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Si girò subito e vide che l’uomo che stava entrando era il direttore dell’osservatorio, il professor McDermott.

Ramsey McDermott era un omone dal fisico robusto, con le spalle forti di uno scaricatore di porto e l’aspetto trasandato ma affascinante, nonostante i suoi sessant’anni, di un idolo dello sport universitario. I suoi capelli biondi avevano preso una sfumatura grigiastra da molto tempo, ma lui li teneva sempre ben curati, tagliati corti. Gli occhi azzurro cobalto erano ancora in grado di trafiggere una persona, quando si arrabbiava.

Al professor McDermott piaceva incombere sugli uomini più piccoli e convincerli che lui aveva ragione e loro erano in torto sulla base di una logica stringente e di una voce possente. A Stoner, però, Big Mac sembrava solo un vecchio smidollato che viveva di glorie passate e delle ricerche dei collaboratori più giovani.

Stoner si sistemò tra la finestra e la poltrona, mentre McDermott entrava nella stanza. La porta si chiuse alle sue spalle.

«Come la trattano, Stoner?» Niente stretta di mano. McDermott non scostò dai fianchi le mani grosse, dalle dita tozze. Portava una giacca di tweed, comodi pantaloni vecchi con qualche piega alle ginocchia, camicia a scacchi, e un’orribile cravatta verde.

«Da schifo» ribatté Stoner. «Cos’è questa storia?»

Scrutando nella stanza, scoprendo che l’unica sedia o poltrona disponibile era la poltroncina imbottita davanti a cui si trovava Stoner, il vecchio raggiunse il letto disfatto e si lasciò cadere pesantemente a sedere.

«Maledetta artrite» mugugnò con voce profonda, sorprendentemente pastosa. «Un tempo del genere risveglia tutti i dolori.»

«Cosa sta succedendo?» chiese Stoner. «Perché mi hanno chiuso qui dentro?»

«È solo colpa sua» rispose McDermott, togliendo dalla giacca una pipa di erica bianca annerita dall’uso, «So che voleva correre a Washington.»

«Sono ancora un dipendente della NASA…»

«Solo in linea teorica» disse McDermott. «L’hanno passato a me, e per Dio, prenderà ordini da me!»

«Non potete sballottarmi qua e là come vi pare.»

«La marina può. L’osservatorio è sovvenzionato dal Servizio Ricerche Marina, ragazzo. Dietro mio suggerimento, l’SRM ha classificato come “Confidenziale” quello che sta facendo.»

Stoner si accomodò in poltrona. «E come diavolo può classificare un fenomeno naturale? Quanto ho scoperto… Perché la marina vuole tenerlo segreto?»

Soffiando nuvole di fumo azzurrino che puzzavano come trucioli di matita bruciati, McDermott rispose: «Non ha idea della portata della situazione, eh?»

«Ho scoperto una forma di vita extraterrestre, porco Giuda!»

«Bah.» Il vecchio era del tutto indifferente. «Stia a sentire, ragazzo. Le ho salvato io la carriera. Non fosse stato per me, adesso sarebbe un astronauta disoccupato con una laurea in astrofisica completamente inutile, e insegnerebbe in una fetida scuola del Texas. Non se lo scordi.»

«E questo cosa c’entra?»

McDermott aspirò dalla pipa. «Giove sta trasmettendo strani impulsi radio, come non ne abbiamo mai ricevuti. E così, a me viene l’ispirazione di chiamare all’osservatorio un astronomo ottico, qualcuno che ci possa far avere le prime foto che Big Eye sta scattando in orbita.»

«Okay, è stata una buona idea. Un’ottima idea.»

«Può scommetterci.»

«E le ha fruttato» continuò Stoner «la più grande scoperta della storia.»

Il vecchio sbuffò. «E lei vuole correre a Washington a raccontare tutto ai vecchi amici della NASA.»

«Per cominciare.»

«E diventare un eroe nazionale. Pubblicare un articolo su “Icarus”. Apparire in copertina sul “Time”, Trasformarsi in un altro fottuto Carl Sagan e partecipare allo show di Jonny Carson.»

«Ma cosa le prende?» chiese Stoner. Il vecchio stava parlando per enigmi.

McDermott soffiò una boccata di fumo sul soffitto, «Cos e che ha scoperto, Stoner? Cosa mostrano effettivamente le foto di Big Eye?»

«Una nave spaziale in orbita attorno a Giove, Cristo!»

