Myrjala scosse il capo. «Mentre attendiamo, distruggeranno Athalantar insieme a loro stessi». Sorseggiò la sua birra, trasalì, e diede un’occhiataccia al boccale. «Inoltre, ciò funzionerebbe solo se distruggessimo gli arcimaghi più potenti, i capi dei signori maghi… finora abbiamo solo sconfitto i pagliacci e gli stupidi più avventati».
«Pertanto cosa facciamo?», domandò Elminster, bevendo un lungo sorso dal boccale.
Myrjala inarcò un sopracciglio aggraziato. «Questa è la tua vendetta».
Elminster abbassò il boccale e si leccò la schiuma dal labbro superiore. Myrjala sembrava divertita, ma il suo compagno era assorto nei suoi pensieri.
«Non avrei mai pensato di sentirmi così», affermò lentamente, «ma dopo Ilhundyl e quei maghi schiavisti… ne ho fin troppo della vendetta». Sollevò lo sguardo. «Quindi perché continuare? Attaccare Athalgard, cercando di uccidere tutti i signori maghi che riusciamo prima che possano accorgersi di un nemico incombente?»
Myrjala scosse le spalle ed esclamò rivolta al boccale: «Alcuni ci provano gusto a distruggere le cose. Per la maggior parte invece il piacere svanisce rapidamente. Gli dei non tollerano a lungo i primi; se un mago se ne va in giro a sferrare incantesimi, alla fine si imbatterà in qualcuno che fa altrettanto, con qualche magia in più nella manica».
Alzò gli occhi per guardare Elminster. «Se intendi tentare un attacco massiccio con sfere di fuoco, tieni in considerazione quanta campagna distruggerai… tutto parte di Athalantar, il regno per cui stai lottando. Non è detto che ti sfidino uno dopo l’altro, attendendo pazientemente ognuno il proprio turno per morire».
Elminster sospirò. «Allora faremo tutto con calma e di soppiatto». Sorseggiò la birra. «Dimmi dunque come pensi che dovremmo agire. Sei tu la più anziana dei due; io farò come dici».
La donna scosse il capo. «È ora che pensi con la tua testa, El; non guardarmi più come tua insegnante, ma come un’alleata nella lotta».
El vide la sua espressione grave, annuì lentamente, e affermò: «Hai ragione, come sempre. Bene… se vogliamo evitare battaglie massicce, dobbiamo attirare i maghi in situazioni in cui poterli sfidare singolarmente, senza che abbiano la possibilità di chiedere aiuto ai colleghi. Dobbiamo preparare trappole e se li attacchiamo da soli, prima o poi finiremo senz’altro in un contesto magico enorme. Se entrambi, noi e i maghi, ci lanceremo fiamme a vicenda, ci sarà sicuramente un incendio».
Myrjala annuì. «E quindi?» domandò tranquillamente.
«Avremo bisogno di alleati», rispose El, «ma chi?» Si accigliò e fissò il tavolo in silenzio.
Myrjala sollevò di nuovo il boccale e osservò pensierosa il proprio volto riflesso. «Più di una volta mi hai detto che desideravi una giustizia adeguata», affermò cautamente. «Che cosa ci sarebbe di più giusto che chiedere aiuto agli elfi della Grande Foresta, e ai ladri di Hastarl, e a Helm con i suoi cavalieri? Il regno che vuoi liberare appartiene anche a loro».
Il principe iniziò a scuotere il capo, poi si fermò e socchiuse gli occhi. «Hai ragione», convenne a bassa voce. «Come faccio a essere sempre tanto cieco?»
«Mancanza di attenzione; te l’ho già detto», affermò Myrjala vivacemente, e quando El la guardò irritato, la maga sogghignò e allungò una mano per carezzargli delicatamente la sua. Dopo un istante, El ricambiò il sorriso.
«Dovrò viaggiare travestito e parlare loro», affermò lentamente, riflettendo, «perché non ti conoscono». Bevve un altro po’ di birra. «E poiché un signore mago potrebbe notarmi e non è mai bene rivelare tutti i propri punti di forza, sarebbe meglio che tu non ti facessi vedere».
La maga dagli occhi neri annuì. «Tuttavia, in caso i maghi ti attaccassero seriamente, è meglio che ti accompagni – non con la mia vera identità, naturalmente – per combattere al tuo fianco se fosse necessario».
