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Camminava perlopiù all’alba e al tramonto, attraverso la campagna. Quando voltò a nord verso Heldon, vide che la strada era sbarrata da numerosi accampamenti di soldati, e da un gruppo di apprendisti guidati da numerosi maghi guardinghi, e con un sospiro di rassegnazione decise di dirigersi a ovest nella Valle Infestata, e raggiungere da lì la Grande Foresta. Non avrebbe mai pensato che la lotta contro i maghi avrebbe comportato tanto camminare…

In un tardo pomeriggio si ritrovò di fronte un’altra battaglia. Mentre si inerpicava su per una collina, si soffermò a osservare curiosa una breccia aperta di recente nella staccionata di una fattoria. Il campo era vuoto, ma la sommità del pascolo successivo era un luogo molto affollato. Un gruppo numeroso di guardie di Athalantar accerchiava una figura solitaria – una donna con una tunica – e le scagliava contro dardi di balestra.

Un vecchio era appoggiato a un bastone robusto accanto al cancello che separava i due campi. Le sue labbra tremavano di rabbia e i suoi occhi fiammeggiavano di odio. Quando Elmara giunse accanto a lui, voltò la testa come un leone furioso e le bloccò la strada con il bastone.

«Stai indietro, ragazza», la avvertì. «Quei cani sono assetati di sangue – e ti uccideranno senza tanti complimenti. Non avrebbero osato farlo quand’ero più giovane, ma gli dei e il passare degli anni mi hanno tolto tutto, tranne la mia intelligenza e questa fattoria…»

La donna sulla sommità del pascolo conosceva la magia; le frecce infatti venivano deviate da scudi invisibili, e la maga evocava piccole sfere di fuoco che scagliava contro alcuni dardi. Abbassò le spalle come fosse molto affaticata, e quando scosse la testa per togliersi dagli occhi i lunghi capelli aggrovigliati, il suo gesto denotò stanchezza. I soldati stavano logorando rapidamente la sua resistenza.

Elmara batté una mano sul braccio dell’uomo, girò intorno al bastone e si avviò rapidamente verso il cerchio di guardie. Mentre si avvicinava, una freccia colpì la maga a una spalla. La donna vacillò e cadde in ginocchio con un singhiozzo, portandosi una mano alla macchia scura che si allargava a vista d’occhio nel punto in cui fuoriusciva il dardo.

«Prendetela», ordinò il capitano al di fuori dell’accerchiamento, con un gesto imperioso della mano avvolta da un guanto di ferro.

Le guardie si lanciarono verso di lei, ma la donna stava mormorando qualcosa, facendo gesti rapidi con una mano insanguinata. I soldati al trotto rallentarono, e uno di loro si accasciò al suolo, seguito subito da un secondo. Poi da un terzo, e da un quarto.

«Indietro!», ruggì il capitano. «Indietro, prima che vi faccia addormentare tutti!» Quando gli uomini indietreggiarono formando un cerchio scomposto e lasciando molti dei loro compagni sparpagliati a terra, il comandante lanciò loro un’occhiata, e ringhiò: «Uccidetela. Preparate le balestre!»

La maga in ginocchio guardava con occhi cupi, impotenti, mentre i soldati intorno a lei sollevavano e caricavano le balestre.

Elmara si sedette rapidamente sul terreno fangoso e pronunciò una delle preghiere più potenti che conosceva, scegliendo accuratamente il tempo.

«Fuoco!»

Al comando del capitano, i soldati scoccarono i dardi, ed Elmara si protese, gli occhi fiammeggianti, per vedere l’effetto del suo incantesimo. Vi fu un rapido scambio di posizioni: il comandante delle guardie si ritrovò nel mezzo del cerchio e la maga al suo posto fuori da esso. Una ventina di frecce colpirono il bersaglio, e molte di esse penetrarono l’armatura opulenta e incontrarono la faccia, non protetta dalla visiera. L’uomo barcollò e urlò, trafitto da numerosi dardi, quindi sollevò la mano e lentamente, cadde a faccia all’ingiù, immobile.

Le guardie stavano ancora guardando sbalordite il corpo del comandante quando El sferrò un secondo incantesimo. Tutte le armature assunsero un colore rosso-scuro, e gli uomini iniziarono a grugnire, a dimenarsi, e a gridare, scuotendosi disperatamente e cercando di togliersi le bardature d’acciaio.

