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— A noi! — gridò Douglas, scattando in piedi.

Il Presidente sollevò una mano per indurlo alla calma. — Aspetta, Reilly. Lascialo finire.

— Se ci si pensa è logico — proseguì Gale. — Fra cinquecento anni ci sarà un’invasione dallo spazio. Sì, sì, può darsi che sul piano temporale in cui vi trovate a causa del nostro esodo questo non avvenga, ma i nostri studiosi sono convinti di sì, in quanto si tratta di un evento esterno, che esula dalle possibilità e dalla volontà degli uomini. Pur sapendolo, non potreste far niente per impedirlo. Quindi, avendo la certezza dell’invasione, perché dovreste restare qui ad aspettare di essere massacrati? Non sarebbe meglio fare come noi e tornare indietro nel tempo? Voi disponete di un margine di cinquecento anni, il che è un grande vantaggio rispetto a noi. Potrete fare i preparativi con calma — e non con l’acqua alla gola come noi — ritornare indietro agli albori della Terra. Sarebbe un nuovo punto di partenza per l’umanità. Nuove terre da scoprire…

— Ma questa è pura follia! — urlò Douglas. — Se noi, vostri antenati, ce ne andassimo in massa, voi non esistereste; e…

— Dimentichi quel che ha detto circa i diversi piani temporali — gli fece osservare Williams.

— Be’, io me ne lavo le mani — commentò Douglas rimettendosi seduto. — Non voglio più saperne di questa roba.

— Non potremmo tornare indietro insieme a voi perché siamo in troppi — disse Sandburg a Gale.

— Non insieme a noi, ma come abbiamo fatto noi — precisò Gale. — Se andassimo tutti insieme saremmo davvero in troppi. La popolazione mondiale è eccessiva, nella vostra epoca. Ma ci sarebbe il modo di ridurla drasticamente. Noi torniamo indietro di venti milioni di anni. Metà di voi potrebbero risalire a diciannove milioni, e l’altra metà a diciotto. Ogni gruppo sarebbe così diviso da un milione di anni, e non ci intralceremmo a vicenda.

— Non tenete conto di una una cosa — disse Williams. — La nostra presenza influirebbe sul futuro sviluppo dell’umanità. Noi adopereremmo il ferro, il carbone…

— No — lo interruppe Gale — se accettaste e faceste vostre la nostra morale, la nostra filosofia, la nostra tecnologia, in una parola il nostro punto di vista.

— Vorreste… indottrinarci? Persuaderci che l’energia atomica è l’unico…

— Se accettate di tornare indietro nel tempo sì, è indispensabile.

— Credo che a questo punto sia meglio sospendere la riunione — dichiarò il Presidente, alzandosi. — Dobbiamo prendere molti provvedimenti urgenti. Vi ringrazio per essere venuto insieme con la vostra bella figliola, signor Gale. Mi chiedo se, più tardi, potrò avere il privilegio di parlare ancora con voi.

— Certamente, sarà un piacere per me — dichiarò Gale. — E dovreste parlare anche con altri di noi, persone molto più esperte di me in grado di spiegarvi taluni aspetti della situazione che è necessario sappiate.

— Posso invitare voi e vostra figlia a essere miei ospiti? — disse il Presidente. — Mi farebbe molto piacere.

Allora Alice Gale parlò per la prima volta. Battendo le mani dalla felicità, disse: — Qui, alla Casa Bianca?

— Certo — rispose sorridendo il Presidente. — Qui alla Casa Bianca. Saremo davvero lieti di avervi con noi.

— Dovete perdonarla — intervenne il padre — ma dovete sapere che la Casa Bianca la interessa in modo particolare. Ha letto tutti i libri che è riuscita a trovare sull’argomento. Ne conosce la storia, l’architettura, tutto quanto la riguarda.

— Questo — dichiarò il Presidente — è un grande complimento per noi.

