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— Sì, ci aspettavano — disse Aenea. Andò alla sinistra del camino e posò le mani su di una sfera metallica incassata in un’apposita nicchia semisferica della parete di pietra. La sfera aveva un diametro di circa un metro e mezzo ed era dipinta di un vivido rosso rugginoso.

— Secondo l’architetto, era una caldaietta per scaldare il vino — disse piano Aenea. — Fu adoperata solo una volta… e il vino fu scaldato in cucina e portato qui. È troppo grande. E probabilmente la vernice è tossica.

— È questo, l’architetto che cercavi? — domandai. — Quello con cui conti di studiare?

— Sì.

— Pensavo che fosse un genio. Perché avrebbe progettato una caldaietta troppo grande e tossica?

Aenea si girò e sorrise. No… sogghignò! — I geni incasinano tutto, Raul. Pensa al nostro viaggio, se ne vuoi la prova. Su, guardiamo in giro.

Le terrazze erano belle, la vista sulla piccola cascata era piacevole. All’interno, i soffitti e gli aggetti erano bassi, ma in questo modo accrescevano semplicemente l’impressione di scrutare da una caverna, attraverso tutto quel vetro, il verdeggiante mondo della foresta. Nel soggiorno, un boccaporto di vetro e metallo, modellato a gradini sorretti da sbarre agganciate al pavimento superiore, portava a una più larga piattaforma di cemento sopra un laghetto nel corso d’acqua, a monte della cascata.

— Il trampolino — disse Aenea, come se vedesse qualcosa di ben noto.

— A cosa serve? — domandai, guardandomi intorno.

— A nessuno scopo pratico. Ma l’architetto l’ha considerato, sono parole sue, "assolutamente necessario da ogni punto di vista".

Le toccai la spalla. Aenea si girò e mi sorrise, non meccanicamente né svagatamente, ma con una vitalità quasi radiante.

— Dove siamo, Aenea?

— Fallingwater — rispose lei. — A Bear Run. Nella Pennsylvania occidentale.

— Una nazione?

— Una provincia. Cioè, uno stato. Uno degli Stati Uniti d’America. Continente nordamericano. Pianeta Terra.

— Terra — ripetei. Mi guardai intorno. — Dov’è la gente? Dov’è il tuo architetto?

Aenea scosse la testa. — Non lo so. Ma presto dovremmo saperlo.

— Quanto dobbiamo rimanere qui, ragazzina? — Pensavo di fare provvista di cibo, di armi e di altro materiale, mentre A. Bettik si riprendeva e prima di partire di nuovo.

— Qualche anno — rispose Aenea. — Non più di sei o sette, penso.

— Anni? — esclamai. Mi ero fermato sulla terrazza superiore, dove eravamo usciti, in cima alla rampa di scale. — Anni?

— Devo studiare con questo architetto, Raul. Devo imparare qualcosa.

— Sull’architettura?

— Sì. E su me stessa.

— E io cosa farò, mentre tu… impari qualcosa su te stessa?

Invece di rispondere con una battuta, Aenea annuì, seria. — Lo so. Non sembra giusto. Ma avrai qualcosa da fare, mentre io… cresco.

Rimasi in silenzio, aspettando che proseguisse.

— La Terra dev’essere esplorata. Mia madre e mio padre vi hanno fatto visita. Era idea di mamma che… leoni e tigri e orsi… le forze che rubarono la Terra prima che il TecnoNucleo potesse distruggerla… era idea di mamma che facessero esperimenti, qui.

— Esperimenti? Di che genere?

— Esperimenti sulla genialità, in gran parte. Ma forse "esperimenti sull’umanità" sarebbe una definizione migliore.

— Spiega.

Aenea indicò la casa. — Questo edificio fu completato nel 1937.

— A.D.?

— Sì. Sono sicura che fu distrutto nel XXI secolo, durante le rivolte classiste del Nordamerica. Chiunque ha trasferito qui la Terra, in qualche modo ha ricostruito la casa. Proprio come hanno ricostruito per mio padre la Roma del XIX secolo.

— Roma? — Mi pareva di starmene lì, con il pollice nell’orecchio per simulare un cornetto acustico, a ripetere le parole della bambina. Era proprio una di quelle giornate!

— La Roma dove John Keats trascorse i suoi ultimi giorni — disse Aenea. — Ma questa è un’altra storia.

