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— Bene — dissi, guardando la miriade d’interruttori, diskey, piastre tattili, pannelli a ologramma, monitor, schermi piatti, pulsanti e aggeggi vari. Fra le cuccette c’era una bassa consolle e due leve di comando munite di pomolo con nicchie per le dita e altri schemi diskey. C’erano almeno sei prese dove inserirsi direttamente. — Bene — ripetei, guardando la pallida bambina che pareva resa ancora più piccola dal sediolo imbottito. — Hai qualche idea?

— Usciamo e andiamo a piedi?

Sospirai. — Potrebbe essere il piano migliore, se non fosse per… — Col pollice indicai il ronzante robochirurgo.

— Lo so — disse Aenea. Si lasciò andare contro le cinture di sicurezza. — Scherzavo.

Le toccai la mano. Come sempre, provai una scarica elettrica… una sorta di déjà vu fisico. Ritrassi la mano. — Maledizione, più avanzata è la tecnologia, più semplice dovrebbe essere il suo uso. Questa pare la cabina di pilotaggio di un caccia del XVIII secolo della Vecchia Terra.

— È fatto per essere guidato da professionisti — disse Aenea. — Ci serve solo un pilota professionista.

«Uno ce l’avete» cinguettò il comlog. Parlava con la sua solita voce.

— Sai pilotare una navetta? — domandai, diffidente.

«In essenza, sono una nave» rispose con orgoglio il comlog. La fibbia del cinturino scattò e si aprì. «Basta inserire lo spinotto rosso in una qualsiasi interfaccia rossa.»

Collegai il comlog al quadro di comando. Immediatamente il pannello si animò, i monitor si accesero, gli strumenti effettuarono l’autoverifica, i ventilatori cominciarono a ronzare e l’onnicomando vibrò. Un monitor a schermo piatto al centro della plancia portastrumenti si accese di luce gialla e la voce del comlog disse: «Dove desiderate andare, signor Endymion, signorina Aenea?».

La bambina mi batté sul tempo. — Il prossimo portale — rispose, calma. — L’ultimo.

58

Dall’altra parte del portale era giorno. Avanzammo lentamente, librati sopra il fiume. Il comlog ci aveva mostrato come usare i comandi, mentre si occupava degli altri sistemi della navetta e ci evitava di commettere stupidi errori. Aenea e io ci scambiammo un’occhiata e spostammo a poco a poco la navetta sopra gli alberi. A meno che quella donna infernale non fosse anche in grado di varcare i teleporter, pensai, eravamo al sicuro.

Ci era parso strano, compiere l’ultimo tratto del viaggio senza usare la zattera, ma tanto lì la zattera non sarebbe andata bene in ogni caso. Il fiume Teti era diventato poco più d’un ruscello fra alte rivedi sicuro era profondo non più di dieci centimetri e largo solo tre o quattro metri. Serpeggiava in un terreno molto boscoso. Gli alberi erano insoliti e familiari allo stesso tempo… per la maggior parte decidui, come i chalma e i weir, ma le foglie erano larghe e fitte come quelle delle mezzequerce, di color giallo vivo e rosso brillante, e ricoprivano come un tappeto le rive del ruscello.

Il cielo era di un piacevole azzurro… non il blu di Hyperion, ma un colore più cupo di quello della maggior parte dei pianeti di tipo terrestre visitati in quel viaggio. Il sole era grande e luminoso, ma non troppo intenso. La luce del sole entrava dallo schermo visore e ci cadeva in grembo.

— Chissà com’è fuori — dissi.

Il comlog… la navetta… qualsiasi cosa fosse adesso… pensò di sicuro d’essere stato chiamato in causa. Il monitor centrale palpitò e presero a scorrere i dati.

Atmosfera: 0,77 N2

0,21 O2

0,009 Ar

0,0003 CO2

H2O variabile (-0,01)

Pressione in superficie: 0,986 bar

Campo magnetico: 0,318 gauss

Massa: 5,976 x 1024 kg

Velocità di fuga: 11,2 km/s

Gravità in superficie: 9,80 m/s

Inclinazione dell’asse magnetico: 11,5°

Momento di dipolo: 7,9 x IO25 gauss/cm3

«Curioso» disse il comlog. «Improbabile coincidenza.»

