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«Abituati», esclamò Farl con un sogghigno. «Le fogne sono il solo accesso sotto le mura del castello».

«Non conosci i passaggi segreti?», rombò Helm, osservando i muri gocciolanti. I rifiuti galleggiavano oltre il suo mento e arricciò il naso quando uno dei cavalieri, dietro di lui, iniziò a vomitare.

«Sì», rispose Farl dolcemente, «ma temo che li conoscano anche i signori maghi. Chi tenta di usarli finisce sempre, come per magia, nelle stanze degli incantesimi. Abbiamo perso molti concorrenti in quel modo».

«Non ne dubito, chiacchierone», esclamò Helm stizzosamente, cercando di mantenere asciutta la spada. Il sudiciume turbinava e scorreva oltre il suo corpo, mentre avanzava immerso nell’acqua fino al petto, domandandosi perché gli elfi, che avrebbero potuto aprire un varco tra le acque, avessero scelto di nascondersi nelle vicinanze, e svolgere la loro azione protettiva dal loro nascondiglio… che era in qualche luogo più asciutto.

«Ecco il luogo», esclamò Farl, indicando un punto nell’oscurità. «In questo condotto sono stati ricavati degli appigli perché in cima vi è una stanza nella quale si incontrano sei cambuse, che si intasa sempre e deve essere ripulita ogni primavera. Ora ricorda, Anauviir: le stanze di Briost possono essere raggiunte da tutte le cambuse che si trovano sulla sinistra… che è questa mano…»

«Grazie, ladro», grugnì Anauviir. «So distinguere la destra dalla sinistra, sai».

«Beh, voi siete cavalieri», esclamò Farl allegramente. «E se i nobili di Hastarl dovessero…»

«Dove conducono le altre cambuse?», lo interruppe il cavaliere. Helm sogghignò vedendo l’espressione del suo compagno.

«A due stanze usate da apprendisti», rispose Farl, «ma è mattino; saranno alzati per preparare la festa mattutina e il bagno per i padroni… e l’ultimo buco conduce a una specie di sala di lettura, che dovrebbe essere vuota… Io ed Helm proseguiremo fino al prossimo condotto, che porta alle stanze di Alarashan; e il Principe Elminster ha promesso di farsi vivo se il castello insorge, per attirare su di lui l’attenzione dei maghi… ed evitare che attacchino noi… Qualche domanda?»

«Sì», esclamò uno dei cavalieri, sputando nell’acqua. «Come fanno i ladri a sgraffignare qualcosa ad Hastarl? Derubano solo gente sorda?»

L’apprendista emise un piccolo grido. Alarashan aggrottò la fronte. Preferiva ragazze volenterose, ma Undarl gli aveva affibbiato quel giovane idiota… senza dubbio una spia, tanto più che era negato per la magia. Quando non rompeva le cose, provvedeva a rovinare i suoi incantesimi, e…

Il mago guardò nelle latrine. Ortran era seduto sulla tazza, i pantaloni abbassati sulle caviglie, e…

Alarashan si irrigidì. Il suo apprendista era stato spinto via, da qualche cosa – qualcuno! – da sotto. Fece qualche passo avanti, estraendo una bacchetta magica dalla cintura, quando il corpo di Ortran cadde contro il muro e la lama sanguinante che l’aveva ucciso si ritirò dal buco della latrina.

Alarashan puntò la bacchetta, poi si fermò. Che cosa avrebbe impedito a quel qualcuno di infilzargli una spada in faccia, se si fosse sporto sopra il buco? No, avrebbe lasciato che emergesse, e l’avrebbe ucciso non appena fosse uscito. Si acquattò, in attesa.

E parte del muro dietro di lui si spostò silenziosamente. Alarashan ebbe il tempo di girarsi e guardare sbalordito il pannello segreto del quale non sapeva nulla, prima che una clava si abbassasse violentemente sulla sua spalla, e la bacchetta gli scivolasse dalle dita intorpidite e brucianti.

Briost non concesse tempo alla paura quando l’uomo dall’armatura sudicia sbucò dal suo armadio con la spada sguainata. Sollevò una mano, azionò il suo anello, e si spostò lateralmente per dare all’uomo morente sufficiente spazio per cadere.

