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E… be’, ormai era venerdì, mezzogiorno; per ben ventiquattro ore non era successo niente, e niente sarebbe più successo.

Niente, infatti, capitò il venerdì; senonché Charlie lesse qualcosa che lo costrinse brutalmente ad uscire da quello stato di precario compiacimento.

Si trattava di un resoconto sul giornale.

Al ristorante si era seduto ad un tavolo su cui uno degli avventori che lo avevano preceduto aveva lasciato un giornale del mattino. Charlie lo sfogliò mentre aspettava che venissero a prendere la sua ordinazione. Aveva già dato una scorsa alla prima pagina quando era arrivata la cameriera. Guardò i fumetti mentre mangiava la minestra, poi, meccanicamente, passò alla pagina locale.

custode del museo sospeso dal servizio

Il conservatore ordina un’inchiesta

Mentre leggeva, il punto freddo alla bocca dello stomaco diventava sempre più grande e più freddo: eccola lì — la cosa — nero su bianco.

L’anitra selvatica era stata davvero nella bacheca, e nessuno riusciva a capire come fosse stata messa là dentro. Si era dovuto smontare il tutto per poter tirare fuori l’animale, e sulla bacheca — stuccata a tenuta d’aria per impedire alla polvere di entrare — non c’erano segni che indicassero una precedente manomissione: lo stucco era intatto.

A un guardiano, per ragioni che non risultavano molto chiare dall’articolo, erano stati dati tre giorni di sospensione. Dal modo in cui la storia veniva riferita si poteva dedurre che il conservatore del museo aveva sentito la necessità di fare qualche cosa al riguardo.

Dalla bacheca non mancava niente di qualche valore. Dopo la faccenda non si era più trovata una moneta cinese d’argento con un buco nel mezzo — un haikwan tael — la quale però, non valeva molto. Si pensava che fosse stata rubata da uno degli operai che avevano smontato la bacheca, o che fosse stata buttata via accidentalmente insieme ai frammenti del vecchio stucco.

Il cronista, che raccontava la cosa in tono umoristico, avanzava l’ipotesi che, probabilmente per via di quel buco, l’anitra aveva scambiato la moneta per una ciambella e se l’era mangiata. Concludeva dicendo che la miglior vendetta da parte del conservatore sarebbe stata quella di mangiarsi l’anitra.

Avevano chiamato la polizia, la quale però sembrava propensa a considerare l’intera faccenda come un tiro mancino — da chi e come giocato, non lo sapeva.

Charlie posò il giornale e rimase a guardare, fisso e cupo, nel vuoto.

Ma allora, non si era trattato di una doppia allucinazione, di un suo immaginare sia l’anitra che il custode. Soltanto ora che gli veniva dimostrata l’infondatezza di una simile ipotesi, Charlie capì quanto intensamente avesse contato su questa possibilità.

Adesso era di nuovo al punto di partenza.

A meno che…

No, era assurdo. Naturalmente, in teoria, anche l’articolo che aveva appena letto poteva essere un’allucinazione, ma… No, questo era un po’ troppo da mandar giù. Secondo un tal modo di ragionare, se fosse andato al museo a parlare con il conservatore, il conservatore stesso sarebbe stato un’allucin…

— La sua anitra, signore.

Charlie sobbalzò: per poco non cadde dalla sedia.

Poi vide la cameriera ritta accanto al tavolo, con un piatto in mano e si rese conto che la ragazza aveva parlato perché lui aveva spiegato il giornale sulla tovaglia e non c’era posto per mettergli davanti la pietanza.

— Non ha ordinato l’anitra arrosto, signore? Io…

Charlie si alzò in fretta, distogliendo gli occhi dal piatto.

— Scusi, — disse, — ho… ho… una telefonata da fare. — Porse alla sbalordita cameriera un biglietto da un dollaro ed uscì a grandi passi. Aveva ordinato veramente… Non proprio; aveva detto di volere la specialità della casa.