12

Continuava a uscire gente dai tunnel, ma adesso allo sbocco c’erano agenti della polizia militare che indicavano loro dove andare, e formavano cordoni per tenere a bada la folla di curiosi che si era radunata e minacciava di bloccare l’uscita. Un altoparlante abbaiava ordini e quando taceva si sentiva il chiacchierio di una radio lasciata accesa in una delle centinaia di auto parcheggiate lungo la via, sul bordo dei marciapiedi e fino nei giardini delle case. Camion, camionette e pullman militari andavano avanti e indietro, fermandosi per caricare e portar via i profughi. Ma usciva più gente di quanta i mezzi militari ne potessero caricare, e la folla di curiosi continuava a crescere e a premere.

Il tenente Andrew Shelby disse al maggiore Burns al radiotelefono: — Nonostante tutti gli sforzi riusciamo a trasportarne solo una minima parte. Cristo, non ho mai visto tanta gente insieme in vita mia! Le cose sarebbero un po’ più facili se riuscissimo ad allontanare i curiosi. Facciamo tutto il possibile, ma non si vogliono muovere e non abbiamo abbastanza uomini per sciogliere l’assembramento. Abbiamo chiuso al traffico civile tutta la zona e abbiamo rivolto continui appelli via radio perché tutti si tengano lontani, ma continuano ad arrivare macchine e le strade sono intasate. Non oso pensare cosa succederà al calare della notte. Arrivano o no le fotoelettriche che ci avete promesso?

— Sono per strada — disse Burns. — Resta sul posto, Andy, e cerca di fare del tuo meglio. Bisogna portar via tutti i profughi.

— Mi servono più mezzi.

— Vedrò di farveli avere — disse il maggiore. — Un’altra cosa. Sta arrivando una squadra di artiglieri con un cannone.

— Non ci servono cannoni. Perché lo mandano?

— Non lo so — rispose il maggiore. — So solo che sta arrivando. Nessuno mi ha detto perché.

13

— È impossibile credere a quello che ha detto — protestò Douglas. — È troppo assurdo e inverosimile. Pare un racconto di fantascienza. Ci stanno prendendo in giro, ve lo dico io.

— Dunque, tutta quella gente che esce dai tunnel non esiste, è inverosimile — ribatté calmo Williams. — Ci sarà pure una qualche spiegazione. Forse Gale è un po’ fantasioso, ma un fondo di verità dev’esserci in quel che ha detto, anche se, lo confesso, non è facile credergli.

— E le sue credenziali? — intervenne il procuratore generale. — Dati d’identificazione, anzi, più che credenziali. Portavoce della comunità di Washington, assistente sociale o che so io. Nessun rapporto con le autorità governative…

— Forse non esiste un vero governo — obiettò Williams. — Ammetterai che in cinquecento anni le cose possono essere cambiate.

— Steve, tu cosa ne dici? — domandò il Presidente. — Sei stato tu a portarlo qui.

— Per me è stata una perdita di tempo.

— Se volete sapere la mia opinione, io non credo a tutta quella storia — disse Williams.

— E Molly cosa dice? — domandò Sandburg.

— Niente. Si è limitata a portarmi Gale, il quale non le aveva detto niente di tutto quello che ha raccontato qui, limitandosi a fornire qualche vaga descrizione del mondo da cui proviene. Molly non ha insistito.

— Il Global News ha cercato di mettere delle condizioni?

— Certo. Qualsiasi agenzia di stampa e qualsiasi giornalista che sappia il suo mestiere avrebbero fatto altrettanto. Però Manning non ha insistito troppo. Sapeva benissimo…

— Avete accettato delle condizioni? — domandò Douglas.

— Sai bene di no — disse il Presidente.

— Adesso vorrei sapere cosa posso dire alla stampa — fece Wilson.

— Niente — rispose Douglas. — Assolutamente niente.

— Sanno che sono qui e non posso dichiarare che non ho niente da dire.

— E infatti parlerai — dichiarò il Presidente. — Non possiamo trattare i giornalisti come avversari. Devono assolvere un compito ben preciso. L’opinione pubblica va informata. La stampa ci ha giocato più volte dei tiri mancini, ma non possiamo ignorarla. Dobbiamo dire qualche cosa, ed è meglio dire la verità.