«Io sono stata un ladro, ma non sono venuta per rubare, nulla se non lezioni», rispose Elmara.
«Ti permetterò di averne un po’», ribatté la voce fredda.
«Permettere di averle? Puoi negarle?»
«Naturalmente. Ho imparato la magia in Thyndlamdrivvar… non come sembrano fare i maghi di oggi, che estorcono incantesimi alle tombe o da tutori stolti come ragazzini che rubano mele dall’albero del vicino».
«Chi sei?», sussurrò El, seguendo con lo sguardo la danza dei teschi.
«Mi chiamano Ander. Prima di passare in questo stato, ero un arcimago di Netheril, ma la città in cui ho vissuto e le mie grandi opere sembrano essere svanite sotto le grinfie del tempo. Tutti i miei sforzi… da ciò puoi trarre una valida lezione giovane apprendista».
El si accigliò. «Che cosa sei diventato?»
«Ho superato la morte per mezzo della mia arte. Apprendo da conversazioni come questa – per quanto la mia conoscenza possa essere offuscata da menzogne che possono essermi state dette – che tutto ciò che i maghi di oggi riescono a fare è preservare il loro corpo, trascinandosi come carcasse in rovina, in putrefazione, fino a che non collassano del tutto… voi li chiamate “morti viventi”, credo».
La ragazza annuì in maniera incerta. «Sì».
Gli occhi verdi dello spettro risplendettero di una luce un po’ più intensa. «Ai miei tempi imparammo a controllare i nostri corpi, perciò possiamo diventare solidi o assumere la forma che vedi ora, e passare da uno stato all’altro a piacere. Con una pratica lunga, si può persino imparare a solidificare solo una mano, e a lasciare invisibile il resto».
«È una cosa che può essere insegnata?»
Gli occhi di smeraldo scintillarono di allegria. «Sì, a coloro che vogliono sconfiggere la morte».
«Perché», domandò El a bassa voce, «un individuo dovrebbe voler sconfiggere la morte?
«Per vivere in eterno… o per terminare una missione che consuma la propria vita, come la vendetta sui signori maghi sta consumando la tua… o per…»
«Come fai a saperlo?»
«Posso leggere il pensiero, quando sono a questa distanza», rispose il mago fantasma di Netheril.
Elmara indietreggiò, sollevando le mani con nuova risolutezza, e lo stregone immortale sospirò nella sua mente.
«No, no, non sferrare il tuo incantesimo meschino, ragazza. Non ti ho fatto alcun male».
«Ti nutri di pensieri e di ricordi?» domandò El colta da un sospetto improvviso.
«No. Mi nutro di forza vitale».
Elmara fece un altro passo indietro, e si sentì toccare lievemente la spalla. Si voltò e si ritrovò a fissare il ghigno interminabile di un cranio fluttuante, ballonzolante a pochi centimetri dal suo naso. Scattò all’indietro emettendo un piccolo grido. Il mago sospirò nuovamente.
«Non la forza vitale di esseri intelligenti, idiota. Pensi che non abbia principi morali, solo perché vedi ossa e trappole mortali? Che cosa c’è di tanto malvagio nella morte? È una cosa che capita a ognuno di noi».
«Che tipo di forza vitale, dunque?», domandò la giovane.
«Ho una creatura imprigionata al di là di quel muro… è chiamata grande progenie, e partorisce le creature che ha divorato, uccello dopo uccello dopo uccello, in questo caso».
«Dov’è la porta che conduce a questa stanza di mostri?», chiese El sospettosamente.
«Porta? Che bisogno ho io di porte? I muri non costituiscono per me un ostacolo».
«Perché mi stai rivelando tutto ciò?»
«Ah, ecco i discorsi di un mago vivo, timoroso e diffidente degli altri, geloso del potere, che accumula insegnamenti come pietre preziose, e se li tiene tutti per sé. Perché non dovrei dirtelo? Tu sei interessata, e io sono solo. Mentre parliamo, io apprendo ciò che voglio udire dalla tua mente, perciò non importa di che cosa discutiamo».
«Sai tutto di me?», sussurrò El cercando Myrjala con gli occhi.
