmara trovò una cavità poco sotto all’orlo della scarpata, un luogo in cui chiunque fosse giunto al posto di guardia non le sarebbe piombato addosso. Si inginocchiò e si svestì, riponendo tutti gli oggetti di metallo dentro il sacco, che allontanò da sé.

Si rivolse verso i fuochi, sussurrò dolcemente una supplica a Mystra, allargò i piedi nudi per ottenere maggiore equilibrio, e iniziò l’incantesimo.