Diventavano calde, sempre più calde. Ora gli uomini stavano urlando. La puzza di carne e capelli bruciati si unì all’odore pungente del metallo, mentre i soldati gettavano disperatamente pezzi di armatura in tutte le direzioni, e si rotolavano nudi nel prato.

Elmara si voltò e tornò dal vecchio. Questi trasalì al suo arrivo, stringendo il bastone al petto come per difendersi, ma rimase immobile.

«Ora dovreste essere in grado di affrontarli», affermò tranquillamente, guardando gli uomini che gridavano e si contorcevano, e aggiunse: «Ho paura di avervi rovinato gran parte del raccolto».

Dal nulla, raccolse una manciata di gemme, le mise nella mano del vecchio sbalordito e lo abbracciò, sussurrandogli all’orecchio grande e peloso: «Sembrate un uomo buono. Cercate di stare in vita; avrò bisogno dei vostri servizi quando questa terra sarà mia».

Poi si voltò e si allontanò.

Darrigo Trumpettower rimase immobile con le gemme nella mano, che apparivano come tante lacrime versate, e la fissò a lungo.

L’esile donna dal mantello consunto attraversò il campo a grandi passi, diretta a ovest. La maga sanguinante fluttuava dietro di lei, come trascinata su un letto leggero e invisibile.

Solo una guardia si mosse nel tentativo di fermarla, sollevò la balestra, la caricò, e l’appoggiò alla spalla. L’uomo sentì la mano che deviava la sua arma, ma non il bastone robusto che lo fece accasciare al suolo, né altro. Il dardo scoccò verso il sole, e nessuno vide se mai lo avrebbe raggiunto.

Darrigo Trumpettower, in piedi accanto al soldato morto, grugnì con sguardo feroce: «Almeno posso esser fiero di qualcosa prima di morire. Forza, Lupi! Venite a stroncare un vecchio, e vantatevi come degli eroi!»

Quello era il momento di usare una preghiera che aveva sempre voluto tentare ma per la quale non aveva mai trovato l’occasione giusta. I dettami di Mystra erano abbastanza severi: le sue sacerdotesse non potevano mai invocarla a proprio beneficio, e Braer l’aveva avvertita di quante poche risorse avesse a disposizione. Ora però sentiva che era arrivato il momento adatto.

La litania per fermare le emorragie non era fra quelle più usate da Elmara, pertanto dovette prima pregare la dea. La notte era ormai scesa sulla Valle Infestata quando la giovane prese la maga ferita tra le sue braccia e pronunciò le parole di un’ultima preghiera che le avrebbe trasportate nell’unico rifugio sicuro a cui riusciva a pensare: la grotta sotto il pascolo che dava sulle rovine di Heldon.

Quando le colline illuminate dalla luna scomparvero e si ritrovarono immerse nell’oscurità della terra Elmara sorrise stancamente. Non aveva mai sentito parlare di una signora maga, e le guardie, d’altra parte, non avrebbero osato attaccarne una. Se la maga fosse vissuta, avrebbe potuto diventare la guida e l’alleata di cui El necessitava nella sua lotta per la libertà di Athalantar.

«Da sola, non posso sconfiggere i maghi», mormorò, ammettendolo finalmente. «Gli dei sanno che sono a stento in grado di tenere a bada una spada incantata!»

Molto tempo dopo, Elmara sospirò disperatamente. La donna non si era svegliata, e la sua carne guarita era bollente sotto le sue dita. Il dardo era forse avvelenato? Le preghiere della giovane avevano fatto sciogliere la freccia, fermato l’emorragia, e cicatrizzato la spalla lacerata… ma in realtà, sapeva poco sulle formule di guarigione: Mystra offriva ai suoi fedeli preghiere per evocare barriere e incantesimi che spazzavano via i nemici e facevano crollare gli ostacoli, ma era parsimoniosa in ordine alle magie guaritrici.

Ancora incosciente, la donna giaceva su un letto di mantelli. La sua carne febbricitante era madida di sudore, e di tanto in tanto mormorava parole che El non riusciva a cogliere, e muoveva lievemente le membra sui mantelli fradici. La sua pelle – persino le labbra – era cadaverica.