Mangiare anitra? Piuttosto avrebbe mangiato… no, neanche lombrichi fritti. Rabbrividì.

Tornò di corsa in ufficio, nonostante la mezz’ora di anticipo e si sentì meglio una volta entrato tra le quattro rassicuranti mura della Società Tipografica Hapworth. Non gli era capitato niente di straordinario, là dentro.

Non ancora.

VII

Ma Charlie Wills era un giovanotto di sana costituzione e alle due del pomeriggio la sua fame era tale che un fattorino dovette andare a comprargli un paio di panini. Che però Charlie non mangiò se non dopo averne sollevato la parte superiore ed averci guardato dentro. Non sapeva nemmeno lui che cosa si aspettava di trovarci, oltre il solito prosciutto cotto, il burro e la foglia di lattuga. Ma se — al posto di uno di questi ingredienti — ci avesse trovato, diciamo, una moneta cinese d’argento con un buco nel mezzo, non si sarebbe meravigliato più che tanto.

Fu un pomeriggio fiacco allo stabilimento e Charlie trovò il tempo di fare un bel po’ di riflessioni — e persino un po’ di ricerche. Si ricordò che, parecchi anni prima, era stato stampato lì nello stabilimento un testo di entomologia e, ricuperata la copia d’archivio, si mise a sfogliarla coscienziosamente in cerca di vermi alati. Scoprì alcuni esseri alati che si sarebbero potuti chiamare vermi, ma nessuno di questi assomigliava, sia pur vagamente, al lombrico con l’aureola. Neppure, beninteso, se egli prescindendo dal cerchietto d’oro, avesse cercato di giungere all’identificazione basandosi soltanto sul corpo con le ali.

Neanche un lombrico volante.

Non aveva lì a sua disposizione libri di medicina in cui scoprire — o fare il tentativo di scoprire — come si possa prendere una scottatura di sole senza il sole.

Aveva però cercato tael nel dizionario, scoprendo che un tael è l’equivalente di un liang, cioè un sedicesimo di un catty, e che il liang ufficiale è l’equivalente di un ettogrammo.

Niente di tutto questo gli sembrò particolarmente utile.

Poco prima delle cinque fece il giro degli uffici per salutare i colleghi, dato che era quello per lui l’ultimo giorno di lavoro prima delle due settimane di vacanza. I saluti furono naturalmente complicati dagli auguri per il suo imminente matrimonio — che sarebbe avvenuto nella prima delle due settimane di vacanza.

Dovette stringere la mano a tutti, fatta eccezione per la Peste che avrebbe visto con una certa frequenza nei giorni successivi. Dopo l’ufficio, infatti, se ne andò a casa con lei: cenava dai Pemberton, quella sera.

Fu una cena quieta, tranquilla, piacevole, che lasciò in lui la sensazione di star meglio di quanto non si fosse mai sentito dalla scorsa domenica mattina. Qui, nel calmo rifugio di casa Pemberton, le cose assurde che gli erano capitate sembravano così remote e cosi palesemente fantastiche da fargli quasi dubitare che fossero accadute.

Si sentì assolutamente, completamente certo che tutto fosse finito. Le cose accadono a tre per volta, non è vero? Se fosse accaduto qualcos’altro… Ma no.

Non accadde, quella sera.

Sollecita, Jane lo mandò a casa alle nove perché andasse a letto presto. Ma gli diede il bacio della buona notte con tanta tenerezza e, per di più, con tanto calore da farlo camminare per strada con la testa fra nuvole color di rosa.

Poi, d’improvviso — senza motivo, per così dire — Charlie si ricordò che il custode del museo era stato sospeso dal lavoro e stava perdendo tre giorni di paga per via della faccenda dell’anitra nella bacheca. E pensò che, se la faccenda dell’anitra, almeno indirettamente, era colpa sua, era forse il caso di presentarsi — glielo doveva, a quel tizio — ai direttori del museo e spiegar loro che il custode non era imputabile di niente e quindi non doveva essere multato.