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C’era un pannello diskey illuminato. «Sei-nove-nove-due» disse dal comlog la voce del caporale Kee.

Composi sulla tastiera la sequenza di numeri e il portello stagno si spalancò. Nella navetta c’era un robochirurgo, che si avviò con un semplice tocco. Calai con cautela il mio azzurro amico nel contenitore imbottito… ben attento a non sfiorare nemmeno il moncherino… mi assicurai che le piastre a pressione e le cinghie si sistemassero nel giusto modo, poi chiusi il coperchio. Ebbi proprio l’impressione di chiudere una bara.

I grafici non erano promettenti, ma il robochirurgo iniziò a lavorare. Per un momento guardai il monitor, poi mi accorsi che la vista mi si confondeva: mi stavo appisolando in piedi. Mi sfregai le guance e tornai al portello spalancato.

— Puoi stare sulla scala, ragazzina — dissi. — Se la navetta inizia il decollo, salta giù.

Aenea salì sulla scaletta e spense la torcia laser. La luce proveniva dal robochirurgo e da alcune spie luminose sul quadro di comando. — E poi? — disse Aenea. — Salto giù e la nave decolla, con te e A. Bettik. E poi cosa faccio?

— Punti al prossimo portale.

Il comlog disse: «Non vi biasimiamo, se siete così sospettosi». Era la voce del Padre Capitano de Soya.

Mi sedetti nel vano del portello, ascoltando la brezza frusciare tra i rami spezzati e gettati come copertura sulla navetta, e dissi: «Perché questo cambiamento d’idea e di programma, Padre Capitano? È venuto per catturare Aenea. Perché questo voltafaccia?». Ricordavo l’inseguimento nel sistema di Parvati, l’ordine di aprire il fuoco contro di noi su Vettore Rinascimento.

Invece di darci una spiegazione, la voce del prete-capitano disse: «Ho il suo tappeto hawking, Raul Endymion».

«Ah, sì?» risposi stancamente. Cercai di ricordare dove l’avevo visto per l’ultima volta… ah, già, su Mare Infinitum: volava verso la stazione piattaforma. «L’universo è piccolo» commentai, come se non me ne importasse niente. Nell’intimo, avrei dato qualsiasi cosa per riavere in quel momento il piccolo tappeto volante. Aenea si reggeva alla scaletta e ascoltava. Di tanto in tanto tutt’e due davamo un’occhiata per accertarci che il robochirurgo continuasse a funzionare.

«Sì» disse la voce del Padre Capitano de Soya. «E ho cominciato a capire un poco del suo modo di pensare, amico mio. Forse un giorno anche lei capirà il mio.»

«Forse» dissi. A quel tempo non lo sapevo, ma un giorno le parole del prete-capitano si sarebbero rivelate vere.

La voce divenne pratica, quasi brusca. «Pensiamo che il caporale Nemes abbia staccato il pilota automatico mediante un programma ausiliario di comandi manuali, ma non cercheremo di convincervi. Ritenetevi liberi di continuare il vostro viaggio e non abbiate timore: non tenteremo di catturare Aenea.»

«Come possiamo fidarci?» replicai. Cominciavo a sentire il dolore delle ustioni. In un minuto avrei trovato l’energia di rovistare nei depositi sopra il robochirurgo per scoprire se la navetta aveva un medipac. Ero sicuro che l’avesse.

«Lasceremo questo sistema» disse il Padre Capitano de Soya.

Arruffai le penne. «Come possiamo esserne sicuri?»

Il comlog ridacchiò. «Una nave che esce dal pozzo gravitazionale di un pianeta lascia un’evidente coda di fusione» disse. «Il telescopio mostra che al momento avete in cielo solo nuvole sparse. Ci vedrete.»

«Vi vedremo lasciare l’orbita bassa» replicai. «Come sapremo che avete effettuato la traslazione fuori del sistema?»

Aenea mi abbassò il braccio e parlò al comlog. «Padre? Dove andrà?»

Un istante di silenzio. «Torno su Pacem» disse alla fine de Soya. «Abbiamo una delle tre navi più veloci dell’universo e con il mio amico caporale abbiamo riflettuto seriamente sulla possibilità di andare… altrove. Ma in fin dei conti tutt’e due siamo soldati. Della flotta della Pax e dell’esercito di Cristo. Torneremo su Pacem e risponderemo alle domande… affronteremo ciò che dovremo affrontare.»

