Il letto scricchiolò proprio sopra la testa di Elmara. Chinandosi involontariamente, la giovane corrugò le labbra e smise di armeggiare col lucchetto. Avrebbe sicuramente emesso un forte clic quando l’avrebbe forzato.
Non dovette attendere molto a lungo; l’uomo scoppiò a ridere per le proprie battute di spirito, e i suoi ruggiti furono ampiamente sufficienti a coprire il rumore dello scrigno che si apriva. Svuotarne il contenuto sul tappeto mentre la coppia si dondolava e si rincorreva sul letto proprio sopra di lei richiese tutta la sua abilità e la sua pazienza, ma il lavoro di El venne ricompensato: lungo un lato, sotto una tunica emanante luce magica alla sua vista, vi era una fila di tubetti metallici, ognuno tappato con un turacciolo sigillato con ceralacca, e diligentemente etichettato. Uno conferiva il potere di volare, e gli altri erano tutti unguenti medicamentosi. Sì!
Con un sorriso trionfale, El li infilò nei suoi stivali e richiuse cautamente lo scrigno, gettando un’occhiata anelante al libro di incantesimi fissato al coperchio. No; il suo compito ora consisteva nell’uscire di lì, più velocemente possibile, senza far scattare alcun allarme.
Non era cosa facile. Non osava neanche sperare di poter fare un incantesimo sotto il letto di un mago, nemmeno se questi era in preda alle passioni, senza essere udita.
E poi lo udì grugnire, sopra la sua testa, ed esclamare: «Ahhh, sì, per tutti gli dei! Ora fuori, ragazza, fuori! Ho ancora lavoro da fare prima di dormire! Rimani nei dintorni, intendo, sarò di nuovo da te più tardi!» Chiavistello e porta si aprirono, poi vennero nuovamente chiusi.
Elmara si irrigidì sotto il letto. Conosceva alcuni incantesimi mortali, ma una sfera di fuoco non è consigliabile se si vuole sopravvivere a una lotta in una stanza piccola… e lo è ancor meno se si desidera farlo senza allertare una fortezza brulicante di soldati.
Ma possedeva anche qualcosa di più piccolo: una fiamma particolare. Hmmm.
E le tende si aprirono davanti a lei, e un uomo inginocchiato allungò la mano sotto il letto, cercando le sue ricchezze.
Fissò sbalordito Elmara, poi allungò rapidamente le mani e l’afferrò per le orecchie, trascinandola verso di lui.
«I miei omaggi», esclamò lei, poi mormorò le poche parole dell’incantesimo, e lo baciò.
Una fiamma uscì dalle sue labbra socchiuse ed entrò nel corpo del mago che si dimenò incoerentemente. L’uomo si impietrì, l’afferrò convulsamente, e poi si accasciò sul tappeto, battendo i denti quando il mento urtò il pavimento.
Un po’ di fumo fuoriuscì dalla bocca e dalle orecchie del morto, mentre la giovane trascinava lo scrigno accanto a lui, lo riapriva, e gli infilava la testa dentro, in modo che quando l’avessero trovato avrebbero potuto pensare che qualcosa in esso contenuto l’avesse ucciso.
Freddamente, El uscì da sotto il letto. La porta era chiusa a chiave. Ottimo. Si chinò di nuovo sotto il baldacchino e si impadronì del libro di incantesimi. Scorrendo le pagine rapidamente, trovò l’incantesimo che cercava.
Era molto simile all’incantesimo-preghiera che le aveva insegnato Braer. Inginocchiandosi con il tomo aperto davanti a lei, pregò ferventemente la Signora dei Misteri.
Una luce sembrò pervaderla e improvvisamente si ritrovò appena fuori dal suo nascondiglio sopra il pascolo, il libro fra le mani. «I miei ringraziamenti, Mystra», esclamò rivolta alle stelle, poi entrò.
Il profumo speziato della zuppa di tartaruga inondò la caverna. Intenta a evitare che bruciasse, Elmara sentì appena la voce flebile proveniente da dietro le sue spalle.
«Chi… chi sei?»
Si voltò e vide la maga completamente sveglia per la prima volta. Due grandi occhi incavati si fissarono nei suoi. La donna sollevò una mano per spostare una ciocca opaca di capelli dal viso, e il suo braccio tremò. Doveva esserci qualcosa sulla punta di quel dardo. Persino con le pozioni, la maga aveva impiegato molto tempo a guarire.