— Già, l’ho letta nei Canti di tuo zio Martin. E non ci ho capito niente, per giunta.

Aenea mosse la mano in quel suo tipico gesto a cui cominciavo ad abituarmi. — Non lo capisco, Raul, ma chi portò qui la Terra, vi riporta anche persone, oltre alle vecchie città e agli edifici. Costoro creano… dinamica.

— Mediante la risurrezione? — Ero dubbioso.

— No… piuttosto… be’, mio padre era un cìbrido. La sua personalità risiedeva in una matrice IA, il suo corpo era umano.

— Ma tu non sei un cìbrido.

Aenea scosse la testa. — Sai benissimo che non lo sono. — Mi guidò più avanti sulla terrazza. Sotto di noi, il ruscello formava la piccola cascata. — Avrai altre cose da fare, mentre sarò… a scuola.

— Per esempio?

— Oltre a esplorare tutta la Terra e a capire che cosa queste… entità… combinano, dovrai andartene prima di me e recuperare la nostra nave.

— La nostra nave? — Decisi di togliere dall’orecchio il metaforico pollice. — Vuoi dire viaggiare per teleporter e riprendere la nave del Console?

— Appunto.

— E portarla qui?

Aenea scosse la testa. — Occorrerebbero alcuni secoli. Stabiliremo un luogo d’incontro nella vecchia Rete.

Mi grattai la guancia, sentendo la barba lunga. — Nient'altro? Nessuna piccola odissea decennale per tenermi occupato?

— Solo il viaggio alla Frontiera per vedere gli Ouster. Ma in quel viaggio verrò con te.

— Bene. Mi auguro che le avventure che ci aspettano si fermino a questo. Non sono giovane come una volta, sai.

Cercavo di metterla sul ridere, ma Aenea aveva lo sguardo intenso e serio. Mise la mano nella mia. — No, Raul — disse. — Questo è solo l'inizio.

Il comlog emise un trillo. — Cosa c'è? — dissi, con una fitta di preoccupazione per A. Bettik.

«Ho appena ricevuto sulla banda comune una serie di coordinate» comunicò la voce del comlog/nave. Pareva perplessa.

— Nessuna trasmissione audio/video?

«No, solo coordinate di viaggio e quota di crociera ottimale. È un piano di volo.»

— Per dove?

«Un punto di questo continente, circa tremila chilometri a sudovest della nostra posizione attuale» disse il comlog/nave.

Guardai Aenea. Mi rispose scuotendo la testa.

— Nessuna idea? — le domandai.

— Nessuna idea. Non una certezza. Andiamo a gustarci la sorpresa.

Aveva ancora la mano nella mia. Non la lasciai, mentre tornavamo sul tappeto di foglie gialle e nel sole del mattino, verso la navetta in attesa.

59

Ho detto all'inizio che avresti letto questo scritto per la ragione sbagliata. Avrei dovuto dire invece che lo scrivevo per la ragione sbagliata.

Ho riempito questo susseguirsi continuo di giorni e notti e queste lisce pagine di micropergamena, scrivendo ricordi di Aenea, di Aenea bambina, senza una sola parola della sua vita nei panni del messia che di certo conosci e forse erroneamente adori. Ma non ho scritto queste pagine per te, lo scopro ora, e neppure per me stesso. Ho fatto rivivere nel mio scritto la bambina Aenea perché voglio che viva la donna Aenea… malgrado ogni logica, malgrado ogni fatto, malgrado ogni perdita di speranza.

Ogni mattina (ogni autoprogrammato ravvivarsi delle luci, dovrei dire) mi sveglio in questa scatola di Schròdinger tre metri per sei e mi sorprendo d'essere ancora vivo. Nella notte non c'è stato odore di mandorle amare.

Ogni mattina combatto la disperazione e la paura scrivendo queste memorie sulla mia tavoletta di scrittura e impilo le pagine di micropergamena man mano che si accumulano. Ma il riciclatore, in questo piccolo mondo, è limitato; può produrre solo una decina dì pagine alla volta. Così, appena termino una decina di pagine, passo le più vecchie nel riciclatore affinchè ne escano fogli nuovi dove scriverne altre. Il serpente che ingoia la propria coda. È follia. O l'assoluta essenza della sanità mentale.