El allargò lentamente le mani vuote. «Dite a Braer, Baerithryn, che ora sono più forte di quanto lo fossi allora e che conosco qualche incantesimo in più».
Gli occhi della creatura della foresta scintillarono nuovamente prima che voltasse il capo. «Vai», ordinò a uno degli arcieri, «e porta qui Baerithryn. Se quest’uomo è chi sostiene di essere, Baerithryn lo saprà e ci dirà anche tutto ciò che dobbiamo sapere su di lui». L’arciere si voltò e scivolò nell’oscurità del sottobosco.
El annuì e scrutò nelle profondità del laghetto cristallino. Per un attimo gli parve di intravedere un paio di occhi pensierosi che lo guardavano… ma no, là sotto non c’era nulla. Rimase tranquillamente seduto, ignorando gli archi instancabilmente puntati su di lui, finché il suo scudo tremolò nuovamente. Lo lasciò cadere deliberatamente, e subito sentì un tocco lieve nella sua mente. Poi il contatto svanì, e Braer sbucò da sotto gli alberi e si avviò a grandi passi verso di lui. Era uguale a come l’aveva lasciato.
«Il tempo sembra aver operato in te qualche piccolo cambiamento, Elmara», esclamò bruscamente.
«Braer!», El balzò in piedi e corse giù dal breve pendio per abbracciare il suo vecchio maestro, che lo baciò come se fosse stato ancora una donna e poi si divincolò dalle braccia di El ed esclamò: «Piano, Principe! Gli elfi sono molto più raffinati e delicati degli uomini».
Risero insieme, e gli arcieri deposero le armi. Braer guardò intensamente negli occhi di Elminster, poi annuì, come se vi avesse letto qualche cosa. «Sei venuto per chiederci aiuto contro i signori maghi. Siediti e dicci quali sono i tuoi desideri».
Quando tornarono alla pietra, El si ritrovò circondato da quasi una ventina di elfi attenti e silenziosi. Si guardò intorno, ma nessuno ricambiò il suo sorriso, e fece un respiro profondo. «Bene», iniziò, ma non andò oltre.
L’elfo che poco prima l’aveva sfidato sollevò una mano. «Prima, Principe, sappi che riteniamo nostro dovere fare qualsiasi cosa tu ci chieda… ma siamo riluttanti a rischiare la vita di altri nostri simili. Fuori dalla foresta, gli elfi vengono uccisi troppo facilmente, e se moriamo, lo stesso accadrà alla nostra gente in questo sereno angolo di Faerûn. Gli uomini – persino i maghi – spuntano come i germogli in primavera. Gli elfi sono fiori molto più rari… e pertanto più preziosi. Non aspettarti dunque un esercito marciante, o una ventina di arcimaghi elfi che volano alle tue spalle».
El annuì e guardò Baerithryn. «Braer, sei d’accordo?»
Il vecchio maestro inclinò il capo. «Non vorrei condurre una marcia su Hastarl alla luce del giorno, con eserciti di uomini a cavallo e maghi sopra bestie alate in agguato… non rientra nel nostro modo di combattere. Che cosa hai in mente?»
«Che ci proteggiate – in primo luogo me e un altro mago, ma anche alcuni cavalieri e gente di strada di Hastarl – dagli incantesimi mortali sferrati dai signori maghi… e forse anche da altre magie esercitate da lontano. Proteggeteci, e noi combatteremo».
«Quanto sei potente?» domandò uno degli arcieri. «Ci sono molti signori maghi, e sarebbe una follia sostenerti in un attacco ad Athalgard, solo per ritrovarci assaliti da maghi infuriati dopo che ne hai uccisi uno o due – e sei stato sconfitto».
«Ho distrutto l’arcimago che governava il Calishar non molto tempo fa», rispose El tranquillamente.
«Abbiamo udito molte favole su come è andato incontro alla morte, persino i signori maghi hanno affermato di aver operato la sua distruzione, sebbene dicano di essersi coalizzati per ucciderlo», asserì un altro elfo. «Con rispetto, è nostro dovere verificare i tuoi poteri».
El rimase impassibile. «Che tipo di prova avete in mente?»
«Uccidi per noi un signor mago», rispose fermamente un altro abitante della foresta, seguito da un coro d’approvazione.
«Un mago qualsiasi?»