El continuò a mescolare la zuppa con un osso lungo – tutto ciò che rimaneva di un cervo ucciso a suon di incantesimi giorni addietro – e rispose: «Elmara di Athalantar. Io… venero Mystra». Quegli occhi enormi rimasero fissi nei suoi, quasi volessero rimanere aggrappati a un ultimo appiglio, e la giovane aggiunse: «E sarò nemica dei signori maghi di questo regno finché non saranno tutti morti, o io stessa non lo sarò».
La donna emise un sospiro lungo e tremante, e si riappoggiò al muro della grotta. «Dove… che posto è questo?»
«Siamo in una caverna a nord di Athalantar» le rispose El. «Ti ho portata qui più di dieci giorni fa, dopo averti salvata dai soldati nella Valle Infestata. Come hai fatto a trovarti in mezzo a quel cerchio di frecce?»
La maga alzò le spalle. «Io… appena arrivai in Athalantar, incontrai una pattuglia di soldati. Questi fuggirono, corsero a chiamare rinforzi, e tornarono per uccidermi. Da ciò che dissero, sembra che qualcuno avesse dato loro ordini di uccidere qualunque mago non fosse un signor mago. Ero stanca e distratta… e fui sopraffatta».
Sorrise e allungò una mano per toccare quella di Elmara. «Grazie», esclamò debolmente, lo sguardo scuro e profondo sul viso bello e bianchissimo. «Sono Myrjala Talithyn, di Elvedarr in Ardeep. Mi chiamano “Occhiscuri”».
El annuì. «Zuppa?»
«Oh, sì», rispose Myrjala, mettendosi seduta contro la parete della caverna. «Ho vagabondato», affermò lentamente, «nei miei sogni, e ho visto molte cose».
Elmara attese, ma la donna non aggiunse altro, perciò immerse una ciotola – tutto ciò che aveva – nella zuppa, ne asciugò i fianchi grondanti, e la porse a Myrjala. «Che cosa ti ha condotto in questo regno?», domandò.
«Stavo cavalcando per visitare i territori elfi a nord del Torrente Unicorno, quando incontrai alcuni soldati, che uccisero il mio cavallo. Dopodiché, ho proseguito a piedi fino al luogo dove mi hai trovata», rispose la donna, guardandosi attorno. «Ora dove sono?»
«Sopra le rovine di Heldon», ribatté El semplicemente, leccandosi la zuppa dalle dita.
Myrjala annuì, bevve il brodo fumante e rabbrividì perché era troppo caldo. Poi sollevò i suoi liquidi occhi neri per guardare nuovamente la giovane, ed esclamò: «Ti devo la vita. Come posso ricambiare?»
Elmara si guardò le mani, e le vide tremare per l’eccitazione. Risollevò lo sguardo e mormorò: «Insegnami. So fare qualche incantesimo, ma sono una sacerdotessa, non una maga. Devo conoscere a fondo la magia, se voglio sperare di distruggere un giorno tutti i maghi malvagi».
Alle ultime sue parole Myrjala inarcò le sopracciglia scure, ma si limitò a esclamare: «Dimmi che cosa hai imparato finora».
Elmara scrollò le spalle. «Ho imparato a fulminare i nemici, e a usare la loro rabbia contro se stessi… So creare e scagliare fuoco, e saltare di luogo in luogo, diventare un’ombra, e arrugginire o dominare l’acciaio. Ma non so nulla delle strategie magiche contro un nemico sveglio, o dei dettagli sugli effetti di molti incantesimi, o di come meglio combinarli fra loro, o…»
Myrjala annuì. «Hai imparato molto; tanti maghi neanche s’accorgono di avere tali lacune e se qualcuno osa farglielo notare, lo uccidono in men che non si dica, invece di ringraziarlo».
Bevve un altro sorso di zuppa e aggiunse: «D’accordo, ti insegnerò. È meglio che qualcuno lo faccia; Faerûn brulica già di maghi selvaggi. Quando avrai imparato a fidarti di me, potrai dirmi perché vuoi a tutti i costi uccidere i maghi di queste terre».
Molti pensieri si rincorsero nella mente di El. «Ah», iniziò, «Io…»
Myrjala la interruppe con un gesto della mano. «Più tardi», affermò con un sorriso. «Quando sarai pronta». Fece una smorfia, e aggiunse: «E quando avrai imparato quanto sale va in una minestra».
Risero insieme, per la prima volta.
14.
Non esiste pazzo più grande
Sappi, apprendista, e tienilo bene a mente: non esiste pazzo più grande di un mago. Più è potente, più è folle, perché noi che esercitiamo la magia viviamo in un mondo di sogni, e inseguiamo sogni… e alla fine i sogni ci distruggono.