Il secondo assalitore produsse uno sguardo sorpreso sul viso del mago, il cui anello scintillò una seconda volta. Qualche cosa, tuttavia, scintillò alle spalle dell’uomo cadente – per tutti gli dei! Il pugnale per poco non gli cavò un occhio. Si scansò e sentì un forte colpo sulla guancia. Il coltello proseguì la sua corsa, e mentre il mago si raddrizzava per affrontare gli uomini che si stavano riversando numerosi fuori dalle latrine, sentì umidità sulla sua faccia.

Si portò una mano al volto, la ritrasse con le dita color cremisi, macchiate del suo stesso sangue, e d’un tratto si rese conto di non avere il tempo di concedersi tali lussi….

Troppo tardi, le spade lo trafissero da tutte le direzioni.

Il cristallo scintillò. Ithboltar sollevò lo sguardo oltre a esso e con gesto imperioso invitò l’apprendista spaventata a sedersi. Nanatha sedette in silenzio, mentre il Maestro, un tempo tutore di tutti i signori maghi, si alzò per scrutare il cristallo.

Questo si illuminò nuovamente. «Entrambi… no…» Ithboltar grugnì e si protese per toccare qualcosa che Nanatha non poté vedere, sotto la sua scrivania. Pronunciò una parola a bassa voce, e la stanza tremò sotto il rintocco improvviso di un grande gong.

«Siamo stati attaccati», sibilò ferocemente il Maestro mentre un coro di campane echeggiava e rimbombava in tutto il castello. «Briost? Briost, rispondimi!» Si protese sopra il cristallo, borbottando e d’un tratto spalancò gli occhi per ciò che vide nelle profondità della sfera, poi infilò una mano nel davanti della tunica, strappandola nella fretta disperata. Nanatha vide i peli grigi su un petto incavato mentre Ithboltar estraeva ciò che stava cercando: una sorta di zucchetto adorno di gemme. Se lo mise in testa e i capelli spararono fuori in tutte le direzioni. In un altro momento la donna avrebbe riso nel proprio intimo per l’aspetto ridicolo del vecchio arcimago, ma non ora. Era troppo terrorizzata… da qualsiasi cosa avesse infuso tanta paura al Maestro, il più potente di tutti i signori maghi.

Ithboltar eseguì rapidamente i gesti di un incantesimo che aveva sperato di non dover mai usare, e la stanza turbinò fra i suoni tintinnanti di cristalli in frantumi. Nanatha rimase a bocca aperta.

All’interno della stanza comparvero improvvisamente cinque signori maghi dallo sguardo perplesso.

«Che cos’hai…?»

«Come hai fatto a port…?»

«Perché…?»

L’arcimago alzò una mano per zittirli. «Insieme abbiamo la possibilità di affrontare questa minaccia. Da soli, siamo spacciati».

Le campane suonarono di nuovo, e i soldati si alzarono con un coro d’imprecazioni. «Non accade mai», protestò Riol, sparpagliando i dadi con gli stivali mentre scivolava oltre il tavolo e correva su per la scala.

«Bene, sta accadendo in questo momento», brontolò Sauvar, la Prima Spada, proprio dietro di lui. «E puoi star certo che qualunque cosa spaventi una decina di signori maghi, e forse più, è una cosa di cui dovremmo aver paura anche noi!»

Riol aprì la bocca per rispondere, ma qualcuno uscì da un buio passaggio laterale e vi infilò una spada, la cui lama scintillò quando uscì dalla parte opposta della testa di Riol; Sauvar si imbatté nell’arma prima di riuscire a fermarsi, e indietreggiò con un’imprecazione di sorpresa.

«Chi in tutti i Nove…?» iniziò a domandare.

«Tharl Bloodbar, cavaliere di Athalantar», fu la risposta laconica di un vecchio dalla barba incolta, la cui armatura sembrava fatta di pezzi raccattati su una decina di campi di battaglia, cosa che in realtà era. «Signor Tharl, per te».

La spada luccicante nella mano del cavaliere emise un rumore stridulo quando si scontrò con quella di Sauvar e la spinse da parte… e poco dopo la Prima Spada raggiunse il compagno sul pavimento del corridoio. Lo scalpiccio di stivali che si affrettavano su per le scale rallentò, e l’uomo sogghignò crudelmente nell’oscurità e ringhiò, «Avanti… chi di voi eroi è più ansioso di morire?»