— Cosa? — domandai. Ma già l’immaginavo.

«I dati del pianeta corrispondono quasi esattamente a quelli della Vecchia Terra. È molto insolito che un pianeta assomigli tanto alla…»

— Basta! — gridò Aenea, indicando l’esterno. — Atterra! Subito, per favore.

Se avessi pilotato io la navetta, sarei andato a schiantarmi contro gli alberi; ma il comlog prese il comando, trovò un tratto piatto e solido a venti metri dal letto del ruscello fiancheggiato d’alberi e atterrò senza il minimo scossone. Aenea già componeva il codice d’apertura del portello stagno, mentre io fissavo ancora dallo schermo di prua il tetto piatto della casa al di là degli alberi.

Prima che potessi aprire bocca, Aenea era già scesa. Mi soffermai a controllare il robochirurgo, notai con soddisfazione che parecchie spie luminose erano passate al verde e dissi al comlog: — Tienilo d’occhio. E tieniti pronto per un rapido decollo.

«Senz’altro, signor Endymion.»

Giungemmo alla casa scendendo il corso d’acqua e poi attraversandolo. Non è facile descrivere quell’edificio, ma ci proverò.

La casa in sé era stata costruita sopra una piccola cascata di soli tre o quattro metri che formava un laghetto alla base. Foglie gialle galleggiavano sul laghetto ed erano portate via dalla corrente che si rinforzava. Le caratteristiche più evidenti della casa erano i tetti sottili e le terrazze rettangolari che parevano sporgere sul torrente e sulla cascata, quasi a sfidare la forza di gravità. La costruzione pareva di pietra, vetro, cemento e in parte acciaio. A sinistra delle terrazze, si alzava per tre piani un muro di pietra con una finestra angolare di vetro alta quasi quanto la parete stessa. L’intelaiatura metallica era dipinta d’arancione chiaro.

— A sbalzo — disse Aenea.

— Prego?

— Così l’architetto definisce quelle terrazze sospese. A sbalzo. Ripetono le cornici calcaree esistite qui per milioni di anni.

Mi fermai a guardare la bambina. La navetta era fuori vista, nascosta dagli alberi alle nostre spalle. — È la tua casa — dissi. — Quella di cui sognavi ancora prima di nascere.

— Sì — ammise Aenea. Le labbra le tremavano leggermente. — Ora so anche come si chiama, Raul — proseguì. — Fallingwater.

Le rivolsi un cenno d’assenso e fiutai l’aria. Il profumo era intenso: foglie marcescenti, piante vive, terriccio ricco e un certo aroma acuto. L’aria era molto diversa da quella di Hyperion, eppure, non so come, profumava di casa. — La Vecchia Terra — mormorai. — Possibile?

— Solo… la Terra — disse Aenea. Mi toccò la mano. — Entriamo.

Attraversammo il corso d’acqua, passando su di un ponticello a monte della casa; percorremmo il vialetto di ghiaia ed entrammo da una loggia con uno stretto passaggio. Era come entrare in una comoda caverna.

Ci fermammo nell’ampio soggiorno e chiamammo, ma nessuno rispose. Aenea attraversò come in trance il locale, toccò le superfici di legno e di pietra, mandò esclamazioni a ogni piccola scoperta.

In vari punti il pavimento era coperto di tappeti, in altri era di nuda pietra. Libri riempivano le basse scaffalature in almeno una nicchia, ma non sprecai tempo a controllare i titoli. Scaffali metallici correvano sotto il basso soffitto, ma erano vuoti, forse costituivano solo un motivo ornamentale. La parete opposta era occupata da un grande camino. Il focolare era di pietra grezza (forse la parte superiore del masso dove la casa pareva stare in equilibrio) e sporgeva di un paio di metri nella stanza.

Un grande fuoco scoppiettava nel focolare, malgrado il tepore della serena giornata autunnale. Chiamai di nuovo, ma il silenzio era opprimente. — Ci aspettavano — dissi, tentando una fiacca battuta. La mia unica arma, adesso, era la torcia laser in tasca.