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Angarn Dunharp, dalla ballata Quando i maghi vanno in guerra.
Anno della Spada e delle Stelle

Le foglie frusciarono. A quell’impercettibile rumore Helm si voltò bruscamente, la mano sull’elsa. Da dietro un albero sbucò silenziosamente l’elfo guerriero che conosceva col nome di Ruvaen. Il mantello grigio, tanto difficile da vedere, turbinava attorno a lui. Questi era accompagnato da un altro elfo, e le loro facce immobili tradivano un umore più scuro del solito.

«Che cosa c’è?», domandò semplicemente Helm. Né gli elfi né i cavalieri amavano sprecare le parole.

Ruvaen gli porse qualcosa che occupava tutta la sua mano – un oggetto chiaro, incolore, dai bordi smussati, simile a un enorme diamante, con attaccata qualche traccia di muschio. Il cavaliere guardò in basso e inarcò le sopracciglia in una domanda inespressa.

«Un cristallo magico. Utilizzato dai maghi umani», affermò Ruvaen freddamente.

«I signori maghi», esclamò Helm con aria truce. «Dove l’avete trovato?»

«In un avvallamento non lontano da qui», rispose l’altro elfo, indicando l’oscurità della foresta.

«Uno dei tuoi uomini lo nasconde sotto il muschio», aggiunse Ruvaen. «Quando non lo usa».

Helm Spadadipietra emise un lungo sospiro. «Dunque potrebbero essere al corrente dei nostri piani e ora staranno forse ridendo di noi».

I due abitanti della foresta non risposero. Ruvaen mise delicatamente il cristallo nella mano callosa del cavaliere, gli toccò la spalla, e affermò: «Attenderemo lassù, negli alberi… se dovessi aver bisogno di noi».

Helm annuì, guardando il cristallo nella sua mano. Poi sollevò la testa per scrutare la foresta: Chi dei suoi uomini andava più spesso a liberarsi in quella direzione?

Il suo volto temprato mutò, si indurì. Helm infilò il cristallo nella parte anteriore della tunica, si voltò, ed emise un breve grugnito. Uno dei suoi uomini, che faceva a pezzi un cervo a qualche passo da lui, sollevò lo sguardo. I loro occhi s’incontrarono attraverso gli alberi, ed Helm annuì. L’uomo si voltò e grugnì a sua volta.

Presto furono tutti radunati: tutti cavalieri che aveva portato con lui nelle profondità della Grande Foresta. Tutti coloro che ancora osavano agitare un’arma contro i signori maghi, aggrappati allo scudo sottile del mistero degli elfi, in cambio di spade e archi per tenere lontano le asce dei taglialegna che, incontrastati, avrebbero infierito sulla foresta per estendere il regno di Athalantar.

La loro magia li nascondeva ai maghi che governavano il regno, ma non era adatta a una battaglia di incantesimi… E la minaccia di incantesimi elfi molto potenti aveva tenuto ampiamente a bada i signori maghi, quanto meno fino ad allora. E aveva dato tempo a Helm di pianificare una rivolta che avrebbe potuto – forse, con l’aiuto degli dei – abbattere la tirannia, e restituirgli il regno meraviglioso che aveva amato e per il quale aveva combattuto molto tempo prima. Perciò avevano lottato, organizzando sortite durante la notte, per poi dileguarsi tra gli alberi o perire per tormenti magici, mentre gli anni trascorrevano lunghi ed Helm diventava sempre più disperato vedendo l’Athalantar della sua giovinezza svanire lentamente.

I rigidi inverni e la perdita degli amici lo avevano indurito e gli avevano insegnato la pazienza. Quel cristallo, ora, cambiava le cose. Se i signori maghi conoscevano il loro numero, i loro nomi, i loro schemi, e i loro nascondigli, avrebbero dovuto colpire rapidamente, adesso o mai più, per avere la possibilità di lasciare qualcosa in più che tombe senza nome e cibo per i lupi.

Attese, in silenzio, il viso impietrito, finché il più inquieto dei suoi uomini – Anauviir, naturalmente – non parlò. «Ehi, Helm, che succede?»