«Sì, tutti i tuoi segreti, e le tue paure. Tuttavia non preoccuparti. Non li rivelerò agli altri, né attaccherò te. Per quanto possa sembrare improbabile, riesco a vedere che davvero non intendi rubare, o scagliare magie contro di me».
«Dunque cosa farai di me?»
«Ti lascerò andare. Ricordati di tornare, magari fra dieci anni, a parlare di nuovo con Ander. La tua mente per allora sarà ricca di nuovi ricordi e di insegnamenti per me».
«Io… cercherò di tornare», affermò El titubante. Nonostante la paura l’avesse ormai abbandonata, solo gli dei sapevano se sarebbe sopravvissuta tanto a lungo, o se sarebbe stata ancora capace di fare magie… e se non sarebbe diventata invece una prigioniera di qualche signor mago.
«Questo è tutto ciò che un mortale può promettere», asserì Ander, avvicinandosi ulteriormente. «Accetta da me questo dono, dal momento che non sei venuta con l’intenzione di rubare».
Un fascio di luce discese di fronte al naso di Elmara, e al suo interno vi era un libro aperto, un libro dalle pagine circolari. Quando la ragazza guardò le rune che ricoprivano la prima pagina, queste sembrarono contorcersi e riformarsi finché non riuscì improvvisamente a leggerle. Era un incantesimo che trasformava completamente e permanentemente il sesso del mago che l’avrebbe eseguito. El deglutì. Si era quasi abituata a essere donna, ma… La pagina si stava strappando dal libro, proprio di fronte ai suoi occhi. Involontariamente, la giovane gridò a quella distruzione, ma il fantasma le rispose con una risata.
«Che bisogno ho di questo incantesimo? Posso assumere qualunque forma solida io scelga! Prendilo!»
Come intontita, Elmara allungò la mano nella luce e afferrò la pagina. Non appena la toccò, si ritrovò bruscamente immersa nell’oscurità. Gli occhi di smeraldo, il mago fantasma, e le ossa erano improvvisamente scomparsi.
Tutto ciò che rimaneva in quella stanza silenziosa era il suo flebile fuoco magico, e la pagina accartocciata nella sua mano. Si guardò attorno per un momento, e poi cautamente arrotolò la pergamena e la infilò nel corpetto.
Si irrigidì quando una risata sommessa risuonò profondamente nella sua testa, seguita dalle parole, Ricordati di Ander, e ritorna. Mi piaci, uomo-donna. El rimase a lungo nel buio, in silenzio e immobile, prima di esclamare: «Anche tu, Ander. Tornerò a farti visita». Poi si incamminò verso il punto in cui Myrjala era scomparsa. «Maestra?», chiamò. «Maestra?»
Tutto rimaneva buio e silenzioso. «Myrjala?» chiamò ancora titubante, e a quel nome, granelli di luce scintillarono di fronte a lei, e la ragazza vide per un attimo gli occhi scuri e amichevoli della sua insegnante, prima che le luci avvolgessero anche lei e la portassero fuori dalla tomba.
«Ciò è molto importante per te», affermò El, in piedi sulla sommità di una collina spoglia nella regione più occidentale della Valle Infestata.
«E lo è ancora di più per te. Questa rappresenta la tua prova più difficile», rispose Myrjala, «e se la supererai, avrai compiuto qualcosa di più utile per Faerûn di quanto non facciano molti maghi. Ma bada: questo compito ti costerà almeno una stagione, ed esaurirà parte della tua forza vitale».
«Di che cosa si tratta?»
La maga indicò con il braccio la forra sottostante, un luogo ricoperto di pietre nude, di erbacce, e di ceppi d’albero inceneriti, consumati da un incendio remoto. «Riporta in vita questo luogo, dal punto in cui nasce questa sorgente fin dove si ricongiunge al Darthtil, a mezza giornata di cammino da qui».
El la fissò. «Ridargli la vita mediante gli incantesimi?»
La maestra annuì.
«Da dove devo iniziare?»
«Ah», esclamò Myrjala, sollevandosi da terra. «Tentare, e rimediare agli errori, per poi tentare nuovamente costituisce la parte migliore del lavoro. Ci incontreremo di nuovo qui, tra un anno».
Il suo corpo fu avvolto da una luce, e scomparve.