El le sorrise. «Non voglio separarmi da te proprio adesso, stanne certa. Dovremmo tentare di sollevare la gente comune?» Poi rispose lui stesso alla domanda. «No, fuggirebbero di fronte al primo incantesimo sferrato contro di loro, e una volta incitati colpirebbero alla cieca fino a distruggere il reame, come se maghi furiosi usassero incantesimi senza alcun freno… e sia che perdiamo, sia che vinciamo, morirebbero a centinaia, come pecore condotte al macello».
Myrjala annuì. «Sono stati gli elfi a iniziarti alla magia… sembrerebbero essere i primi alleati da contattare»
El aggrottò la fronte. «Gli elfi usano la magia per aiutare, crescere e riplasmare, non per distruggere le cose in battaglia».
Myrjala scrollò le spalle. «Se tutto ciò che cerchi negli alleati è gente che stia al tuo fianco e che aggiunga incantesimi ai tuoi, gran parte del regno verrà devastato nella lotta. Devi trovare alleati con punti di forza che tu non possiedi… e la loro decisione di aiutarti o meno deciderà ogni cosa; devi sapere se accetteranno la tua proposta prima di contattare gli altri. Inoltre, tu sai dove trovare gli elfi ed è meno probabile che un mago sorvegli la Grande Foresta, piuttosto che Hastarl o le Colline del Corno».
El annuì. «Tutto ciò ha senso. Quando cominciamo?»
«Ora» rispose Myrjala allegramente.
Si scambiarono un ghigno. Un attimo dopo, due boccali si posarono su un tavolo vuoto. L’oste, corrugando ansiosamente la fronte, corse in direzione del rumore e tristemente afferrò i due boccali dal tavolo senza clienti. Tintinnarono.
L’uomo vi guardò dentro, e vide una moneta d’argento sul fondo di ognuno. Si rallegrò, alzò le spalle, e rovesciò il denaro, appiccicoso di schiuma, sulla mano. Passandoselo fra le dita, tornò al bancone. Quelle monete di mago si spendevano meglio di qualsiasi altra… e altrettanto velocemente, purtroppo…
El si fermò quando giunse alla collinetta nel cuore della Grande Foresta, si inginocchiò e mormorò una preghiera a Mystra, poi si sedette sulla pietra piatta accanto al minuscolo laghetto. Quasi immediatamente il suo scudo magico tremolò quando qualcosa di invisibile – di sicuro un elfo – lo esaminò, cercando di capire chi fosse. El si alzò in piedi, e guardò i cespugli e gli alberi dalle foglie bluastre che circondavano la collinetta. «Buongiorno!», esclamò allegramente, poi si sedette nuovamente.
Attese in paziente silenzio, tanto a lungo da rendere inquieto persino un elfo. Dall’oscurità sottostante gli alberi sbucò un elfo silenzioso in abiti verdi, un arco teso tra le mani. Il suo volto era tranquillo, ma gli occhi erano tutt’altro che amichevoli.
«I signori maghi non sono i benvenuti qui», affermò, preparando una freccia.
Elminster non si mosse. «Sono un mago, ma non un signore mago», rispose tranquillamente.
L’elfo non accennò ad abbassare l’arma. «Chi altro potrebbe conoscere questo posto?» Mentre formulava la domanda ciò, altri setti elfi arcieri accerchiarono la collinetta. Le punte delle loro frecce spianate emanavano una vivida luce blu: troppa magia, persino per il più resistente degli scudi.
«Ho vissuto qui per più di un anno», rispose El, «per imparare la magia».
Gli occhi argentei si indurirono. «Non così», fu la breve risposta. «Di’ la verità, uomo, se vuoi continuare a vivere!»
«Ho vissuto qui come ti ho detto, e ti dirò di più: sei elfi hanno giurato di aiutarmi se avessi tentato di distruggere i signori maghi».
L’elfo socchiuse gli occhi. «Ho fatto un tale giuramento, ma a una donna, non a un uomo».
«Io sono quella donna», affermò Elminster fermamente, e rimase seduto in mezzo al fragore di risate che seguì le sue parole.
Poi guardò dolcemente i volti beffardi. «Voi usate magia più potente di quella di molti maghi ma non credete che un mago possa assumere le sembianze di una donna o di un uomo?»
Gli occhi dell’elfo scintillarono. «Non che non possa… che non voglia», fu la risposta. «Gli umani fanno cose del genere solo per lo scherzo di una notte, o per una fuga disperata. Non è nella loro natura perseverare nei propositi».