«Uno in particolare – il suo nome è Taraj – continua a sorvegliare la nostra foresta e si diverte ad assumere forme di animali per cacciare. Uccide solo per il piacere di farlo, e strazia non solo la sua preda, bensì tutte le creature della foresta che incontra. Sembra godere di qualche protezione contro i nostri incantesimi e i nostri archi. Se riuscirai a distruggere Taraj, gran parte della nostra gente te ne sarà riconoscente e otterrai molto più aiuto di qualche arco e di qualche incantesimo offerti da una manciata di giurati».
«Portatemi nei luoghi di caccia di Taraj, e lo distruggerò», promise El. «Quali sono le sue prede preferite?»
«Gli uomini», rispose Braer tranquillamente, mentre si incamminava giù per il pendio ed entrava nella foresta. Senza cerimonie gli altri elfi lo seguirono. Elminster roteò gli occhi una volta, ma mantenne il loro passo, sentendo una strana esultanza salirgli dal profondo. Il peso familiare della Spada del Leone gli urtava il petto, e le sue dita la cercarono e l’afferrarono quasi ferocemente. Finalmente – dopo tanto – la pulizia di Athalantar era iniziata…
«Liberatelo», ordinò il signore mago, agitando il fondo del vino nelle profondità del suo calice.
«Signore», esclamò la serva con un inchino e corse via. Taraj la guardò allontanarsi e sorrise. Era il mago che più si era avvicinato a diventare padrone di quella splendida terra di foreste e di colline erbose… ottimo territorio di caccia. Se solo Murghom fosse stata così, non avrebbe dovuto sopportare quei maledetti inverni.
Andò alla finestra per osservare il terrorizzato venditore ambulante, proveniente dal lontano Luthkant, che fuggiva attraverso la campagna ed entrava nella macchia circostante. Talvolta cacciava i suoi prigionieri come fossero cervi, abbattendoli con lance scagliate da cavallo. Disprezzava le armature, ma cavalcava sempre avvolto da incantesimi protettivi. Quel giorno, tuttavia, avrebbe preso le sembianze di un leone, oppure… sì, di un gatto della foresta! «Pantera», come lo chiamavano dalle sue parti.
Taraj posò il calice vuoto, si tolse la tunica, e si avviò nudo nella stanza degli incantesimi per studiare quello che lo avrebbe trasformato. Ciò avrebbe dato all’uomo più tempo per scappare.
L’incantesimo serpeggiò e bruciò confortevolmente nella sua mente. Taraj provò la medesima eccitazione crescente che sentiva ogni qualvolta si apprestava a cacciare. Si inchinò alla sua immagine riflessa nello specchio. «Taraj Hurlymm dalla lontana Murghom, signor mago e uomo crudele», si presentò a una festa immaginaria, con sorriso affettato. La sua immagine ricambiò il sorriso, sembrando soddisfatta quanto lui. Taraj sbatté le palpebre e mosse le braccia, facendo sollevare i muscoli delle spalle. Si ammirò per un istante, poi si mise una tunica e batté con le nocche un gong a muro. La serva fu lenta ad arrivare; Taraj si disse di ricordarsi di sfregiarla con un artiglio quando fosse tornato, per incuterle un po’ di timore.
«Fa’ che mi aspetti una festa al mio ritorno», ordinò, «al sorgere della luna. E chiama almeno quattro donne, che non ho mai visto prima, affinché la condividano con me».
Agitò la mano in segno di congedo, e la guardò inchinarsi e correre via. Bene, ora… ne avrebbe fatto la quinta consorte per quella notte, e le avrebbe dato una lezione. Essere a letto con un uomo che poteva cambiare forma era piacevole e pericoloso.
Taraj sogghignò e scese impettito le scale del giardino. Gli piaceva iniziare ogni caccia in quel luogo, sotto la statua attenta del Signore delle Bestie. Come al solito, appese la sua tunica sopra la testa ringhiante del monumento e percorse i viali erbosi costeggiati dai fiori, pronunciando lentamente l’incantesimo, assaporando il momento in cui il suo corpo si sarebbe fuso, gonfiato, e avrebbe cambiato forma. Quel momento giunse. I denti si trasformarono in lunghe zanne, le cosce si abbassarono e si ispessirono, le spalle si spostarono poderosamente, e una lucida pantera nera balzò nell’erba alta al margine del giardino.