Senza parlare, Helm si voltò verso Halidar, estraendo il cristallo. L’uomo divenne improvvisamente pallido in volto, balzò in piedi, e si voltò per fuggire – e poi annaspò e si accasciò lentamente contro Helm. Il vecchio cavaliere rimase immobile mentre il traditore scivolava lentamente contro il suo petto per crollare sul terreno della foresta. Il pugnale di Anauviir fuoriusciva dalla gola di Halidar, proprio sotto la sua bocca contorta. Helm lo estrasse senza proferire parola, lo pulì, e lo restituì al proprietario. Halidar era sempre stato svelto… e Anauviir ancor più di lui. Helm sollevò il cristallo affinché tutti lo vedessero.

«I maghi ci stavano osservando», affermò freddamente. «Forse da anni». Tutt’intorno a lui i cavalieri sbiancarono. «Ruvaen», chiese Helm, tenendo il cristallo alzato, «che cosa ne possiamo fare?»

Alcuni guerrieri sollevarono involontariamente lo sguardo, sebbene ormai sapessero che non avrebbero visto altro che rami e foglie, e una voce musicale rispose: «Se usato correttamente, può bruciare la mente di un signor mago».

Vi fu un mormorio d’approvazione, ed Helm lanciò il cristallo nei rami sopra di lui. L’oggetto non ricadde.

Con la mano ancora alzata, Helm guardò i suoi uomini. Sporchi, gli occhi scuri, armati come le guardie del corpo mercenarie che i signori bassi e grassi ingaggiavano per conferirsi magnificenza. Essi ricambiarono il suo sguardo, truci e macilenti. Helm li amava tutti. Se avesse avuto un’altra quarantina di guerrieri come quelli, avrebbe potuto fondare da solo una nuova Athalantar, maghi o non maghi. Ma non li aveva. Quaranta sono troppo pochi, pensò. No – quarantuno, ora…

«State calmi, cavalieri». La voce cadenzata di Ruvaen provenne inaspettatamente dagli alberi sopra di loro. «Si avvicina un uomo che vuole parlare con voi. Non intende farvi del male».

Helm sollevò lo sguardo, sbalordito. Gli elfi non sopportavano che altri umani si avventurassero nel cuore della foresta… E poi qualcosa si materializzò da dietro un albero vicino. Anauviir lo vide nel medesimo istante di Helm e sollevò la spada in sua difesa. Poi la figura tenebrosa avanzò e le nebbie dell’incantesimo svanirono.

Il vecchio cavaliere rimase a bocca aperta, attonito.

«Lieto di rivederti, Helm», esclamò una voce che non avrebbe mai pensato di risentire.

Non l’aveva più visto da allora… sicuramente il ragazzo era morto per mano di qualche mago… ma no… Helm deglutì, barcollò, e poi cadde in ginocchio, offrendo al giovane la sua spada. I suoi uomini emisero mormorii perplessi.

«Chi è, Helm?» domandò bruscamente Anauviir, la spada alzata, mentre scrutava quell’uomo magro, dal naso aquilino. Solo un mago o un sommo sacerdote avrebbe potuto camminare sull’aria in quel modo.

«Alzati, Helm», esclamò tranquillamente Elminster, appoggiando una mano sull’avambraccio del vecchio guerriero.

Il cavaliere si alzò, e rivolto ai suoi uomini ordinò: «Inginocchiatevi se siete veri cavalieri di Athalantar… poiché questo giovane è Elminster figlio di Elthryn, l’ultimo principe del regno!»

«Un signore mago?», domandò qualcuno dubbioso.

«No», rispose El pacatamente. «Un mago che necessita del vostro aiuto per distruggere i signori maghi».

Lo fissarono immobili – finché, uno alla volta, incontrarono lo sguardo furioso di Helm, e si inginocchiarono.

Elminster attese fin quando l’ultimo ginocchio – quello di Anauviir – toccò il terreno ricoperto di foglie, e poi invitò: «Alzatevi, tutti. Al momento non sono principe di nulla, e ho bisogno di alleati, non di cortigiani. Ho imparato sufficienti incantesimi per distruggere qualsiasi mago, credo, ma so che quando uno di loro si trova nei guai, chiama tutti gli altri e in poco tempo ne avrei alle calcagna più di quaranta».

Si udirono risate fredde, e i cavalieri avanzarono automaticamente. Helm lo lesse nei loro occhi e lo sentì dentro di lui: per la prima volta, da anni, avevano una speranza reale.

«Quaranta signori maghi sono troppi per me», continuò El, «e comandano fin troppi soldati per i miei gusti. Gli elfi hanno accettato di combattere con me nei giorni che verranno, per ripulire questa terra per sempre – e spero di trovare altri alleati ad Hastarl».