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«Per te» rispose lui, dolcemente. «Per lui.»

«No» lo corresse Jo. «Per te. Per tutti noi. Per la Russia e per il mondo intero.»

Un sorriso timido nacque sulle labbra di Markov. «Sei un tipo insopportabile, come lui.»

«Anche peggio» disse Jo. «Io resterò qui sulla Terra, e ti terrò d’occhio. Vedrò cosa combinerai.»

Markov si alzò in piedi. «Sarà una battaglia interessante. Non ho mai visto com’è fatto dentro il Cremlino, sai?»

Jo gli sorrise. «La vinceremo questa battaglia, Kirill. Ne sono sicura.»

Lui annuì, s’infilò la sigaretta tra le labbra.

Jo riportò l’attenzione sulla consolle. Stoner continuava a descrivere minutamente l’interno della nave-tomba.

«… Mi sembra non ci sia l’equivalente di una tavola periodica degli elementi, o qualcosa d’altro che io riesca a riconoscere. Se su questa arca si trova una stele di Rosetta, deve trattarsi di un’informazione scientifica che la civiltà aliena ha elaborato in maniera del tutto parallela alla nostra elaborazione…»

D’improvviso, Jo si sentì dire a Markov: «Devo parlargli. Un’ultima volta. Prima che… Prima che sia troppo tardi.»

Markov annuì.

«Da sola… Noi due soli, senza nessun altro che ci ascolti.»

Lui le sorrise. «Ti aspetti che i russi ti concedano un colloquio privato?» Poi si tirò la barba. «Be’, se proprio dobbiamo cambiare il sistema, tanto vale cominciare subito.»

Adesso i messaggi arrivavano da tutto il sistema. Stoner se ne stava raggomitolato nella cripta aliena, completamente esausto. Il freddo eterno dell’infinità si addensava attorno a lui, trasformava il suo corpo in piombo. Ma ascoltò le voci che gli parlavano.

Il presidente degli Stati Uniti gli trasmise i suoi ringraziamenti e le sue preghiere, e gli assicurò che l’America avrebbe compiuto ogni sforzo per rientrare in contatto con la nave aliena e riportarla sulla Terra.

Il presidente dell’Accademia Sovietica delle Scienze, parlando a nome di tutte le popolazioni dell’URSS, lodò Stoner per la dedizione alla scienza e per il suo coraggio, e promise che l’Unione Sovietica avrebbe partecipato a ogni programma spaziale che avesse come obiettivo la nave aliena.

Sua Santità il papa parlò personalmente a Stoner, promettendogli che avrebbe operato instancabilmente per salvare il suo corpo e che ogni giorno avrebbe pregato per la salvezza della sua anima.

Il segretario generale delle Nazioni Unite, il vicepresidente della Repubblica Popolare Cinese, Jeff Thompson da Kwajalein, politici inglesi e giapponesi, scienziati di altre nazioni, gente completamente sconosciuta a Stoner: tutte le voci di Terra gli parlarono, a una a una, sempre più deboli, sempre più lontane, sussurri sullo sfondo delle scariche radio del cosmo.

Poi, una voce che riconobbe.

«Keith, Keith, sono Kirill. Mi senti?»

«Sì, Kirill. Il segnale è debole.»

«Jo, vuole parlare con te… In privato, sulla frequenza quattro. Nessuno vi starà a sentire, te lo prometto.»

Una scarica da una stella sconosciuta.

Stoner aspettò che terminasse, poi disse: «Passo sulla frequenza quattro.»

Per lunghi momenti, udì solo i sibili del cosmo. Poi: «Keith… Oh, Dio, Keith, cosa posso dire?»

“Dimmi che mi ami” pensò lui. Ma rispose semplicemente: «Sono qui, Jo. Ti sento.»

Il tempo che passò prima della risposta fu un’eternità. «Perché Keith? Perché l’hai fatto? Perché non sei tornato da me?»

Lui ebbe un sorriso triste. «Il mio è un ricatto, Jo. Ho qui un ostaggio. Li costringerò a venirselo a prendere. Se non vogliono sputtanarsi davanti a tutto il mondo.»

Silenzio, spezzato dai sussurri delle stelle. Poi: «E io, Keith? Non conto niente per te?»

«Addio, Rossana» recitò piano «poiché oggi io muoio… E il mio cuore, appesantito da un amore mai espresso, urla…» Ma non ricordava più i versi seguenti.

Aspettando la risposta di lei, piegò le dita. Muoversi stava diventando sempre più difficile. Il sangue si stava tramutando in ghiaccio.

«È vero?» chiese Jo. «Mi ami, Keith?»

Sì, adesso poteva dirglielo. «Ti amo, Jo. Ti ho amata per tanto tempo.»

Attese la risposta. I secondi erano sempre più lunghi.

«E io amo te, Keith.» La voce di lei era un sussurro vago tra le scariche che risuonavano alle sue orecchie. «Ti amo.»

Stoner non aveva nient’altro da dire. Gli si stavano congelando le labbra.

«Verremo a prenderti, Keith! Verremo!»

«Lo so che verrai, Jo. Non lasciarti fermare da loro. Non permettere che dimentichino. Io sarò qui, ad aspettarti.»

Stoner respirò per l’ultima volta, poi spense l’impianto termico della tuta.

46

Pochi negheranno la profonda importanza, sia pratica sia filosofica, che avrebbe la scoperta di comunicazioni interstellari. Di conseguenza, riteniamo che una ricerca discriminata di segnali meriti uno sforzo considerevole. Le probabilità di successo sono difficili da stimare, ma se non condurremo mai questa ricerca le probabilità di successo sono zero.

Giuseppe Cocconi e Philip Morrison — 1959

Jo era sola fra le ombre del tramonto, sul tetto dell’edificio che li ospitava. Era salita lì per piangere.

I riflettori non si erano ancora accesi. Bassa sull’orizzonte, splendeva una stella. Per un attimo, lei immaginò che fosse la nave aliena che aveva Keith a bordo.

La brezza scese dalle colline, tiepida. Lontano, chissà dove, qualcuno aveva acceso una radio. Stupefatta, Jo si accorse che la voce che usciva dalla radio stava parlando in inglese. “Una trasmissione americana” pensò. “Lasciano passare una trasmissione americana!”

Era un radiogiornale, naturalmente. Che raccontava le “reazioni” ai fatti di quel giorno lunghissimo, adesso che Stoner era ormai irraggiungibile.

Jo, nonostante tutto, restò ad ascoltare. L’annunciatore stava leggendo il comunicato emesso da un’associazione di ufologi del Missouri: indignata, l’associazione proclamava che l’alieno rinvenuto sull’astronave “non apparteneva” alla stessa razza di alieni che inviavano UFO sulla Terra.

«Quindi, stando agli esperti in dischi volanti del Missouri» commentò maliziosamente l’annunciatore «abbiamo trovato gli alieni sbagliati.»

Jo, anziché piangere, sorrise. “Ci sono tanti stupidi a questo mondo” pensò. “Così tanti.” Alzò il viso, verso le stelle che cominciavano ad apparire in cielo.

«Grazie, Keith» sussurrò nella sera. «Adesso saranno costretti a mandare un gruppo d’astronauti per riportare te e il tuo amico qui sulla Terra. Ci vorrà qualche anno per preparare tutto, ma quando partiranno, io sarò con loro.»

Poi scese, senza più lacrime, a testa alta, decisa a trasferirsi il più presto possibile a Houston per iniziare l’addestramento.

FINE