«Scemenze!» urlò il vecchio. «È un satellite naturale. Un’altra luna. Quel maledetto pianeta ne ha già quindici che conosciamo. Quella è la sedicesima.»

«Con gli indici dall’ultravioletto al blu che abbiamo rilevato?» ribatté Stoner. «L’oggetto è troppo luminoso per essere una luna naturale.»

«E come diavolo lo sa? Potrebbe essere un frammento di ghiaccio catturato…»

«È metallo» disse Stoner, calmo, deciso.

McDermott si tolse la pipa di bocca e scosse la testa, cupo. «Sta camminando sugli specchi, ragazzo. Ha in mano solo un paio di foto di un puntino luminoso che nessuno ha mai notato prima.»

«Big Eye l’ha individuato perché è troppo debole per essere rilevato dai telescopi sulla Terra.»

«E perché pensa che sia artificiale?»

Protendendosi in avanti, Stoner enumerò sulla punta delle dita i fatti a suo favore. «Per prima cosa, lei riceve questi impulsi radio che sono completamente nuovi. Giove non ha mai trasmesso niente di simile.»

«Per quanto ne sappiamo noi.»

«Secondo, tira in ballo me per potersi servire di Big Eye prima che il satellite venga assegnato ufficialmente alle università. Io gli faccio dare un’occhiata a Giove, e scopriamo… qualcosa di nuovo.»

«La sedicesima luna» borbottò McDermott.

«Come coincidenza è eccessiva» insistette Stoner. «I nuovi segnali radio e il nuovo… oggetto. Si tratta di vita extraterrestre. Vita extraterrestre “intelligente”.»

«No.»

«Sì! E lo ammetta!»

Big Mac si accorse che la pipa si era spenta. Cominciò a frugare in tasca, in cerca dell’accendino. «Stia a sentire. Se anche avesse ragione, è troppo presto per urlare la notizia ai quattro venti. Esiste una probabilità su un milione, e parlarne adesso significherebbe rovinare lei e l’osservatorio.»

«Però ci saranno altri centri che riceveranno i segnali. Non possiamo restarcene con le mani in mano e lasciare a loro il merito di averli scoperti.»

«Non hanno le foto di Big Eye» disse McDermott. «Sono il nostro asso nella manica.»

«Per quanto tempo?»

«Quanto basta. È per questo che ho convinto la marina a rendere tutto top secret.»

Stoner si alzò, si mise a passeggiare nella stanza. «Abbiamo fatto la più grande scoperta nella storia della scienza…»

«Forse.»

«…E lei vuole tenerla segreta.»

McDermott uscì in un grugnito che poteva essere una risata chioccia e, alzandosi dal letto, puntò la pipa in direzione di Stoner. «Comunque la cosa non è più nelle sue mani, ragazzo. Venga con me. Venga.»

Uscirono dalla camera da letto, percorsero il corridoio al primo piano della vecchia casa, scesero nel soggiorno nuovo e spazioso che si affacciava sulla piscina coperta.

Qualcuno stava nuotando in piscina, esibendosi in un crawl composto, regolare. Stoner non poteva esserne certo, ma gli parve che il nuotatore fosse Dooley.

Poi si accorse che in soggiorno, davanti al camino spento, sedevano due uomini. I due si alzarono al loro sopraggiungere. Stoner ne riconobbe uno: Jeff Thompson, dell’osservatorio.

«Jeff» disse, avvicinandosi al camino. «Allora hanno trascinato qui anche te.»

«Non esattamente» disse Thompson, con un sorriso leggermente colpevole. «Sono venuto di mia volontà.»

«Tutti si sono offerti volontari per tenere la cosa sotto silenzio» tuonò McDermott alle spalle di Stoner. «Lei è l’unico che ci sta dando guai.»

“Io sono l’unico che non è sulla vostra busta paga” ribatté fra sé Stoner.

L’altro uomo tese la mano a Stoner. «Piacere. Fred Tuttle.»

McDermott spiegò: «Il vicecomandante Tuttle tiene per noi i contatti con il Servizio Ricerche Marina.»

Tuttle era in abiti civili: un elegante vestito di velluto marrone a coste con pezze di pelle sui gomiti. Era piccolo, e il suo viso tondo e lentigginoso ricordava un personaggio di Mark Twain. Però la sua stretta di mano era forte, decisa. Una stretta di mano da commesso viaggiatore, con quel sorriso fiducioso che insegnano ai corsi d’addestramento professionale.