Il Sant’Uffizio dell’Inquisizione aveva gettato la sua ombra perfino su Hyperion. Mi vennero i brividi… e non solo per il vento freddo che soffiava dal mucchio di ceneri dell’Albero Mondo.

«Inoltre» continuò de Soya «abbiamo qui un compagno che non ha superato la risurrezione. Dobbiamo tornare su Pacem per le cure mediche.»

Guardai il ronzante robochirurgo e, per la prima volta in quel giorno che pareva non finire mai, credetti che il prete lassù non fosse un nemico.

«Padre de Soya» disse Aenea, tenendomi ancora la mano per parlare nel comlog. «Cosa le faranno? A lei e agli altri?»

Di nuovo un risolino, sopra la statica. «Se saremo fortunati, ci metteranno a morte e poi ci scomunicheranno. Se saremo sfortunati, invertiranno l’ordine di questi eventi.»

Aenea non ne fu divertita. «Padre Capitano de Soya… caporale Kee… venite giù e unitevi a noi. Rimandate su Pacem la nave col vostro amico e varcate con noi il portale seguente.»

Stavolta il silenzio si protrasse, tanto che pensai all’interruzione del collegamento su raggio compatto. Poi giunse la voce pacata di de Soya: «Sono tentato, mia giovane amica. Siamo tentati tutt’e due. Mi piacerebbe viaggiare, un giorno, per teleporter e mi piacerebbe ancora di più arrivare a conoscerti. Ma siamo fedeli servitori della Chiesa, mia cara, e il nostro dovere è chiaro. Mi auguro che quella… aberrazione… incarnata nel caporale Nemes sia stato un errore. Ma se non torneremo, non lo scopriremo mai.»

All’improvviso ci fu un’esplosione di luce. Mi sporsi dal portello e con Aenea guardai la coda di fusione biancazzurra attraversare il cielo fra le sparse nuvole.

«A parte questo» giunse la voce di de Soya, ora tesa come a causa di un carico gravitazionale «senza la navetta non abbiamo davvero modo di scendere giù da voi. Quella creatura, Nemes, ha danneggiato le tute da combattimento, quindi non possiamo fare neppure quel disperato tentativo.»

Aenea e io eravamo ora seduti sul bordo del vano della camera stagna e guardavamo la coda di fusione allungarsi e diventare più brillante. Un pensiero mi colpì come pugno allo stomaco. Sollevai il comlog. «Padre Capitano, quella… Nemes… è morta? L’abbiamo vista sprofondare nella lava fusa, ma non potrebbe scavarsi un varco, anche in questo momento?»

«Non ne abbiamo idea» rispose il Padre Capitano de Soya, superando il sibilo del raggio compatto. «Ma vi consiglierei di lasciare al più presto il pianeta. La navetta è il nostro dono d’addio. Usatela e buon pro vi faccia.»

Guardai per un minuto il panorama di lava nera. Ogni volta che il vento faceva stormire rami secchi o sfregava cenere su cenere, ero sicuro che il rumore indicasse l’arrivo di quella donna infernale.

«Aenea» disse la voce del prete-capitano.

«Sì, Padre Capitano?»

«Fra un secondo spegneremo il raggio compatto… in ogni caso, saremo fuori vista… ma devo dirti una cosa.»

«Quale, Padre Capitano?»

«Bambina, se mi ordinano di tornare a cercarti… non a ucciderti, a cercarti… be’, sono un ubbidiente servitore della Chiesa e un ufficiale della flotta della Pax…»

«Capisco, Padre» disse Aenea. Fissava ancora il cielo, dove la coda di fusione si affievoliva all’orizzonte orientale. «Addio, Padre. Addio, caporale Kee. Grazie.»

«Addio, figliola» disse il Padre Capitano de Soya. «Dio ti benedica.» Tutt’e due udimmo il fruscio di una benedizione. Poi il raggio compatto s’interruppe di colpo e ci fu solo il silenzio.

— Entriamo — dissi a Aenea. — Ce ne andiamo. Subito.

Chiudere i portelli della camera stagna fu abbastanza facile. Ancora una volta controllammo il robochirurgo… tutte le spie luminose erano color ambra, ma non palpitavano… e poi ci legammo nelle cuccette antiaccelerazione. Gli schermi per coprire il visore esterno erano alzati e potevamo scorgere i neri campi di lava. A est si vedevano alcune stelle.